Christophe, senegalese, trentaquattro anni, interprete

«Nato senza diaframma, in Italia mi hanno sottoposto a cure e ad un intervento risolutivo. Gli ospedali nel mio Paese ospitavano solo vittime del conflitto fra governativi e opposizione. La mia fuga attraverso Senegal, Algeria e Libia. Dovessero rispedirmi a casa, stavolta perderei il respiro: quanto hai avvertito il profumo di serenità e rispetto, non puoi più farne a meno»

«Nel mio Paese mi mancava il respiro, e non certamente per il clima di guerra civile esistente, che toglierebbe il fiato a chiunque; mi mancava davvero il respiro, avevo un grave problema fisico e non sapevo nulla». Christophe, trentaquattro anni, senegalese, ha ottenuto la protezione umanitaria, anche in virtù dei problemi di salute. «A casa non avrebbero potuto curarmi: troppo costose le cure e poi, quei pochi ospedali di cui disponevamo, erano pieni zeppi di feriti provocati dal conflitto civile». Ha sentito di un suo connazionale con gli stessi problemi, fortunatamente risolti, anche se la sua condizione va tenuta sotto controllo.

«Non so perché, anzi lo so anche – dice Christophe – ma se tornassi a casa precipiterei nuovamente in uno stato di salute cagionevole, nonostante in Italia sia stato quasi risolto: devo essere sottoposto a cure mirate, faccio l’interprete, non potendo fare qualsiasi tipo di lavoro, mi tocca fare attenzione ad osservare le prescrizioni mediche».

Prima di fare un passo indietro, un passo avanti. Anzi, uno di lato. «Una volta in Italia, dopo aver fatto presente questo grave problema che avvertivo fin da piccolo, sottoposto alle visite di controllo i medici mi guardarono e mi chiesero come avessi fatto a campare tutti quegli anni, più di trenta, in quelle condizioni: insomma, stavo malissimo, poteva succedermi qualsiasi cosa in qualsiasi momento, e io la prendevo a cuor leggero, con il solo scopo di non far preoccupare i miei cari – già in uno stato d’ansia a causa di quanto ci accadesse intorno da anni, mi riferisco ai conflitti a fuoco giornalieri, a tutte le ore: le pallottole, il nostro pane quotidiano».

 

GOVERNO CONTRO OPPOSIZIONE

Giovanissimo, Christophe, vive il conflitto fra i militari del Governo e quelli legati al partito di opposizione. «Il Paese che dichiara guerra a se stesso, con la politica a farla da padrona e i diritti dei cittadini, di chiunque abiti il Senegal, lasciati sullo sfondo: la sensazione era quella che fossimo solo la cornice di un quadro confuso, brutto, come può esserlo un soggetto come la guerra che non porta mai niente di buono, se non lacrime e sangue, migliaia di morti e sfollati».

Torniamo al racconto del passato. «I miei genitori – riprende “Chris” – avevano provato anche a portarmi in un ospedale per sottopormi a una visita di controllo che ci spiegasse cosa avessi: per i miei genitori i continui attacchi che avevo erano da attribuire allo stato di ansia provocato dai fatti drammatici cui assistevo fin da piccolo: una specie di paura nel sentire colpi di pistola e fucile, vedere gente senza vita stesa per strada senza che qualcuno se ne prendesse cura per darne degna sepoltura».

Una volta in Italia, individuato il problema di salute, l’equipe medica si interroga come “Chris” ce avesse potuto sopravvievre in tutti questi anni. «Non avevo il diaframma, sono nato senza quel muscolo che permette di respirare correttamente: avrei dovuto sottopormi a delle cure, essere seguito da un medico, ma nel mio Paese il sistema sanitario non dava grandi certezze, purtroppo nessuno poteva aiutarmi».

 

«ODIO LA VIOLENZA…»

Christophe, mai pensato di imbracciare un fucile, schierarsi da una parte o dall’altro, con i governativi o con il gruppo di opposizione. «Odio la violenza, figurarsi l’idea di esplodere un colpo di pistola, di fucile contro un mio simile: intanto il conflitto continuava e ognuno di noi avrebbe dovuto armarsi e combattere per una o l’altra causa: questo è un conflitto civile, una guerra fratricida. Con il passare del tempo ho provato a mettere da parte un po’ di soldi e con questi a darmi alla fuga, lontano dal Senegal, alla ricerca della libertà, per vivere in pace e in modo decoroso. Nel lungo viaggio, per tutto il Senegal, attraversando l’Algeria, mi ritrovai in Libia. E’ proprio da lì che sono partito per l’Italia, insieme a connazionali e altri fratelli trovati durante questo mio percorso alla ricerca della libertà e di cure, tante cure: più andavo avanti e più avevo la sensazione che il respiro si complicasse ancora di più di quanto già non lo fosse, per arrivare finalmente nel vostro Paese».

Finalmente l’Italia, i medici, le cure, i diritti, la richiesta d’asilo. «Ho subito cercato un posto dove potessero curarmi, avevo come la sensazione di essere agli sgoccioli della mia vita: senza più soldi, mi sono presentato in un presidio sanitario; è stata la mia fortuna, da quel momento sono finito nelle mani di grandi medici, ma soprattutto grandi persone: tutti mi chiedevano di spiegare e rispiegare la mia storia, la patologia e, come dicevo, soprattutto come avessi campato fino a quei trentaquattro anni in quelle condizioni. Mi sottoposero a una terapia per poi compiere un intervento e la ricostruzione del diaframma».

Deve all’Italia se ha ripreso a respirare la libertà. «La Commissione territoriale ha riconosciuto al mio status la protezione umanitaria. Dovessi tornare in Senegal, sono convinto che tornerebbe a mancarmi il respiro e, stavolta, non per mancanza di diaframma, ma perché una volta respirata la serenità ti accorgi che non puoi più farne a meno, la libertà è la mia ricchezza».