Liberare per occupare
I combattenti del Califfato non smentiscono la ferocia che li ha caratterizzati fino ad oggi entrando nell’immaginario collettivo come spietati stroncatori di vite rispondendo all’entrata delle milizie irachene e curde a Mosul con esecuzioni sommarie fra i civili usate come monito alle tante donne e bambini utilizzati come scudi umani. La battaglia per la riconquista di Mosul durerà settimane e vedrà scorrere un fiume di sangue per la caratteristica che ha assunto: non è rimasto più nulla da distruggere, si combatte corpo a corpo fra le macerie. I raid aerei a firma USA hanno già cancellato la città facendo anch’essi strage di civili. E non è un fatto straordinario: per fuggire da Mosul si paga una cifra pari a cinquecento euro. Le alternative sono restare nel cuore di una battaglia o cadere prigionieri dell’ISIS per diventare un utile scudo umano per le milizie del Califfato. Il Pentagono ha reso noto di aver sganciato su Mosul già tremila bombe con i cacciabombardieri della Coalizione. Tremila, con un potenziale di morte e distruzione inaudito e incomprensibile: 1200 civili morti solo nell’ultimo mese ai quali si aggiungono i 672 morti fra i soldati delle forze alleate.
Nessuno può prevedere quanto durerà: l’esercito è costretto ad avanzare a piccoli passi per evitare zone minate, imboscate e attacchi kamikaze nella strenua difesa della città da parte del Califfato.
Dall’altro fronte, con la più grande arma a disposizione delle forze islamiste che hanno trovato nel web una straordinaria cassa di risonanza, vengono lanciati filmati e proclami che raccontano una storia assolutamente diversa capace di continuare l’opera di reclutamento di uomini pronti a sacrificarsi in nome della più grande deformazione vista nella storia dell’Islam: dei cinquemila soldati islamici presenti a Mosul, mille sono stranieri provenienti da Paesi Occidentali.
Intanto, nessuno resta a guardare di fronte ai nuovi scenari geopolitici che la fine di questo conflitto aprirà. La Turchia ha mobilitato il proprio esercito posizionandolo nella città di confine a nord con l’Iraq pronta ad intervenire nella battaglia finale per la presa di Mosul schierando 1500 sunniti usando a pretesto il pericolo rappresentato da possibili aggressioni sciite sui civili sunniti. Il Presidente turco Erdogan, con l’appoggio russo, ambisce a sedersi al tavolo che deciderà il futuro dell’Iraq anche per porre un argine all’impegno dei Kurdi in questo conflitto.
Nel contempo sale l’intensità della battaglia ad Aleppo, in Siria, dove le forze jihadiste rispondono, colpo su colpo, all’accerchiamento della zona est della città da parte delle forze governative.
Lontano da bombe e proiettili, il Fondo Monetario Internazionale ha affrontato in un summit convocato d’urgenza a Londra la grave situazione dell’economia libica, ormai al collasso: priva, ormai, anche dei servizi essenziali come l’energia elettrica che non viene più erogata da settimane, la popolazione di Tripoli è insorta. L’inflazione al 31% preoccupa gli occidentali che hanno grandi interessi economici in un Paese che hanno colonizzato e vandalizzato.
Liberare Mosul, riprendere Aleppo sono affermazioni che devono far riflettere: liberare per occupare? L’autodeterminazione dei popoli è un concetto chiuso a doppia mandata in un cassetto.