Ius soli, un diritto ancora negato

L’incapacità di leggere i profondi mutamenti sociali ed il ricorso all’ideologizzazione in assenza di argomentazioni che reggano trasformano, in Italia, la discussione sulla necessità di rivedere la normativa sul diritto di cittadinanza in una bagarre nella quale si moltiplicano i prestigiatori di parole.

In tutto il continente americano, meta nel secolo scorso di grandi flussi migratori, lo ius soli, ovvero il diritto di vedersi riconosciuta la cittadinanza del Paese nel quale nasci è automatico.

In Italia, da decenni meta di migrazioni, questo argomento pare essere un tabù nonostante il tema metta le mani nelle viscere di un sistema di tutela dei diritti dei minori che dovrebbe essere al centro delle attenzioni.

E ad alimentare la preoccupazione vi è il fatto che il testo in discussione nel Parlamento italiano non prevede uno ius soli puro, ma pone una serie di vincoli e condizioni. Per fare qualche esempio, un bambino nato in Italia, potrebbe diventare cittadino italiano a condizione che almeno uno dei genitori si trovi legalmente in Italia da almeno 5 anni, avere un reddito annuo non inferiore all’importo dell’assegno sociale, disporre di una abitazione idonea, conoscere la lingua italiana.

Tutte condizioni che escludono da questa possibilità, almeno nell’immediato, la gran parte dei migranti presenti nel nostro Paese e la cecità con la quale si affronta l’argomento trascura o oscura il dettaglio importante che la proposta di Legge si applicherebbe solo ai nuovi nati.

Paradossalmente in questo scenario ad alzarsi sono le voci xenofobe e non piuttosto quelle della società civile che dovrebbe indignarsi di fronte all’approccio restrittivo di una proposta di Legge che affronta il tema dei diritti civili.

Il Comitato ONU per i Diritti dell’Infanzia ha indicato quattro principi generali, con lo scopo di fornire un orientamento ai governi per l’attuazione della Convenzione:

  • non discriminazione (art. 2), tutti i diritti sanciti si applicano a tutti i minori senza alcuna distinzione;
  • superiore interesse del minore (art. 3), in tutte le decisioni il superiore interesse del minore deve avere una considerazione preminente;
  • diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo (art. 6), non solo il diritto alla vita ma garantire anche la sopravvivenza e lo sviluppo;
  • partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art. 12), per determinare in che cosa consiste il superiore interesse del minore, il suo diritto di essere ascoltato e che la sua opinione sia presa in considerazione.

L’Italia garantisce questi diritti attraverso l’accesso ai servizi sociali, sanitari ed educativi, ma continua inesorabilmente a camminare sulla strada che guarda all’altro come al diverso, nel migliore dei casi da accogliere ma tenendo lontana l’idea che una società multietnica, multiculturale e condivisa sia possibile. E intanto la vita fa il suo corso e così mentre l’Italia discute, nel Cas di Bitonto tre nuove vite sono sbocciate, infischiandosene di ciò che i vivi pensano.