Terzo conflitto civile alle porte

Occorre una soluzione. Comunità internazionale disorientata. Prosegue lo scontro fra l’attuale governo e l’esercito di Haftar. Italia, Francia e le tensioni provocate da decisioni non sempre condivise.

Libia a un passo dalla sua terza guerra civile in meno di dieci anni. L’esercito del maresciallo Khalifa Haftar, dopo aver assunto il controllo di Libia orientale e meridionale, ha sferrato un nuovo attacco alla capitale Tripoli, sede del governo riconosciuto internazionalmente e guidato dal primo ministro Fayez al Serraj (attivi nel frenare l’avanzata nemica). I due schieramenti secondo quanto riportato da Daniele Raineri sul Foglio, si equivalgono, pertanto si fa largo la paura che possa cominciare una lunga guerra di posizioni a contrasto che rischia di sfiancare una popolazione messa già a dura prova da anni di violenze e scontri.

La situazione attuale è il risultato delle divisioni interne alla Libia, la presenza di centinaia di milizie armate e rivali, le ambizioni personali di leader politici, la posizione intransigente della comunità internazionale a sostenere soluzioni considerate illegittime dai libici e inefficaci agli occhi di tutti e gli interventi politici di Paesi stranieri che hanno dato impulso a una situazione già violenta.

La crisi in Libia viene sostanzialmente legata alle conseguenze della guerra civile di otto anni fa. Fu quella a portare alla destituzione dell’ex presidente Muammar Gheddafi. Nel conflitto, l’intervento di governi stranieri, tra questi quelli della Francia e degli Stati Uniti, in appoggio alle milizie ribelli, dopo che le truppe del regime avevano iniziato a colpire i civili.

In Libia si erano svolte le seconde elezioni dall’intervento armato del 2011 (appoggiate anche dalla comunità internazionale), ma quando iniziarono gli scontri tra milizie armate a Tripoli le truppe statunitensi si ritirarono e gli eletti riuniti nella “Camera dei Rappresentanti”, con il nuovo governo, si spostarono a est, nella città di Tobruk.

A Tripoli, intanto, milizie islamiste e altre provenienti da Misurata fecero un loro governo, che fu sfidato ben presto da Khalifa Haftar, ex sostenitore di Gheddafi che aveva trascorso molti anni negli Stati Uniti ed era tornato in Libia con la promessa di liberare il Paese da tutte le forze islamiste: dai gruppi terroristici come Al Qaida e lo Stato Islamico fino ad arrivare ai Fratelli Musulmani, storico movimento politico religioso presente in diversi Paesi arabi (il governo con base a Tripoli non era lo stesso che c’è ora).

L’ONU favorì la creazione del governo di accordo, ma la comunità internazionale mostrò ancora una volta di avere sottovalutato i problemi della Libia e le sue divisioni interne. Alla base disaccordi soprattutto sul ruolo di Haftar, colui che avrebbe dovuto riunire tutto il Paese sotto un’unica autorità. In breve, senza il riconoscimento della “Camera dei Rappresentanti”, il governo di Serraj non aveva alcuna legittimazione popolare: non era stato nominato da un Parlamento eletto, ma solo “scelto” dalla comunità internazionale (molti i libici che l’accusarono di essersi intromessa negli affari interni del Paese).

Manca un fronte comune europeo sulla Libia, una delle ragioni che ha inasprito lo scontro tra Serraj e Haftar. Italia e Francia, in particolare, avrebbero creato non poche tensioni: non solo i due governi hanno deciso di appoggiare schieramenti tra loro rivali, ma si sono anche scontrati sui possibili piani da adottare per il futuro del Paese, con i francesi favorevoli a tenere subito nuove elezioni e gli italiani contrari.

Per concludere, torniamo all’offensiva degli ultimi giorni. L’attacco contro Tripoli ha fatto precipitare una situazione già complicata. L’obiettivo potrebbe essere la discussione di possibili nuove elezioni e in generale per provare a trovare un accordo che metta fine alla guerra civile. La decisione, molto criticata e da cui anche i francesi sembra abbiano preso le distanze, potrebbe portare a un nuovo conflitto, grave anche questo come i precedenti da imputare a moltissime cose. A cominciare dalle divisioni libiche, proseguendo con le risposte fornite dalla comunità internazionale non sempre convincenti.