Saikou, diciotto anni, guineano
«Il mio sogno: studiare, stare fra banchi di scuola e libri che odorano di stampa». Invece, una vita fatta di corse e fughe. «Non ho genitori, un solo fratello, che un giorno spero di riabbracciare». Mali, Burkina, Niger e Libia. «Rinchiuso, picchiato per tre mesi, poi uno spiraglio, il viaggio in mare, l’Italia…»
Saikou, diciotto anni, arriva dalla Guinea. Due anni fa. Spinto da «motivi familiari», dice. Lui che non ha famiglia, se non un fratello, un anno più grande di lui. Viene da una terra in eterno conflitto, sanguinosi scontri etnici. «Io e Moumo, questa è la mia famiglia: non abbiamo genitori, fin da piccoli ci è toccato farci strada da soli». Il suo viaggio verso l’Italia non è semplice. Dalla sua Guinea passa attraverso uno, due, tre stati. Arriva in Libia, trascorre più tempo sottochiave in un locale, la sua prigione. Lo ha stabilito una banda di civili, armata, che intercetta migranti in fuga. Saikou, come altri, viene picchiato a prescindere. Che alzi lo sguardo, chieda di andare in bagno. Fosse per lui, respirerebbe l’aria dei campi nei quali spezzarsi anche la schiena, ma mettere in tasca soldi buoni per pagarsi il viaggio su un gommone verso l’Italia.
A Saikou piace studiare. E’ stato sempre affascinato da libri e banchi di scuola. «Non abbiamo potuto permetterci – spiega – questo stile di vita; mio fratello ha perseverato, ha seguito il suo istinto: prova a fare il commerciante, non che abbia chissà quali risorse, ma cerca di mettersi in tasca spiccioli vendendo scarpe e borse; non è sempre facile farcela, la gente nel mio Paese piuttosto che farsi una borsa o un paio di scarpe nuove, preferisce mettere risparmi da parte nel caso andasse peggio di quanto non stia andando da tempo».
GUERRA ETNICA, LA VITA E’ UN INFERNO
Conflitti etnici, focolai ovunque. Dalle prime luci del mattino è un «Si salvi chi può!». E chi può farlo, salvarsi, non avendo tanti legami familiari, si dà coraggio. Prepara uno zainetto per spingerci dentro l’essenziale e quella rabbia che monta da bambini. «Quando ti guardi intorno e non senti la protezione di un genitore, ti tocca crescere in fretta: non hai tempo per pensare, qualsiasi decisione devi averla già presa; non è consigliabile girarsene da soli per strada, può succedere di tutto: un uomo fuori controllo ti sferra una coltellata; una pallottola vagante, parte da un fucile che un ragazzino sta pulendo e ti centra in piena fronte».
Sciagure tanto al chilo in ogni angolo di strada. Per questo, Saikou, un bel giorno, blocca per pochi istanti il fratello che sta andando ad aprire quella piccola attività che a malapena li sfama. «Moumo – gli ho detto – non è il momento di farsi venire rimorsi, parto, vado via: la nostra è una brutta vita, una speranza ridotta al lumicino, non me la sento di continuare a vivere in queste condizioni».
Parla chiaro Saikou, nonostante i suoi sedici anni. Perché il giovanotto dal sorriso contagioso, un capo cosparso di riccioli, da due anni risiede in Italia. «Grazie all’aiuto e alle indicazioni del Centro di accoglienza “Costruiamo Insieme” – racconta – ho realizzato il mio primo sogno: frequentare una scuola vera, il “Pacinotti”: è lì che un giorno dopo l’altro sto imparando a parlare e scrivere l’italiano, non senza qualche difficoltà, ma i professori – tutti bravissimi e pazienti – mi incoraggiano, dicono che con l’impegno che metto tutti i giorni, i primi risultati arriveranno».
CORSO DI SALDATORE, MAGAZZINIERE QUANDO CAPITA…
Fa progressi. L’italiano lo comprende, meglio se quando qualcuno gli parla scandendo le parole. «Non mi sono fermato ai libri, anche se adoro leggere: quando ero piccolo e sognavo di diventare uno di quei professoroni che si vedono in tv, con tanto di occhiali, sapevo che le pagine dei libri dovevano avere un profumo speciale; sfogliare e leggere resta la mia passione, ma devo fare i conti con la realtà, allora sto imparando un mestiere: ho fatto un corso da saldatore, hai visto mai in un cantiere cercassero uno che abbia quel brevetto e mi chiamano».
Due sogni in uno, da quando Saikou è in Italia: “letterato” e saldatore professionale. «Voglio trovare un posto di lavoro, non dico fisso – quello so perfettamente che, oggi, somiglia più a un miraggio – ma costante; poi spetterà a me dimostrare l’impegno, e non necessariamente da saldatore: in attesa di un impiego che mi dia una certa sicurezza, ho trovato un’occupazione saltuaria, un datore e compagni di lavoro splendidi: faccio il magazziniere in un’attività della provincia tarantina, mi trovo alla perfezione, mi chiamano quando c’è lavoro e per questo li ringrazierò sempre».
IL DITO E LA PIAGA
Il dito nella piaga, gli chiediamo del viaggio. Vogliamo avvicinare chi ci legge al mondo di un ragazzo africano che ha buona volontà e voglia di riscatto. «Parto dalla Guinea, entro in Mali, poi Burkina e Niger, anche se la mia idea di partenza è una sola: la Libia; lì c’è lavoro, modo di mettere insieme quei soldi – pochi o molti, chi può saperlo alla partenza – che mi permettano di pagarmi il viaggio verso l’Italia».
Ma la Libia, che da lontano vale un Perù, tanto dà l’idea di ricchezza, purtroppo non è così affascinante. «Cinque in quel Paese, tre imprigionato, ostaggio di una banda armata; fermato, più che arrestato: mi chiesero subito se avessi soldi, solo in quel caso mi avrebbero lasciato andare: non avevo un centesimo, così cominciò la mia tortura quotidiana; “Non hai parenti che ti mandino soldi?” e io, “Non ne ho, sono fuggito per fame!” e giù botte, ma di quelle vere».
Un sorriso amaro spunta sulle labbra di Saikou, quando gli chiediamo uno dei tanti motivi che spingevano questi aguzzini a colpirlo con la canna di un fucile alla testa o un calcio in pieno viso. «Non c’è mai un motivo – scuote la testa, stupito della domanda – quando quella gente decide di colpirti; lo fa per il gusto di provocarti una ferita: quella, secondo loro, aiuta a ricordarti che hai un debito con loro e che la tua vita è nelle loro mani».
TRE MESI DI TORTURA, NON AVEVO SOLDI
Dopo tre mesi di torture, uno spiraglio. «Un signore – il Cielo lo assista, ovunque lui sia – ha bisogno di un aiuto, mi riscatta e mi porta con sé: per lui ho lavorato due mesi, in campagna, ad accudire animali».
Due mesi di lavoro, lo spiraglio diventa un raggio di sole. «Quel signore in qualche modo mi premia, mi mette a bordo di un furgone nel quale ci sono altri che hanno la mia stessa destinazione, il porto di Tripoli; dopo quattro ore di viaggio, vedo tanta gente, duemila, forse tremila persone; tante imbarcazioni sulle quali saliamo quasi a casaccio, la cosa principale da fare è liberare al più presto la spiaggia». Arrivano a largo, avvistano una nave militare italiana, salvi. «Saliamo a bordo, ci assistono e ci accompagnano direttamente a Taranto; io e poche decine di ragazzi restiamo qui, altri vengono assegnati ad altre destinazioni».
Lo studio, il profumo dei libri, un mestiere fra le mani. «Mi piace la gente, il rispetto, dovessi trovare un lavoro vero qui in Italia, mi piacerebbe un giorno tornare in Guinea, riabbracciare mio fratello…».