Samuel, la sua storia e la “lavanda” durante la Settimana Santa
Nigeriano, trentuno anni, è stato invitato ad una funzione religiosa. Ospite di “Costruiamo Insieme”, fede cattolica, è stato uno dei dodici “apostoli” nella celebrazione ecumenica dell’abate Antonio Perrella. Sogna di fare l’elettrauto.
Clima di Passione. In tutta Italia sono diverse le funzioni e le manifestazioni religiose. Ad un paio di queste, la cooperativa “Costruiamo Insieme” ha voluto parteciparvi con alcuni suoi ragazzi. Una in particolare, lunedì sera, è stata quella che ci ha un po’ segnati, positivamente s’intende. Abbiamo conosciuto uno degli ospiti del centro di accoglienza. Protagonista è Samuel.
Di poche parole, talvolta accenna, a volte bisbiglia, quasi non volesse disturbare. Il mestiere ci ha insegnato che, di solito, chi parla, troppo, di solito esagera. Samuel non appartiene a quest’ultima categoria. Nigeriano, trentuno anni, fede cristiana, ha accettato l’invito che gli ha girato la cooperativa. L’abate Antonio Perrella, Superiore Generale dell’Ordine Monastico Ecumenico “Christiana Fraternitas” (Chiesa Episcopale – Comunione Anglicana), vuole compiere una celebrazione ecumenica della parola, con la commemorazione della lavanda dei piedi. Quando Gesù Cristo volle prostrarsi ai piedi degli apostoli, mostrando amore e umiltà insieme.«Grazie mille!», la risposta telegrafica di Samuel. «Accetto volentieri l’invito. Prego spesso, sono arrivato dalla mia Nigeria attraverso una storia dolorosa; pregare mi fa bene, rivolgermi al Signore mi fa sentire vivo».
Si racconta, Samuel. «Ho trentuno anni, papà, tre fratelli e due sorelle, mamma non c’è più; sento spesso tutti, sentirsi e vedersi con le videochiamate, non è più un problema». Facciamo insieme un tratto di strada in auto. Dalla sede di via Principe Amedeo, dove Samuel ci attende, fino al Monastero ecumenico di Taranto, accanto all’ospedale “Testa”. «Sono andato via di casa, problemi familiari, conflitti fra parenti a causa di interessi: da noi l’unica legge che conosciamo è quella del tono della voce; urliamo, se chi ci sta di fronte non comprende che sta superando ogni limite – come dite voi – passiamo alle vie di fatto. Io sono pacifico, la violenza non ha mai risolto un solo diverbio; così, invece di far valere i miei, i nostri diritti, alla fine i miei familiari mi hanno accompagnato all’“uscita”».
L’uscita è il confine della Nigeria. Qual è il motivo del contendere. «Meglio saperti lontano e vivo – parole di mio padre – che non a casa ma defunto: in un nostro terreno era stato scoperto petrolio, l’oro nero; l’interesse economico è la droga dei popoli, basta sentire lontano l’odore del denaro per andare fuori controllo; così nostri parenti hanno rivendicato una loro fetta di interessi, poi ancora un altro pezzo, fino a volere tutto, senza un motivo, solo perché si ritenevano più forti che furbi».
Samuel prosegue. «Ho attraversato strade, montagne, perfino il mare, inevitabile se oggi mi trovo qui. Ho salvato la pelle: nel mio Paese non fanno complimenti, se sei il problema lo risolvono alla radice, ti eliminano fisicamente».
Qual era il sogno di Samuel, cosa fa in Italia. «Volevo – confessa – ma lo voglio ancora oggi, fare l’“elettrauto”, riparare i circuiti, i motori delle auto, è il mio grande sogno: magari ci fosse un corso per fare esperienza; l’ho fatto sapere alla cooperativa, magari prima o poi succede qualcosa, chi può dirlo; in Nigeria lavoravo come operaio in una fabbrica di alluminio, insieme con i miei compagni di lavoro realizzavo infissi: bel lavoro, che però ho dovuto lasciare a causa di quei maledetti contrasti familiari. Non so starmene fermo, devo fare sempre qualcosa: voglio lavorare…».
Nota dolente. Ci facciamo spiegare. «In passato ho lavorato nei campi, non tutti i giorni – magari fosse stato così – ogni tanto facevo il mio bravo raccolto e poi tornare a casa: se vuoi essere stimato devi impegnarti, questo ho imparato stando qui in Italia».
Due anni fa l’arrivo due. «Fine aprile, il 30 di questo mese, compio due anni di Italia: un viaggio non molto lungo, in una imbarcazione di fortuna, con una trentina di ragazzi entro in mare alle quattro del mattino, nove ore dopo qualcuno a bordo di un peschereccio ci segnala a una nave che ci prende a bordo e ci lascia in Sicilia: quattro giorni per riprenderci, darci una ripassata e poi, finalmente Taranto, bella città: spero di restarci a vita, a meno che qualcuno non mi offra un corso e un lavoro da elettrauto in qualche altra città».
Ospedale “Testa”, 19.30. All’esterno, l’abate Antonio Perrella. Ci abbraccia, ringrazia “Costruiamo Insieme” per aver manifestato disponibilità nell’aver accolto l’invito alla celebrazione ecumenica. Samuel comincia con una “preghiera”. «Alle ventuno e dieci ho l’autobus per Massafra, non posso rinunciarvi: ce la facciamo a fare tutto per quell’ora?». «Certo – rassicura l’abate – siamo un po’ in ritardo, ma non dovremmo registrare ulteriori contrattempi». Lavanda dei piedi. Samuel è uno dei dodici “apostoli”. Sfila una scarpa, poi un calzino. Frate Antonio avvicina il catino pieno di acqua, l’asciugamano, compie l’atto di umiltà di Gesù Cristo. Scattano i flash. Fra gli “apostoli”, un solo nero. «I diversi siamo noi – fa notare l’abate – che abbiamo ancora sciocchi pregiudizi, quando invece ragazzi come Samuel, si stanno integrando nella nostra società con grande impegno».
Non finisce qui. Samuel parla un modesto italiano, viene invitato sull’altare e aiutato a leggere un passo della celebrazione. Ce la fa, non si emoziona più di tanto. Alla fine, il ragazzo nigeriano abbraccia gli officianti e quanti pendono parte alla funzione religiosa. «Samuel è un nostro fratello – dice frate Antonio – sentiamo di volergli già bene, ora ci impegneremo a trovargli un lavoro perché un giorno possa diventare indipendente».
C’è un solo particolare. Il ragazzo dal «Grazie mille!» per tutte le occasioni, si accorge che è tardi. «Ho perso l’autobus!», avverte senza disperarsi. «Sono le 21.30! Mi tocca trovare un passaggio per Massafra…». Amabile Samuel. «Faccio la strada a piedi, magari trovo un passaggio…». Non se ne parla nemmeno. «Cosa vuoi che siano venti minuti di auto!», gli diciamo. Lo imbarchiamo, lo accompagniamo a un passo da casa. «Dio vi benedica! Grazie mille!». Il Cielo benedica te, Samuel.