Piero Massafra, docente, editore, operatore culturale
«Non bastano Castello aragonese, Museo nazionale, Città vecchia, questi li visiti in un giorno e mezzo. I problemi economico, finanziari e occupazionali, si risolvono diversamente. Vi spiego…»
Piero Massafra, docente, operatore culturale, editore. Qual è oggi la sua visione di Taranto?
«Bisogna fare confronti, diversamente non si hanno riferimenti. Le forze nuove che si affacciano sulla ribalta tarantina sono soprattutto i giovani. I giovani, però, sono in crisi: non c’è lavoro, non c’è prospettiva, dunque, inevitabilmente si distaccano dalla città. Esistono fermenti, non si può negare, però mi pare che tutto questo non abbia un indirizzo preciso verso cui muoversi. Certo, la cultura contemporanea non aiuta ad approfondire i temi: non per scimmiottare Bauman, ma questa è una società liquida, tutto è immediatamente fruibile, ma anche allontanato; gli strumenti di comunicazione non giovano ad un rapporto costruttivo, forte, pensato per una città come Taranto. Perché Taranto è sempre una enclave: lo è in Puglia, lo è in Italia; è la terza città del Sud del nostro Paese, ha una storia straordinaria, ma ha internamente problemi di sopravvivenza; adesso, pare, trovato una quadra per l’Ilva: personalmente non sono a favore, né contro l’industria, non si può eliminare il tutto in un’unica soluzione: si fa fatica, però, a comprendere è che Taranto è costruzione recente – lasciamo stare la Città vecchia cui affidiamo millenni di atrofizzazione – in quanto fondata centocinquanta anni fa; e questo incide non poco nel rapporto di pancia con la città: Taranto è stata fondata da una immigrazione che nel giro di pochissimi anni ha portato da diecimila a ottantamila abitanti; viviamo apertamente un rapporto con la città, ma all’interno siamo ancora un po’ calabresi, friulani, campani e questo non giova al costrutto civico. Qualcosa sta cambiando, le nuove generazioni che non hanno più quelle forti radici familiari incominciano, forse, ad avere un senso di appartenenza. Dunque, vedo Taranto aperta a diverse soluzioni, ma francamente non posso dire quale possa essere la soluzione primaria: non credo nel turismo, il turismo è una cosa seria».Piero Massafra, editore, le pubblicazioni, i riscontri di un lavoro di decine di anni.
«Da più di trent’anni la Scorpione editrice è sul territorio, non è uno scherzo: tremila, tremilacinquecento titoli pubblicati, molti dei quali si muovono nella bibliografia internazionale. Un nome, forse, fastidioso: lo scorpione non è un animaletto che vorremmo trovarci in casa; uno degli antichi stemmi della città, non quello classico, bensì post-classico, fu realizzato anche per dire “Noi veniamo dopo, scopriamo anche quello che non sappiamo, ma che c’è stato”; in buona sostanza, del mondo classico si sa, è la parte internazionale della fama di Taranto, così la “Scorpione” nacque con queste finalità aprendo a operatori culturali degli Anni Sessanta, primi Anni Settanta.
La casa editrice ha pubblicato il 90% di quello che riguarda il Museo nazionale della Magna Grecia, il che significa lavori non rivolti alla città, ma a tutto il mondo della scienza e del turismo significativo: aggiungo inoltre, con soddisfazione, che da qualche anno esiste grande attenzione sulla città; sono state sufficienti due, tre trasmissioni forti di una tv come “Sky”, perché una certa fama di Taranto diventasse planetaria; dunque, c’è una ricchezza di ricerca e di richiesta sulla nostra città, tanto che l’incremento dei visitatori ha determinato una crescita nelle vendite; vendite che si muovono in tutto il mondo, considerando l’effetto a catena: parte dall’informazione, proseguendo con pubblicazioni di valore, ha contribuito al far ririfiorire questo senso di appartenenza. Ecco, forse, bisognerebbe scommettere molto su questo».
I tarantini, il loro rapporto con i libri. Quanto leggono?
«Come riferimento ho le mie edizioni: prima i tarantini leggevano di più. Abbiamo un settore, fondamentale della Casa editrice, che è quello scientifico, divulgativo, soprattutto arte e archeologia, storia; per quanto riguarda altre cose, la letteratura tarantina, devo dire che i tarantini di una generazione che oscilla fra i cinquanta e i sessant’anni – quella sostanzialmente meno curata dalla cultura ufficiale – avverte il desiderio di recupero, apprendimento, curiosità; le cose di e su Taranto, lo dico con dispiacere, i giovani non le leggono. Forse perché bombardati dalla pubblicità delle grandi case editrici che promuovono i grandi nomi, che alla fine risultano piuttosto “leggerini” nei contenuti – mi permetto questa osservazione – ma non trovo ci sia tutta questa grande richiesta da parte del mondo giovanile tarantino; la fascia fra i cinquanta e i sessanta, invece, resiste e vuol sapere leggendo. Forse perché come me non sa usare il telefonino…».Cosa aggiungerebbe o toglierebbe a Taranto?
«Toglierei tutto quello che ci ingombra, dal carattere un po’ buffonesco, che fa parte della nostra jacquerie, di un popolo che non riesce mai ad essere tale e risulta sempre così ammiccante al plebeo; manterrei, invece, come punto di riferimento la vera aristocrazia tarantina: quella operaia, che viene dalla tradizione arsenalotta, insegnava ai figli a dover studiare perché la vita non è uno scherzo, ma un impegno per tutti: questa parte, Taranto, non l’ha mai curata, poteva invece essere un punto di partenza per una generazione popolare di grande dignità».
Una battuta ancora al turismo: Castello aragonese, Città vecchia, Museo nazionale della Magna Grecia, non bastano?
«Il turismo è una cosa più complessa, abbiamo punti di riferimento di grande eccellenza per un turismo colto, ma se proviamo ad immaginare il “grande turismo”, quello che risolve gran parte dei problemi economico, finanziari e occupazionali, dobbiamo arrivare a pensare che per raggiungere il mare deve esserci anche uno strumento per arrivarci; per andare al mare, dobbiamo trovare un mare libero, non inquinato, non assediato; il turismo che risolve il problema, pertanto, non è quello rappresentato da chi viene a Taranto con il desiderio di vedere queste tre cose, sta un giorno e mezzo e va via: il turismo è un’altra cosa».