Massimo Castellana, portavoce di “Genitori tarantini”
L’associazione presieduta da Cinzia Zaninelli nasce una sera fra amici. «Una piccola, in lacrime, chiede a noi tutti il perché i nostri figlioli non sono uguali a quelli del resto d’Italia. Una manifestazione e un gesto forte: mostrare i volti dei piccoli sfortunati che non solo un numero»
Fra gli ultimi ospiti negli studi di “Costruiamo Insieme”, Massimo Castellana, portavoce dell’Associazione “Genitori tarantini” di cui è presidente Cinzia Zaninelli. Detto che il propagarsi del Covid-19 (Coronavirus) non ha rallentato la nostra attività informativa, – prese le debite precauzioni – ecco un altro appuntamento con la rubrica “Con parole mie”.
Castellana, come e con quale esigenza nasce “Genitori tarantini”?
«In una serata particolare, durante un incontro tra amici, quando la figlia di uno di questi, sette anni, ci invita a vedere in tv un servizio su Taranto; piangeva, la piccola, abbracciata alla madre chiedeva il perché molti bambini tarantini si ammalassero e morissero».
Un interrogativo imbarazzante, specie se posto da un bambina.
«Infatti, cosa rispondi a una bambina che senza giri di parole ti rivolge una domanda così complicata nella sua risposta? Quella, pertanto, è stata l’occasione per fare qualcosa di mirato, creare un’associazione che denunciasse all’opinione pubblica, non solo locale, quello che stava accadendo sul nostro territorio: le storie dei nostri bambini e dei loro genitori. Dunque, siamo partiti dalle paure di uno dei nostri bambini, per dare voce alle tante storie che molte famiglie avevano vissuto o stavano vivendo a causa dell’inquinamento industriale. Le testimonianze, tristi, di bambini che hanno visto morire un compagno di scuola, di classe…».Un aspetto al quale non molti avevano posto l’accento.
«E’ terribile per un genitore perdere un figlio: un dramma inimmaginabile; dunque, bisogna pensare anche ai bambini, quanti come loro vengono travolti da storie simili: un piccolo è impreparato a uno choc così tremendo, con una città che vive ancora oggi una situazione improponibile».
Quattro anni fa il manifesto “I bambini di Taranto vogliono vivere”. Frase tanto semplice, quanto disarmante: quali domande e quali risposte da quando avete cominciato a dare voce ai “Genitori tarantini”?
«Lo striscione al quale lei si riferisce è un’immagine reale, scattata fra il 31 dicembre 2015 e l’1 gennaio 2016; tratta da un video di Gianfranco Curto, per dare spessore a uno slogan coniato dalla nostra presidente, Cinzia Zaninelli: “I bambini di Taranto vogliono vivere”, una frase che non dovrebbe essere pronunciata, perché in realtà i nostri piccoli chiedono solo di crescere come i bambini di tutto il mondo, pertanto il fatto che si debba ricorrere a una espressione di grande impatto presuppone ci sia un problema, molto serio. Quanto chiedono i nostri bambini lo abbiamo spiegato alle istituzioni, lo abbiamo scritto in una lettera indirizzata al Papa, senza purtroppo avere risposta; le domande sono sempre le stesse: come può, una comunità, essere trattata diversamente rispetto al resto d’Italia?».
Poi le domande che si pongono i grandi e alle quali, purtroppo, danno risposta.
«Madre di tutte le domande: come mai a Genova, l’area a caldo, che provoca problemi di salute, è stata chiusa perché incompatibile con la vita di cittadini e lavoratori del posto, e a Taranto no? L’Ilva dell’epoca, non solo quel ciclo produttivo lo ha trasferito a Taranto, ma lo ha pure potenziato, diventando – secondo un decreto governativo – strategica per l’Italia; quell’aggettivo, “strategico”, ha di fatto messo i tarantini spalle al muro: non si può tornare indietro».
Qual è stato il motivo di confronto con i dipendenti del siderurgico? Famiglie contro: chi a favore della chiusura, chi a difesa del proprio posto di lavoro.
«Ci sono stati dipendenti del siderurgico, ex Ilva, oggi Arcelor Mittal, che si sono posti la domanda e dati una risposta: non si può andare avanti così, quella fabbrica va chiusa, a cominciare dall’“area a caldo”; altri che, invece, lo dico col dolore nel cuore, intendono arrivare all’età pensionabile mantenendo il posto di lavoro: non c’è, però, condizione peggiore di chi – costretto a lavorare – crea problemi sanitari e ambientali non solo a se stesso, ma ai figli e all’intera comunità nella quale vive. Eppure, l’Articolo 32 della Costituzione considera la salute diritto fondamentale dell’individuo e del resto della collettività».
In quest’ultimo periodo il vostro impegno a nome di quei bambini che non ci sono più.
«Abbiamo organizzato una fiaccolata per ricordare quei bambini; raccolto foto e storie di genitori che hanno condiviso con noi il valore della manifestazione: se non si vedono i volti dei piccoli – mostrati a seguito di una liberatoria rilasciata dagli stessi sfortunati genitori – non si ha la netta percezione di cosa in realtà stia succedendo».
Un colpo allo stomaco, al cuore, alla coscienza della gente.
«Abbiamo mostrato che i numeri di cui si parla spesso, hanno un volto, un nome, un futuro negato; Umberto Follino, ci ha indicato una proposta che noi abbiamo raccolto e realizzata in un evento che ha richiamato quasi diecimila tarantini; contiamo di riproporre questa iniziativa – una volta debellata l’epidemia del coronavirus – ma stavolta ai nomi dei piccoli, aggiungeremo anche quelli di adulti e anziani: quando scompare un bambino, nei genitori lascia un vuoto incolmabile; ma penso che accada lo stesso a parti inverse, anche quando un genitore viene meno lascia il proprio figliolo nella disperazione: un piccolo che affronta la sua crescita senza avere accanto sé un genitore, compie un percorso sicuramente più difficile dal punto di vista psicologico».