Abdoulaie, gambiano, ventunenne, dipendente della cooperativa

«Un curriculum, un colloquio: preso! Cercavo lavoro, ma non avevo pensato che la mia conoscenza di arabo, dialetti e altre lingue, potesse diventare un lavoro. Tutto così presto, mi sembra un sogno. Oggi aiuto mio zio al quale devo il riscatto dalla prigionia in Libia e il viaggio su un barcone»

«Un curriculum inviato a “Costruiamo Insieme”, alla ricerca di mediatori, un colloquio nel gennaio dello scorso anno e un mese dopo ero al lavoro…». Abdoulaie, gambiano di ventuno anni, in Italia da quattro anni e quattro mesi, accenna il suo ingresso nel mondo del lavoro grazie alla cooperativa sociale (che non si occupa solo di accoglienza).

«Arrivato in Italia minorenne, sbarcai a Taranto, ma le vicende della vita mi portarono prima in Umbria, dove studiai per conseguire un attestato da meccanico specializzato: tornio, fresa, saldatura, le mie materie e le mie attività».

Non pensava minimamente a fare il mediatore. «Non avevo avuto tempo, la famiglia tarantina con la quale mi sono sempre confrontato, in particolare con Gianni – lo considero un secondo padre – accese, come dire, la lampadina: mi dissero di “Costruiamo”, pochi giorni dopo colloquio e contratto; ero mediatore, figura importante all’interno dei Centri di accoglienza». La conoscenza di inglese, italiano, soprattutto arabo. «Conoscere l’arabo mi è stato utile, come è stato utile alla stessa cooperativa: gli ospiti del Centro spesso parlano poco il francese o l’inglese; i miei stessi connazionali parlano “mandinka”, dialetto gambiano, o i senegalesi parlano “wolof”, così faccio da interprete; chi parla arabo e mastica poco altre lingue, chiede un mio intervento o quello di altri colleghi per motivi diversi; quando non sta bene, avverte dolori o si trova di fronte a un imprevisto, mi chiama, rendermi utile al prossimo mi fa stare bene».Abdullai articolo 03 - 1

LA LIBERTA’ UN DONO DEL CIELO

Passo indietro con Abdoulaie, giovanissimo, appena quattordici anni, ma già spericolato. «La libertà è il dono più grande che il Cielo possa darti, se qualcuno ti impedisce di esprimere un qualsiasi giudizio, diventa un dramma: in Gambia c’era un governo severo, intransigente, un modo di gestire il Paese in modo discutibile: nonostante fossi giovane, facevo solo notare che certe scelte potevano non essere condivisibili; bene, anzi male, anche il solo metterla sul piano del confronto, mi danneggiò: insomma, solo per avere appena alzato il capo per fare un ragionamento molto semplice, sono finito nel carcere minorile: il mio unico torto era stato quello di aver posto domande scomode a chi eseguiva gli ordini per conto di chi, allora, governava».

Eppure papà e mamma, non facevano che ripeterlo al giovane Abdoulaie. «Figliolo, prima o poi ti metti nei guai!». «Avevano ragione – conferma, sorride – ma allo stesso tempo ho capito che, nonostante la mia giovane età, dovevo prendere una decisione, dolorosa lo ammetto, ma come possono essere solo le scelte che ti staccano dalle tue radici e dai tuoi affetti: in Gambia ho lasciato i miei genitori, cinque fratelli, fra questi una sorella, e una parte di me».

Prima il rischio, poi la scelta. «Chi si era ribellato vivacemente al regime – racconta Abdoulaie – l’aveva pagata cara, non solo con il carcere: a migliaia sono letteralmente spariti, non ci sono più tracce, in famiglia temevano facessi la stessa fine; decisi di partire, arrivai in Libia, ma lì non fui tanto fortunato: rispetto ad altri, di pelle nera come me, non avevo trovato lavoro, cosa che mi avrebbe aiutato a intascare un po’ di soldi per pagarmi il viaggio per l’Europa; mi imprigionarono, mi fecero la rivista, non avevo soldi con me: mi misi in contatto con mio zio Alagie, in Angola dove si occupava di commercio, fu lui a farmi rilasciare dietro cauzione, trecento euro, dandomi anche i soldi per pagarmi il viaggio in mare verso l’Italia…». Quattrocento, cinquecento, chissà, tutti su un barcone di grandi proporzioni. «Stretti, incollati uno all’altro: penso che nessuno avesse mai visto una barca così grande e con tanta gente a bordo, ma quando si fugge è così: non stai a pensare a come possa essere un viaggio; ci imbarcammo di notte, all’una, alle cinque del pomeriggio eravamo a bordo di una nave militare italiana in perlustrazione nel Mediterraneo; prima che arrivassero i militari italiani, eravamo stati circondati da imbarcazioni di tunisini, pescatori, chissà: non so perché, ma ci indicavano una rotta sbagliata; sul barcone ci eravamo divisi in due gruppi: chi voleva seguire il loro consiglio, chi, invece, non si fidava e faceva bene».Abdullai articolo 02 - 1

A TARANTO IL 9 GIUGNO, DIFFICILE DIMENTICARLO

Abdoulaie e le altre centinaia di passeggeri, sani e salvi. «Nessun ferito, nessun disperso, il viaggio non era stato lungo, per fortuna, filò tutto liscio, arrivammo a Taranto il 9 giugno 2014; una ventina di giorni in città, affidato a una famiglia tarantina, con loro stabilii subito un rapporto di grande affetto; Gianni, il capofamiglia, e i “suoi” mi presero a benvolere, ma partii per l’Umbria, conseguii prima la licenza media, poi l’attestato da meccanico». Infine incrocia “Costruiamo Insieme”. «Gianni mi disse che a Taranto cercavano mediatori, gente che conoscesse le lingue e potesse essere d’aiuto in qualità di interprete: lui stesso inviò il mio curriculum, dopo tre giorni mi chiamarono, prima il colloquio, subito dopo il contratto, ero un ragazzo felice!».

Si sente spesso con la famiglia. Anche zio Alagie, però, ha avuto un bel ruolo. «Senza la sua mediazione non so come avrei fatto, in Libia se capiti in mani sbagliate è notte fonda: mio zio mi aiutò, pagò riscatto e viaggio in mare; gli dissi che con il mio lavoro gli avrei restituito tutto. “Non preoccuparti, figliolo…”, mi disse; in Angola le cose cominciarono a non andare più bene, anche lì il governo democratico non era più solido come un tempo, così fu zio Alagie a incontrare difficoltà: adesso sono io a dargli una mano…». Il senso della vita, essere utili uno all’altro fa bene. Oggi Abdoulaie, uomo libero, guarda con più fiducia al suo futuro. Anche grazie al suo lavoro di mediatore con “Costruiamo Insieme”.