Haroon, pakistano, trentatré anni, operatore
«Moglie, tre figli, ho realizzato il mio futuro con “Costruiamo Insieme», dice “cavallo veloce”. «A diciannove anni, prima a Dubai poi in Libia, come tecnico di sistemi di allarme; tornato a casa, ho conseguito un titolo di studio, l’equivalente fra geometra e ingegnere… Nel 2016 l’occasione della mia vita con la cooperativa».
«Mi sento in famiglia e io, che di famiglia ne ho già una, so bene di cosa parlo…». Haroon, “cavallo veloce” nella sua lingua, pakistano di trentatré anni, ha chiaro il concetto. Da due anni e mezzo, operatore di “Costruiamo Insieme”, infatti sa perfettamente di cosa parla. «Grazie alla cooperativa ho potuto pensare a realizzare il mio sogno, ho moglie e figli, guardo al futuro con più serenità». Parla e osserva con discrezione il suo orologio da polso, guarda l’ora. «Abito e lavoro a Martina Franca – spiega – i primi tempi qualcuno aveva una certa diffidenza nei confronti miei e della mia famiglia: ci vedeva come se fossimo invasori…». Ma Haroon è veloce, come se fosse un cavallo di razza. Ha studi, carattere e voglia di integrarsi. Ci mette davvero poco a farsi conoscere. «Accettare? Non è una bella cosa da dire, diciamo che sono riuscito ad allacciare i primi rapporti con quelli che avevano qualche riserva mentale nei miei confronti: qualcuno, più avanti, mi ha spiegato che una ventina di anni prima erano arrivati stranieri da altri Paesi, non dall’Africa, né dal mio Pakistan, e che quelle esperienze non le hanno mai considerarle positive…». BASTA SAPERLO, MA PRIMA GLI EMIRATI…
Basta saperle le cose, informarsi, spiegarsi. Mostrare di avere voglia di stare sul territorio nel rispetto reciproco. «Non puoi pretendere siano gli altri a portarti rispetto – dice Haroon – se non sei tu il primo a mostrare la stessa disponibilità nei confronti del prossimo: ci ho messo poco, oggi ho un ottimo rapporto con la gente del posto, ho considerato il periodo di ambientamento come una cosa fisiologica, normale; io e mia moglie non siamo andati a vivere in un’altra città, ma in un altro Paese, dunque altra mentalità, altre abitudini, oggi mi sento italiano a pieno titolo…».
Mai pensare di sapere già tutto. «Mi impegnavo, apprendevo in qualsiasi Paese andassi, il mio obiettivo era imparare per poi tornare a casa, in Pakistan, e utilizzare gli studi per essere utile alla mia gente». Più o meno metà dei suoi trentatré anni, Haroon li ha impegnati in altre esperienze, sempre lontano da casa. «Da quasi quattro anni vivo in Italia, ho un lavoro grazie alla cooperativa “Costruiamo Insieme”, che non finirò mai di ringraziare per l’occasione che mi ha dato; oggi ho moglie e tre figli: primogenita femminuccia, gli altri due sono nati a Martina Franca; la mia signora fa l’estetista, mi dicono sia molto brava, lavora senza con questo trascurare i nostri figlioli».
Una storia, quella del giovane operatore pakistano cominciata più di qualche anno fa. Fissa ancora l’orologio, riprende il racconto. «A diciannove anni – prosegue – hai voglia di fare tutto e subito, mettere insieme un bagaglio di esperienza tale per poi tornare a casa; così mi trasferii a Dubai, negli Emirati Arabi, dove lavorai per quattro anni in un’azienda che si occupava di sistemi di allarme, un bel lavoro, anche se volevo studiare e crescere professionalmente. Tornai, dunque, in Pakistan e conseguii un titolo di studio equiparabile a un diploma fra geometra e ingegnere. Finiti gli studi, altra occasione di lavoro, sempre nell’impiantistica dei sistemi di allarme: stavolta in Libia, altri quattro anni, il governo di allora incoraggiava lo sviluppo, fino a quando non scoppiò la guerra civile e di colpo diventò tutto più complicato; difficile trovare di che sfamarsi, avevano dato alle fiamme l’aeroporto, distrutto buona parte delle vie di collegamento, non potevo più tornare indietro, cioè in Pakistan; unica soluzione: l’imbarco, sperare che oltre il Mediterraneo ci fosse un’altra occasione di lavoro; il lavoro, il mio chiodo fisso; non amo l’assistenza, le cose devo guadagnarmele con il sudore della fronte, il massimo impegno: sposato nel 2013, sentivo sulle mie spalle anche il peso della famiglia».LA LIBIA, LA GUERRA CIVILE, L’ITALIA
Dunque, il viaggio. «Mi informai, c’era qualcuno che stava organizzando un viaggio per l’Italia, occorrevano soldi, misi mano a quelle poche risorse economiche rimaste e ci imbarcammo: eravamo in centoventi, più o meno famiglie siriane, pakistane… Dieci ore in mare, poi all’orizzonte una nave militare italiana; l’equipaggio ci prese a bordo e ci accompagnò all’hot spot di Taranto: fummo ospitati per qualche mese fra Martina e Taranto, infine il passaggio al Centro di accoglienza di “Costruiamo Insieme”, quando un bel giorno – come vuoi definirlo il giorno che imprime una svolta alla tua vita… – un mio connazionale mi presenta il presidente della cooperativa, Nicole Sansonetti; un colloquio, la sensazione di aver fatto una buona impressione e dall’ottobre del 2016 il mio lavoro da operatore; parlo diverse lingue: italiano, inglese e arabo le principali, poi pastum, urdu, panjab…».
Operatore, massima professionalità. Svelato lo sguardo ripetuto al suo orologio da polso. «Devo tornare a Martina, devo essere lì intorno alle 17; devo muovermi prima, metti che sulla strada mi imbattessi in qualche imprevisto». Professionale, Haroon, “cavallo veloce” ma prudente. «Una delle due famiglie mi attende, mi ritengo molto responsabile: affetto e stima puoi solo guadagnarteli con il massimo impegno, come operatore a “Costruiamo Insieme”; come marito e genitore fra le mura domestiche».