Impariamo dalla Finlandia, il Paese più felice al mondo

Una ricerca indica il nostro Paese al venticinquesimo posto. Meglio dello scorso anno (ventottesimo). Determinante la fiducia della popolazione nei confronti della propria comunità. Vivere a lungo è ugualmente importante che vivere bene. La serenità non dipende dalla busta paga.

Prima la Finlandia, Italia venticinquesima. E possiamo ritenerci soddisfatti perché, in realtà, il nostro Paese risale di tre posizioni.

Anche con la lunga stagione della pandemia, vale tutto. Anche i sondaggi. Su qualsiasi cosa, perché le proiezioni sulle quali lavorano i ricercatori possano di colpo tornare utili per una ripresa indispensabile e auspicata da chiunque.

Dunque, con la pandemia in corso, dallo studio su quale fosse il Paese più felice al mondo, è scaturito un verdetto che non ci coglie impreparati, conoscendo potenzialità e non solo dei Paesi scandinavi. E’, infatti, la Finlandia il Paese più felice al mondo.

L’Italia risale tre posizioni, dal ventottesimo al venticinquesimo posto nel report realizzato da “World Happiness”, la ricerca che annualmente stila la classifica dei Paesi più felici al mondo. Un’impresa per lo studio di ricerca, trovandosi quest’anno ad affrontare una sfida unica: analizzare, cioè, gli effetti della pandemia sul benessere soggettivo delle persone e renderli pubblici alla vigilia della Giornata internazionale della felicità in programma sabato 20 marzo.

Il posizionamento alto, come negli anni precedenti, dipende principalmente dalla fiducia della popolazione nei confronti della propria comunità, elemento che in questo momento di pandemia ha contribuito a proteggere il benessere delle persone. La Finlandia, dunque, si è confermata in testa alla classifica, mentre l’Italia ha guadagnato tre posizioni rispetto al recente passato.

 

ITALIA, NONOSTANTE IL COVID…

Forse in termini statistici la differenza è minima, ma questa diventa interessante se si considera che l’Italia è stato uno dei Paesi con una delle più elevate incidenze di vittime per Covid. Un dato ricavato in relazione al numero di abitanti, insieme a Stati Uniti, Regno Unito, Belgio, Spagna e Repubblica Ceca, per menzionare alcuni fra i Paesi sottoposti ad esame, detto che il report è supportato da varie organizzazioni, tra le quali, in Italia, per il quinto anno la Fondazione Ernesto Illy e Illycaffè.

Secondo Jeffrey D. Sachs, presidente dell’ente che pubblica il report da nove anni, dovremmo trarre insegnamento dalla lezione che ci ha dato il Covid. La pandemia, infatti, richiama a una maggiore responsabilità da parte degli esseri umani, in quanto ci ricorda tutte le minacce ambientali il più delle volte provocate dall’uomo. Non solo responsabilità, ma anche una urgente necessità di collaborare nonostante le difficoltà per ottenere la collaborazione invocata in ogni singolo Paese e globalmente. Il “World Happiness Report 2021” ci ricorda, dunque, che dobbiamo lavorare per il benessere piuttosto che per la mera ricchezza, che sarà davvero precaria se non miglioriamo il nostro modo di gestire la sfida dello sviluppo sostenibile.

Sorpresi nel vedere che in media non c’è stato un declino nel benessere generale, misurato sulla base della valutazione soggettiva delle persone e delle proprie vite – è l’opinione degli analisti –  una possibile spiegazione è che la gente vede il Covid-19 come una minaccia comune ed esterna, che tocca chiunque e che ha generato un maggior senso di solidarietà ed empatia.

È stato un anno molto duro ma se consideriamo le risultanze scaturite dal report, i dati mostrano significativi segni di resilienza, come la volontà di connessione sociale e la valutazione delle proprie vite.

 

E IL TASSO DI MORTALITA’

Domanda: “Perché i tassi di mortalità sono così diversi nel mondo?”. Bene, il report ha cercato di rispondere a questa domanda, sicuramente fra quelle principali. Il dato registrato a proposito contagi e morti da coronavirus è, infatti, molto più alto in America e in Europa rispetto ad Asia, Australia e Africa.

Fattori determinanti includono: età della popolazione, essere un’isola o meno, la prossimità ad altre zone altamente infette. Alcune differenze culturali, inoltre, hanno ulteriormente contribuito a modificare il tasso: la fiducia nelle istituzioni pubbliche; la conoscenza maturata in epidemie precedenti; la disuguaglianza nel reddito; la presenza di una donna come capo del governo e persino la probabilità di ritrovare i beni smarriti, come un portafoglio.

L’esperienza dell’Asia dell’Est mostra, per esempio, dimostra che politiche stringenti non solo hanno controllato la pandemia in modo efficace, ma hanno anche contrastato l’impatto negativo dei bollettini giornalieri relativi alle infezioni sulla felicità delle persone.

La salute mentale è stata una delle grandi ricadute della pandemia, ma anche del conseguentelockdown. Quando la pandemia ha avuto inizio, c’è stato un significativo e immediato declino nei livelli di salute mentale in diversi Paesi. Le stime variano molto a seconda dei criteri di misurazione ai quali si è fatto ricorso, ma il dato qualitativo è simile. Nel Regno Unito, per esempio, a maggio 2020 il tasso generale di salute mentale è stato di 7.7% inferiore rispetto a quanto previsto se non ci fosse stata la pandemia. Il numero di problemi legati alla salute mentale è stato superiore del 47%.

 

VIVERE, POSSIBILMENTE BENE

Vivere a lungo è ugualmente importante che vivere bene. In termini di numero di anni di vita “felici” a persona, il mondo ha fatto grandi progressi negli ultimi decenni, tanto che persino il Covid-19 non è riuscito a cancellare del tutto. Visti i vari lockdown dell’ultimo anno e il distanziamento sociale, è facile immaginare come la pandemia abbia avuto un significativo effetto sul lavoro, limitando i contatti tra colleghi e causando un aumento del senso di solitudine e di isolamento soprattutto in chi già ne pativa gli effetti.

In conclusione, le indicazioni ricavate autorizzano a pensare a un futuro del lavoro “ibrido”, con un maggiore equilibrio tra attività in ufficio e in remoto, in modo da poter mantenere le relazioni sociali più agevolmente e assicurare una maggiore flessibilità per i lavoratori. Nelle ricerche precedenti, infatti, hanno commentato gli esperti, si è evidenziato come lavoratori soddisfatti sono del 13% più produttivi.

In pratica, questa ricerca ha dimostrato che la felicità non dipende dalla busta paga e che i rapporti sociali e il senso di identità sono fattori molto più importanti.