Grandi ascolti su Raiuno per “l’avvocato d’insuccesso”
Autore il napoletano Diego De Silva, che abbiamo intervistato. Protagonista Massimiliano Gallo, regia di Alessandro Angelini. C’è un divertente cameo: Carlo Massarini
C’è una fiction che ogni settimana fa un pieno di ascolti. In media quattro milioni di telespettatori. E’ “Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso” per la regia di Alessandro Angelini. Protagonista è Massimiliano Gallo, attore napoletano, fra gli interpreti de “Il sindaco del Rione Sanità” di Mario Martone, “Pinocchio” di Matteo Garrone e “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino. In tv, fra gli altri, “I bastardi di Pizzofalcone” e “Imma Tataranni sostituto procuratore”. Autore del personaggio e una serie di titoli dedicati all’avvocato oggi beniamino del pubblico televisivo, Diego De Silva. Cinquantotto anni, una laurea in legge, napoletano come Gallo, forse per questo subito in perfetta sintonia con il suo alter-ego televisivo, almeno una quarantina di titoli in libreria, e sceneggiature per cinema e tv.
De Silva, bel successo la serie televisiva. Si trova a suo agio nella scrittura di una fiction ambientata in tribunale.
«Parto con un certo vantaggio avendo già una voce ben definita; in realtà è come se fosse una “voce terza”, un mio sdoppiamento. Questo, naturalmente, mi facilita le cose, anche se devo stare attento allo stesso “Malinconico”, talvolta così frenetico nel produrre considerazioni, che a volte mi risulta complicato tenerlo a bada».
Molti inventano, studiano, costruiscono eroi risoluti.
«Come personaggio seriale è anomalo: non è un investigatore, né un vincente; ma, attenzione, è preparato sì alla sconfitta, ma non al fallimento».
Poi c’è quella coperta di Linus, la cartella di pelle stretta al petto.
«E’ stata un’idea di Massimiliano, credo sia un effetto sintomatologico tipico di un interprete che entra totalmente entra nella parte. La cosa bella nella scrittura cinematografica come in quella televisiva, è che dagli stessi attori possono arrivare contributi funzionali a una scena e ci metti un attimo a capire che l’intuizione è quella giusta: Malinconico, da quel personaggio complesso che ha molti registri e non soltanto uno, richiedeva un attore capace di poterli gestire tutti: Massimiliano Gallo, da subito, mi è sembrato quello giusto. Ha voluto fortemente questo ruolo e io, che sono stato molto presente sul set, mi sono accorto che giorno dopo giorno Massimiliano diventava davvero sempre più “Malinconico”. Durante le pause, fuori dal set ci confrontavamo, parlavamo liberamente e mi accorgevo quanto lui fosse dentro il personaggio: “Ma questa, Massimiliano, l’hai detta alla Malinconico?”».
Il libro e la sceneggiatura.
«Come autore ho cercato di essere disponibile, elastico. Non tutto quello che apparteneva alla pagina scritta poteva finire sullo schermo; regola fondamentale nella sceneggiatura, invece, è che tutto quello che scrivi si deve vedere; non c’è possibilità di interpretazione, gesto o altro: a quel punto l’attore diventa interprete di uno spartito e lì c’è poco da fare, c’è chi ci riesce e chi no».
Anche il cast è importante.
«Molto. Teresa Saponangelo, per esempio, mi ha stupito: ha fatto una “Nives” diversa, sulla carta spigolosa e contraddittoria, in tv qualcosa che assomiglia a un cartone animato: una psicologa che crede di essere all’altezza della vita e, invece, è piena di contraddizioni; bene, lei, brava, ha caricato questo aspetto e l’ho trovata buffa, divertente.
Ma ogni attore ci ha messo qualcosa di proprio. Giorno dopo giorno i miei personaggi crescevano; alcuni attori aggiungevano dettagli in corso d’opera e questo non poteva che farmi enorme piacere: presumo che ognuno si portasse il lavoro a casa…».
Gli italiani che si affezionano a un personaggio “normale”, una novità.
«E’ stata subito una scommessa. Questo è un personaggio nuovo rispetto a quanti dominano questo genere di offerta televisiva: in genere si danno il cambio preti, suore e commissari; Malinconico è, invece, un avvocato come tanti che le cause può anche perderle, ha una situazione sentimentale complicata, innamorato di una collega, una moglie che non si rassegna, una suocera invadente, due figli: insomma, uno di noi».
Ma c’è anche una poetica.
«Quella dell’uomo comune, talvolta perdente che però ha una dignità, fa di tutto per farsi volere bene dai figli, fare innamorare di lui la donna che ama, un uomo che cerca di dare qualità alla sua vita e non è un arrivista. Mi permetto di dire, senza scomodare i grandi sistemi, che il senso del mio personaggio è che nella vita non devi per forza vincere: puoi essere lo stesso una brava persona, uno che si fa amare. L’idea che questo sia un uomo con tutti i suoi limiti e cerca di arrivare alla fine della giornata con dignità, non mi sembra cosa da poco».
Carlo Massarini, per tutti “Mr. Fantasy”, icona della tv degli Anni 80.
«Ho pensato a chi potesse essere l’amico immaginario di Malinconico, una “voce di dentro” a cui aggrapparsi nei momenti più critici. Poi Massarini, per la mia generazione, quella di vinili e audiocassette, riviste specializzate, è stato quello che ha portato in tv finalmente i videoclip, mostrandoci la nostra amata musica rock in versione tridimensionale. Ecco la scelta del guru virtuale. Noi sfregavamo la lampada del tubo catodico e lui ci proiettava quasi magicamente fra i nostri miti di quel tempo».
La sua musica, De Silva?
«Da questo punto di vista alla mia generazione è andata molto bene, abbiamo vissuto un periodo in cui la musica aveva una qualità alta. Carlo è un contenitore simbolico di memoria, un riferimento culturale perfino non minore rispetto alla letteratura».
I suoi vinili?
«Tutta la discografia dei Police, il gruppo musicale della mia vita. Andassimo più indietro, i Beatles sicuramente, i Rolling Stones, gli Who, Hendrix; tornando a qualcosa di più recente, i Dire Straits; appassionato di chitarra: Mark Knopfler, Eric Clapton e Andy Summers erano i miei preferiti, poi Steve Ray Vaughn. David Bowie l’ho amato tantissimo, lui aveva questa capacità strepitosa di scovare talenti: non era, forse, musicista eccelso, né grande strumentista, ma aveva la capacità di citare i grandi musicisti. La nostra generazione ha vissuto con la mitizzazione delle figure giuste. Il lutto, come nostra esperienza collettiva, è qualcosa che ha a che fare con la perdita della fruizione dell’artista, della sua opera: il fatto di essere contemporanei a loro, rendeva questo posto meno cafone. Il mondo è peggiorato con la scomparsa di De André e Lennon, per fare i primi che mi vengono. Ricordo perfettamente dove ero quando mi arrivò la notizia dell’assassinio dell’ex Beatles: restai scioccato. Giorni fa ho riascoltato “Double fantasy”: che meraviglia! Sembra fatto ieri, un album fuori dal tempo».
Cinema e tv.
«La gente va sempre meno al cinema: raccontare una storia compiuta in un’ora e mezza è diventato complicato. Una serie tv, invece, ti fa vivere la narrazione per tempi molto più lunghi e molto più larghi: il personaggio può crescere, evolversi, cadere, rialzarsi, modificarsi, fare molte cose. In fondo, la serie tv è una nuova forma di romanzo».
Colpi di scena e scrittura.
«Senza colpi di scena rischi che la narrazione si rallenti, stanchi: occorre fare molta attenzione, in tv parliamo di flussi di pubblico enormi; di mezz’ora in mezz’ora puoi perdere mezzo milione di spettatori senza accorgertene: non me ne intendo, ma chi studia queste dinamiche si rende conto di quanto sia complessa l’attenzione da parte del pubblico. Malinconico, mi dicono, viene visto da un pubblico prevalentemente colto, gente che ha studiato, si è laureata e via così; anche la scrittura è un po’ più complessa, direi “andante” rispetto alle serie più viste: le grandi serie tv che abbiamo amato partivano cercando di costruire una nicchia e di allargarla più avanti. “L’avvocato d’insuccesso” è, dunque, un personaggio diverso rispetto alla produzione della prima serata Rai: mi auguro che la serie chiuda con una percentuale buona. Mi piacerebbe andare avanti e vedere cosa succede».
Pronto un nuovo contratto, una strenna natalizia in libreria, considerando il successo televisivo?
«Ci stiamo confrontando, sarei felice di proseguire. Natale in libreria? No, anche perché l’ultimo romanzo è uscito a marzo e in libreria c’è tutta la mia bibliografia, “Malinconico” compreso».