Maurizio Micheli, successo a teatro con “Amore mio aiutami”

«Tolta la scena delle sberle di Sordi alla Vitti. Impensabile che un uomo risolva questioni d’amore con la violenza. Poi, se c’è uno che le prende, quello sono io. Oggi intitolerei un monologo a Sorrentino. Mi affascina il cinema, la tv un po’ meno, troppe urla e “fotoromanzi”…». Si torna finalmente a teatro e “Costruiamo Insieme” affianca il cartellone a cura di Renato Forte

 

“Costruiamo Insieme” torna ad affiancare una stagione teatrale, “I colori del teatro”, a cura di Renato Forte per l’Associazione culturale “Angela Casavola”. Primo titolo in programma, “Amore mio aiutami”, capolavoro del cinema di fine Anni Sessanta, scritto da Rodolfo Sonego e interpretato da Alberto Sordi e Monica Vitti. Protagonisti a teatro, Maurizio Micheli e Debora Caprioglio. Il debutto, lo scorso 7 dicembre al Teatro comunale Fusco di Taranto.

Dunque, Micheli, nato a Livorno, ma vissuto a Bari, dove si è anche laureato, prima di partire alla volta di Milano, tentare la carta del teatro, affascinando il regista dei registi, con un monologo: “Mi voleva Strehler”. Ma l’attore, che non nasconde il suo amore per la Puglia, non dimentica che alcuni dei suoi personaggi più famosi devono qualcosa, quantomeno l’accento, alla nostra terra.

Dunque, «Brunetta dei Ricchi e Poveri, fatti punk!», «Sciambàgne…»,  «Radio Bitonto Libera…», «Non ho ancora trovato il mio “Asso nella manica”», «Tieni pure il gazebo, capadic***!». Dino de Nittis, dj di radio Bitonto Libera, quello di “Strisciullo ti arreda il trullo”. E, ancora, Anna Rosa Di Fonzo in arte “Susy”, Rocco Tarocco avvocato del Foro di Trani. Proseguendo con Vituccio Ragusa fotoreporter nel “Commissario Lo Gatto” con Banfi, diretto da Dino Risi, e il Pinuccio Tricarico di “Rimini Rimini” per la regia di Sergio Corbucci con Laura Antonelli.

«Le tavole del palcoscenico – dice Micheli – un amore che dura da cinquant’anni, dai tempi del Teatro universitario di Bari, la città nella quale ho vissuto a lungo. Oggi la tv è un’altra cosa, equivale a urla, litigate furiose; il piccolo schermo attraverso queste modalità viene sempre più visto come una scorciatoia per il successo, quando un tempo anche per due sole battute all’interno di una commedia giravi l’Italia con una compagnia teatrale in cambio di un compenso che ti permettesse di mangiare in trattoria e dormire in una pensione. Non voglio apparire un nostalgico, ma una volta era un’altra cosa…».

 

Prima di parlare di “Amore mio aiutami”, un accenno a “Mi voleva Strehler”, la carica delle mille repliche?

«Funziona ancora, continuo a riproporlo nella stesura originale, riprendendo le emozioni e le ambizioni di qualcuno che, come il sottoscritto nel monologo, stava per affrontare un provino davanti a quello che per noi giovani di un tempo rappresentava un mito: Giorgio Strehler».

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Foto Studio Renato Ingenito

 

Un monologo, oggi, a chi lo dedicherebbe?

«Quello era un atto d’amore nei confronti del teatro, provare ad accarezzare un sogno: lavorare, attingere insegnamento da quello che, a ragione, era considerato “il regista”; oggi, mi ripeto, è un’altra cosa. I giovani non vogliono più saperne di compiere il percorso scolastico, la gavetta. Non piace più a nessuno studiare, sacrificarsi; più facile urlare in tv, crearsi un personaggio, diventare noto e partecipare il più a lungo possibile a uno dei tanti salotti televisivi che assegnano poltrone  a chiunque abbia voglia di strillare…».

 

Differenza fra la sua e la tv di oggi.

«Ricordo quella che produceva sceneggiati, in Rai proponeva opere letterarie importanti, dirigevano Anton Giulio Majano, Sandro Bolchi, Daniele D’Anza; oggi quei capolavori sono stati sostituiti dalle fiction, fotoromanzi televisivi. Insomma, altra roba. Poi la tv brillante era quella di autori e registi di grande esperienza».

 

Torniamo al monologo che spesso rappresenta ancora oggi. Invece di Strheler, Micheli, a chi si ispirerebbe?

«Non mi dispiacerebbe fare cinema, di recente sono stato il papà di Checco Zalone in “Quo vado”. Dovessi fare un provino, inventarmi un nuovo monologo, mi faccia pensare… Ecco, non mi dispiacerebbe aspirare a un “Mi voleva Sorrentino”, sicuramente fra i più grandi registi italiani. Ma Sorrentino, mi chiama, non mi chiama…?».

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Foto Studio Renato Ingenito

 

Buon successo in teatro. In “Amore mio aiutami”, ha una partner deliziosa come Debora Caprioglio.

«Se il buongiorno si vede dal mattino, “Amore mio aiutami” funziona anche a teatro. E’ poco che abbiamo cominciato, la gente partecipa. La sceneggiatura di Sonego nasce per il cinema, poi Sordi e la Vitti sono grandi, tanto che quel film lo trascinano al successo. Certo, il cinema è una cosa, il teatro un’altra. L’idea di partenza, curata da Renato Giordano, è quella originale: una moglie si innamora di un altro uomo e chiede aiuto al proprio marito per cercare di guarire. Originale, non trova?».

 

Gli schiaffoni cinematografici che Albertone dava alla Vitti, che fine ha fatto quella scena-culto?

«Semplice: l’abbiamo cancellata. Oggi non si può pensare ad un marito che, seppure tradito, picchia la moglie. Di scene violente, purtroppo, ne è piena la cronaca di tutti i giorni, dunque anche trattandosi di “tradimento”, l’argomento doveva essere maneggiato con cura. Nell’adattamento teatrale, dunque lui la sgrida solamente. Anzi, per dirla tutta, è la donna che prende a sberle l’uomo. Perché una donna, si dice, non si sfiora nemmeno con una rosa…».

 

A proposito di Ròsa, come il fiore e il nome di donna, che da queste parti “suona” in altro modo. Il commissario Lo Gatto smaschera le sue origini pugliesi, e in Rimini Rimini dedica un cavallo di battaglia di Peppino di Capri, “Sciambàgne”, ad una affascinante Laura Antonelli. Ma, a proposito di fascino, quanto la seduce il cinema di oggi?

«Il teatro lo faccio da cinquant’anni. Fra un film e un’occasione in tv, non avrei dubbi: farei il cinema, a condizione che registi e copioni siano quelli giusti. Non ce l’ho con la tv, ma ormai assisto a un esercito di debuttanti: chi si improvvisa comico, chi attore. Marlon Brando, non l’ultimo degli arrivati, già nel lontano ’59, diceva che “il teatro lo fanno gli attori, il cinema i registi, la tv gli altri”. E la tv, purtroppo, oggi è così piena di “altri”».