Scappato dal suo villaggio, lo avevano obbligato a sposarsi
«Di notte ho raccolto le mie cose e sono andato via. Poco per volta ho rivelato ai “miei” il motivo della mia scelta. Sto meglio con gli amici, non cerco l’anima gemella e sorrido alle battute, purché non volgari, sul machismo e l’omosessualità. In Italia sto bene, ma tornerei in Africa anche domani»
«Sono scappato dal mio Paese, volevano mi sposassi con una ragazza che conoscevo fin da bambina: dissi no, sapendo quanto sarebbe accaduto a un mio rifiuto, così fuggii di notte…».
Giovane, ma non diciamo età, nazionalità, né fede religiosa. Tante volte a qualcuno venisse in mente di indagare. Non gli diamo un nome, nemmeno di fantasia, tante volte suoi amici, che forse conoscono la sua natura, chi può dirlo, cominciassero ad avere atteggiamenti diversi da quelli che oggi hanno con lui.
«Sono omosessuale, è questo il motivo che mi ha spinto a lasciare il mio Paese, nel quale sogno di tornare un giorno: perché io, in Africa, voglio tornarci, perché finalmente parenti e amici accettino la mia diversità; ho un profondo rispetto della fede altrui, delle scelte politiche che posso non condividere, ma le rispetto, se queste ovviamente non sono violente».
Raccontiamo la storia dopo averlo rivisto. Quella volta in cui provò ad aprirsi mordendosi poi la lingua, era in compagnia di due amici che ci avevano raccontato la loro storia. Fu un attimo, un sorriso, stava per farcela. Fu invece frenato dai pregiudizi che i suoi due amici potevano avere o avrebbero potuto in qualche modo avere da quel momento in poi. Non insistemmo, lasciammo scivolare la cosa. Mostrammo il notes con gli appunti. Lui, per qualche istante fissò penna e taccuino, apprezzando il fatto che in quell’istante non scrivessimo, men che meno facessimo un piccolo segno, ci fossimo lasciati andare ad una scorrettissima “x” oppure segnassimo un asterisco, come a volerci ricordare di una storia sulla quale tornare in altra occasione. Non siamo mai stati alla ricerca di clamore. Di giustizia, rispetto civile, quello sì.
«NON VOGLIO NOIE…»
Insomma, non saremmo tornati sull’argomento se non lo avessimo rincontrato di sfuggita. E ci avesse in qualche modo autorizzato a scriverne, facendo attenzione al modo con cui avremmo trattato la sua diversità. «Non voglio noie – ci ha detto – la gente ci mette poco a inquadrarti; da quel momento comincerebbero a trattenersi, a non fare più battute cui si lasciavano andare fino al giorno prima e sulle quali ridevano da matti: io questo non lo voglio; anche una battuta sulla diversità, se non è sciocca, volgare, va anche bene: io, per esempio, ne so tante sul “machismo” e quando ne ho voglia le tiro fuori, senza per questo suscitare risentimento, anzi insieme ai miei amici ridiamo come matti».
Non solo questo, il nostro interlocutore racconta il motivo della sua fuga. «Voglio che la gente capisca qual è stato il motivo della mia fuga, perché chi ci legge capisca quanto ho patito e, in qualche modo, continuo a patire; nel mio villaggio la mia vita scorreva nella normalità – ammesso che fosse normale mangiare una sola volta al giorno e studiare, se solo avessi avuto i soldi per comprare quaderni, una penna e almeno un libro… – giocavo, ma lavoravo anche nei campi, facevo da assistente a un venditore ambulante, mi divertivo a stringere bulloni con il meccanico del villaggio; era importante che, come i miei fratelli, non pesassi sul bilancio familiare: mio padre e mia madre si sfiancavano da mattino a sera per sfamarci e, possibilmente, farci studiare, così diventava importante anche un nostro modesto contributo».
Papà e mamma avevano una certa fretta perché i più grandi si sistemassero. «A me sarebbe toccata un’amica, carina, ma che non mi diceva nulla. Mi capitava di sentire gli apprezzamenti che rivolgevano alle ragazze i miei compagni di gioco quando avevamo dodici, quattordici anni: ridevo, ma ancora non avevo bene in mente cosa potesse affascinarmi; di sicuro non sentivo attrazione per le ragazze, anche se non me ne facevo una colpa: con il tempo scatterà anche questa molla, mi dicevo. Invece, passavano i giorni e gli anni e, soprattutto, si avvicinava la data del fidanzamento ufficiale, ma io non ero entusiasta».
«PAPA’ PERDONAMI…»
Cosa si porta nel cuore, il nostro amico. «La fuga notturna dal villaggio: non volevo dare dispiaceri a papà e mamma ormai in parola con i genitori di quella che avrebbe dovuto essere mia moglie; nemmeno i miei fratelli erano al corrente della mia fuga: quando ci siamo sentiti tempo dopo, sulle prime ho inventato una bugia, raccontando di un furioso litigio con gravi minacce fisiche, poi ho pensato che la cosa migliore una volta calmate le acque fosse dire la verità».
Le parole che ha usato. «Non le ricordo perfettamente, perché ero in uno stato confusionale, ricordo però il senso di quella confessione: “Papà, non voglio darti un grave dispiacere, ma la nostra vicina non mi affascina, non provo nulla per lei, ma se devo essere sincero finora non ho provato attrazione verso ragazzi: una cosa è certa, sto bene solo quando sono in compagnia dei miei amici”…».
Italia, Africa. «Non ho ancora chiaro nella mente cosa fare: amo questo Paese, accogliente e ospitale, ma un giorno mi piacerebbe tornare in Africa, forse nel mio stesso villaggio perché vivrei in un incubo, ma ho voglia di riabbracciare la mia gente, il mio popolo, che al di là della fede e dei pregiudizi, penso stia facendo molti passi avanti; dovessi restare in Italia, resterei volentieri, ma se un giorno si presentasse l’occasione di tornare a casa, non avrei dubbi. Diciamo che per un 49% resto qui, per un 51% tornerei volentieri in Africa…».