Vittima della lotta alle povertà
E’ questa la tragica, orrenda e indignante fine posta alla vita di Marielle Franco, cresciuta in una favelas e diventata Consigliera Comunale per amplificare l’eco della sua lotta coraggiosa per i diritti della sua gente, povera e di colore come lei, affamata e senza prospettive in città dalle due facce: il fetore dei ghetti e il lusso dei grandi alberghi con vista mare.
Aveva da poco concluso il suo intervento ad un convegno sul tema della violenza sulle donne quasi ordinaria e sottaciuta in quei non luoghi caratterizzati dalla totale assenza dell’idea di uno stato civile.
Non luoghi nei quali polizia e organizzazioni paramilitari hanno ripreso le loro incursioni violente contraddistinte da quegli omicidi sommari che Marielle aveva il coraggio di denunciare.
16.000 persone avevano consentito la sua elezione al Consiglio Comunale, tutti voti raccolti nelle favelas, una sorta di convergenza per dare voce ad un grido di dolore e di sofferenza che si infrange su quei muri spacciati ai turisti come frangi rumore ma che nascondono quella inguardabile realtà inurbana che sono le favelas.
Nascoste agli occhi del mondo durante i mondiali di calcio, le favelas continuano a produrre quel processo di depersonificazione fondato sulla sopravvivenza e annegato nella privazione di mezzi quanto di diritti.
Marielle era una voce scomoda, aveva radicato il senso della sua esistenza nella denuncia continua della disumanità nella quale sono costrette milioni di persone con il suo messaggio universale, con le sue battaglie.
Tanto scomoda da giungere ad essere antitetica e insopportabile per un modello di governo che affonda le radici nella repressione violenta come risposta alla povertà.
E’ toccato a lei, questa volta, pagare con la vita la difesa o, meglio, il riconoscimento dei diritti civili per i più deboli, per gli indifesi, per quanti rappresentano una entità lontana dal potersi ritenere bambini, donne, uomini.
“Colpire uno per insegnare a cento” sembra essere la filosofia con la quale il Brasile, attraverso il suo braccio armato, quello ufficiale e quello meno ufficiale ma noto a tutti, affronta il tema della povertà e dei diritti negati.
La morte di Marielle ci insegna che di povertà e di emarginazione si può morire in due modi: vivendola o, semplicemente, parlandone e denunciando.
E lei, nata e cresciuta in una favelas a ridosso dell’aereoporto di Rio, una di quelle chiuse da muri insormontabili, l’ha vissuta, ne ha parlato, ha denunciato.
Oggi, è una martire delle lotte per rivendicare i diritti civili.