Pino, sessantaquattro anni, trenta vissuti da recluso
«Avevo nove anni e tanta fame, mangiai un tozzo di pane, provai a rimediare: mia madre non me lo perdonò». Una brutta storia, priva di affetto e piena di carte bollate. Un risarcimento che non gli restituisce l’affetto e un’infanzia perduta
Potrà mai perdonarci, Pino, per i suoi trent’anni, chiuso in manicomio senza che avesse disturbi mentali? In quei manicomi, poi, dove il personale non aveva problemi a picchiare i pazienti e, quando questi manifestavano insofferenza, a legarli al letto. Roba da manicomio. Il tribunale gli ha riconosciuto cinquantamila euro quale risarcimento e lui, stanco anche di dover farsi riconoscere più che un indennizzo, le scuse legittime, alla fine ha accettato quella cifra. Ha trovato un avvocato, Serenella Galeno, che rispetto ai colleghi non solo ci ha messo professionalità, ma anche l’anima. Ce li immaginiamo quegli avvocati che si sono smarcati da un simile incarico: «Causa lunga, troppe carte da compilare, scale di tribunale e chissà se, alla fine, riusciremo mai a venirne a capo!». Ecco perché un “grazie”, a Pino per aver accettato le scuse di questa società, e al suo avvocato, dobbiamo proprio tributarlo. Ci alleggeriamo la coscienza, ma le nostre scuse non cancelleranno mai quei trent’anni in cui Pino è stato trattato da pazzo, in manicomio, quando pazzo non lo era mai stato.
Ci sarebbe una terza storia, l’accenniamo appena. Pino, lì dentro, ci finisce all’età di nove anni, da bambino: la mamma lo punisce, non va a trovarlo, non chiede nemmeno come stia, lo dimentica. Tanto, avrà pensato quella mamma che mamma non è, di figli ne ho altri cinque. Quante punizioni ha subito, Pino. Scusaci, scusaci, scusaci.
Di questa storia se n’è occupata Simona Berterame. L’ha ripresa per Fanpage, puntuale come sempre nello scovare piccole, grandi storie e per trattarle con tatto e discrezione.
TUTTO COMINCIA NEL ’67…
Pino viene rinchiuso in manicomio il 12 dicembre del 1967. Ha nove anni, è un bambino senza patologie. Accade a Girifalco, paesino calabro noto per aver ospitato un manicomio per quasi cento anni. Tutto comincia nella disperazione più pura: il tentativo di furto di un pezzo di pane. Pino non ha il papà, in compenso ha una mamma molto severa, è l’ultimo di sei fratelli. Una mattina di quel freddo dicembre Pino viene mandato dalla mamma a comprare il pane. Nel tornare a casa, la fame gioca un brutto scherzo. Il morso a quel tozzo di pane gli cambierà totalmente la vita.
«Mangiai tutto il pane appena preso al mercato – racconta Pino a Fanpage.it – mia madre mi avrebbe riempito di botte, perciò sono tornato indietro per provare a rubare un filone ma sono rimasto chiuso nel negozio e la mattina dopo mi hanno beccato».
La polizia comunica alla madre di Pino che lo porteranno via: la donna non andrà mai a trovarlo in manicomio. Quel bambino, letteralmente abbandonato, invocherà per un a vita l’affetto. Non incontrerà mai una volta nemmeno i fratelli, tutti più grandi di lui. Pino da evitare, condannato una seconda volta. Dallo Stato, che lo risarcirà con poche decine di migliaia di euro, e dai suoi “cari” che lo eviteranno come fosse un appestato.
Eppure, Pino è solo un bambino. Non ha patologie, ma gran parte della sua vita sarà costretto a trascorrerla rinchiuso in un manicomio: cose da pazzi! La sua cartella clinica, perfino, riporta una diagnosi che lo scagionerebbe in quattro e quattr’otto: carenza affettiva, ricoverato per ragioni umanitarie.
«Ho tentato di scappare ma non c’è stato verso – confessa a Fanpage – lì ti picchiavano, sono stato anche legato al letto solo perché mi ribellavo; da bambino mi mettevo a guardare le persone passare da dietro le grate delle mie finestre e pensavo: guarda che bello lì fuori…».
UNICO AL MONDO
Il suo è un caso giudiziario unico al mondo, un paziente internato in manicomio che chiede di essere risarcito per gli anni di vita persi. Non fosse per un lieto fine, anche se gravemente in ritardo, la storia di Pino ricorda in alcuni tratti “Dov’è la libertà…?” con Totò diretto da Roberto Rossellini. Un uomo ingiustamente condannato viene rilasciato dopo tanti anni, ma trova un mondo cambiato, i suoi cari che lo canzonano.
Dopo dieci anni di processi Pino ottiene un risarcimento di 50mila euro per il “riconoscimento della responsabilità dei sanitari per aver eseguito un ricovero illegittimo”. I giudici hanno riconosciuto la sussistenza del “danno non patrimoniale individuabile nella perdita di chance dall’essere inserito in un nucleo familiare”. Pino ha solo perso l’occasione di non crescere in una famiglia circondato da affetto. Questo dice la sentenza, anche se a noi pare una cosa enorme.
Pino è rimasto a Girifalco, vive con una modesta pensione con sua moglie Angela. Fa l’artigiano, ha sessantaquattro anni e sta provando a riprendere in mano la sua vita, anche se tutti gli anni perduti non glieli darà indietro nessuno. «Mi è mancato tutto – ha dichiarato – ma ormai il passato è messo sotto una pietra, non si può tornare indietro». Pino, grazie anche per questa lezione.