Rex, nigeriano, trentacinque anni

«Arrestato nel mio Paese, due anni di carcere, un’ingiustizia; in Libia, la mattina nei campi, la sera chiuso a chiave in una stanzetta, dormivo a terra. Due sogni: un lavoro decoroso e riabbracciare moglie e figlio. Mi impegno per un titolo di studio e imparare l’italiano».

«Due anni in galera, senza motivo, funzionava così: arrivavano i militari, stavi parlando con amici di un qualsiasi argomento, finivi “dentro” e non c’era santo che potesse aiutarti». Rex, nigeriano, trentacinque anni, fede cristiana, dallo scorso gennaio in Italia, ospite del Centro di accoglienza “Costruiamo Insieme”, racconta il suo Paese, conflitti interni e regime militare.

«Ero con amici e conoscenti in un bar – riprende Rex – commentavamo qualsiasi cosa, il più delle volte notizie di sport, niente di più: piombarono su di noi uomini in divisa, minacciandoci armi in pugno; un invito, brusco, a salire a bordo di mezzi militari, per poi rinchiuderci in un penitenziario; nessun processo, funzionava così, era stato sufficiente che fossimo un gruppo, fermi lì a parlare, quasi volessimo tramare qualcosa…».

Adunata (o radunata) sediziosa, si diceva un tempo in Italia, quando un incontro fra una decina di persone veniva considerato manifestazione ai danni del governo. Rex, comunque, insieme con quel pugno di amici finisce recluso fra quattro mura. «Tutto quel tempo mi è servito a consolidare l’idea di ingiustizia; se quando fossi uscito all’esterno non fosse cambiato niente, avrei seriamente pensato andare via».

Non era più la sua Nigeria, Rex la guardava con occhi più critici ormai, anche con una certa rabbia a cui, prima, non avrebbe mai pensato. «Due anni, un terzo praticamente condonato per buona condotta evidentemente: ero profondamente cambiato, un ribollire di sentimenti che fino a qualche tempo prima avevo contenuto». Non è facile, come si dice in Italia, prendere cappello e, in un attimo, lasciarsi alle spalle una storia, una famiglia. «A maggiore ragione quando si ha una famiglia, patriarcale, con papà, mamma e sei fratelli; e una famiglia tua, una moglie e un figlio. E’ complicato prendere una decisione così impegnativa, ma non c’era via d’uscita».

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LAVORO NEI CAMPI, AUTISTA, MECCANICO…

Nel frattempo la scomparsa del papà, scuote Rex. «Avevo a lungo lavorato come autista, accompagnando da una capo all’altro della mia città la gente che si spostava per lavoro; poi con papà nei campi, a raccogliere frutta e ortaggi rivenduti al mercato: quando mio padre muore, però, la mia vita subisce una brusca frenata; il mio genitore era, in qualche modo, garante del rispetto nei confronti del regime del Paese; insomma, non creavamo problemi a chi comandava, a noi interessava lavorare e portare a casa il necessario per sfamare una famiglia numerosa».

Rex fa l’autista, lavora nei campi. Non solo. «Non si può dire – ragiona il trentacinquenne nigeriano – che sfuggissi al lavoro, anzi, mi piace lavorare e possibilmente vedere in concreto i frutti del mio impegno; se faccio sacrifici, li compio per la mia famiglia, mia moglie Gloria, e mio figlio Kingsley, che ha appena compiuto dieci anni: li sento quando è possibile, le telefonate a casa prosciugano le tasche; dunque, mi sono specializzato in meccanica, non necessariamente su auto e camion, sono un portento su motori e motorini…». Motorini, non ciclomotori, ma sistemi meccanici come per l’approvvigionamento idrico. Dove ha vissuto Rex, fra Nigeria e Niger, Stati separati da un fiume, non esistono vere condotte. Portare acqua, in assoluto il bene di prima necessità, nelle case o nei villaggi, il più delle volte è possibile grazie a un sistema di motori e motorini. Sono questi ad attivare meccanismi che portano acqua un po’ ovunque: per bere e per l’igiene, ma anche per i campi, per qualcuno quei pochi metri di terra in cui ognuno coltiva ciò che può. «Sono diventato un tecnico specializzato, per me motori e motorini non hanno segreti; magari in Italia trovassi un posto da meccanico, posto che anche fare l’autista o lavorare nei campi non mi dispiacerebbe: qualsiasi lavoro, purché rispettato, è onorevole»

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SOFFERENZA SENZA FINE

In Italia per caso o di proposito. «Appena arrivato è sbocciato l’amore per questo Paese – sorride Rex – accoglienza e cordialità, vorrei restare qui, trovare un lavoro e finalmente chiamare Gloria e Kingsley, dire loro di preparare i documenti e raggiungermi perché ho trovato un lavoro; amici e connazionali sono andati altrove, io sono qui da un mese e mezzo, mi è bastato poco per capire cosa significa libertà e dignità: non finirò mai di ringraziare l’Italia per l’occasione che mi sta dando, devo ricambiare la fiducia, attivarmi e rendermi utile al Paese che mi ospita».

Rex ricorda il lungo viaggio per arrivare in Italia. Un lungo antefatto. «Dalla Nigeria passo in Niger, dove sto due mesi: piccoli lavori in cambio di cibo, di più non è possibile avere, mi accontento; per arrivare in Libia e cominciare a vedere all’orizzonte l’Italia, viaggio una settimana; lì resto più di un anno».Vivere alla giornata è complicato comunque. «Lavoro in campagna, da mattina a sera in cambio di un panino che divido in due: metà al mattino, metà la sera; resto chiuso in una stanza di un piccolo immobile nel quale abitano tutti quelli, come me, impegnati nella raccolta nei campi, quasi fossimo ai lavori forzati».

MOGLIE E FIGLIO NEL CUORE

«Ma tutto questo finirà un bel giorno!», si incoraggia Rex. In quella stanzetta si sente ai domiciliari, dorme a terra, il suo materasso sono gli indumenti che porta addosso e che la sera si sfila per sistemarli come meglio può. «La schiena a pezzi, a furia di stare piegato nei campi, poi a casa a dormire sul pavimento, ho ancora addosso i dolori». Poi un bel giorno, i “benefattori” decidono che gli otto mesi di lavoro sono finalmente sufficienti per “pagare” il viaggio. «Non solo per me, ma anche per altri colleghi: ci mettono tutti in auto, uno sull’altro, per arrivare al porto dove c’è altra gente in attesa dell’imbarco: in settanta, forse settantacinque, saliamo su un gommone; anche stavolta stretti, ma finalmente in viaggio per un’altra vita: incrociamo una nave mercantile spagnola, siamo salvi; saliamo a bordo, ci accompagnano fino ad una nave militare italiana che ci sbarca in Sicilia: Catania, poi in bus per Taranto, che oggi considero casa mia».

L’impegno di Rex che sta facendo un corso di alfabetizzazione nella sede di “Costruiamo insieme” nella sede di via Principe Amedeo. Quando cammina per strada si esercita, legge sottovoce le insegne dei negozi. «Studiare, imparare l’italiano, conseguire un titolo di studio e trovare un lavoro dignitoso: è metà sogno, l’altra metà è riabbracciare la mia piccola famiglia, moglie e figlio». Quando cammina per strada si esercita, legge sottovoce le insegne dei negozi. Le ha imparate a memoria, si sente davvero di casa qui.