Nico Pillinini, autore dei disegni della mostra “Oltre il muro”
Castello aragonese, la prigione di Edmond Dantès. A Taranto fu imprigionato il Conte di Montecristo, in realtà padre mulatto del famoso scrittore francese. «Per l’occasione sono tornato al mio primo ciclo di studi. La satira devi avercela, non puoi impararla. Quella sul presidente Pertini la vignetta alla quale sono più affezionato. Al Quirinale il thè con il Capo di Stato italiano più amato»
Nico Pillinini, disegnatore, da quarant’anni vignettista fra i più quotati. Dal Quotidiano di Puglia alla Gazzetta del mezzogiorno, con la quale è impegnato ancora oggi, le collaborazioni con i quotidiani Repubblica (Satyricon), l’Unità (Tango), Gazzetta dello sport (Gong), Corriere dello sport, le riviste Oggi e Gente. E’ l’autore dei disegni della mostra “Oltre il muro” allestita nel Castello araginese di Taranto, e dedicata al generale Alexandre Dumas, padre dell’omonimo autore del più grande romanzo d’appendice dell’Ottocento, “Il Conte di Montecristo”. La vicenda del Conte più famoso della letteratura, passa da Taranto. E’ qui che per due anni, il primo ufficiale “coloured” della storia e dell’esercito napoleonico, trentanovenne, fu recluso per due anni fra maltrattamenti e gravi ristrettezze ispirando vicenda e vendetta di Edmond Dantès. Nel libro del Dumas scrittore, la prigione è il Castello d’If, Marsiglia, mentre nella realtà quei pochi metri di cui disporrà per circa un paio di anni Dumas padre, a partire dal 1799, sono quelli del Castello aragonese di Taranto.
Ma torniamo all’autore dei disegni della mostra aperta al pubblico (è sufficiente prenotarsi). Dalle vignette con la Gazzetta del mezzogiorno alle illustrazioni. Pillinini, un ritorno alle origini, una riscoperta.
«Sicuramente, merito di Tonio Attino, presidente dell’associazione “Amici del Castello”, mente pensante della mostra; mi contattò chiedendomi la collaborazione a un progetto che non aveva del tutto chiaro: faremo qualcosa insieme, mi promise; l’occasione si presentò successivamente, così mi chiese se fosse stato possibile che tornassi indietro nel tempo riappropriandomi dei miei primi studi da disegnatore e pittore, prima di dedicarmi alla satira in veste di vignettista, cose evidentemente diverse fra loro: confesso, ero titubante, gli avevo perfino consigliato di trovare un altro che fosse all’altezza del progetto, niente, lui voleva che me ne occupassi io; alla fine sono fiero del risultato: colori e pennelli, perfezionato con photoshop».
E’ un mestiere che consiglieresti, oggi? Quando hai cominciato a dedicarti a questa attività?
«Disegno da quando ero bambino. A qualsiasi disegnatore ponessi questa domanda, ti risponderà in modo più o meno simile: la passione, innata, si manifesta, fin da piccolo: è un po’ come se chiedessi a un calciatore da quanto tempo giochi, da bambino, inevitabile; più tardi ho frequentato il Liceo artistico, prendendo sempre voti alti; i miei compagni venivano a scuola, io esponevo e vincevo premi, tanto che i miei dipinti quotati sul Bolaffi».
Consiglieresti lo stesso percorso?
«In quegli anni, Taranto era un brulicare idee, mostre d’arte, gallerie; ricordo da studente, giravo per assistere ad esposizioni; oggi, il deserto: oggi non è semplice suggerire ad un ragazzo di intraprendere la strada dell’arte, gli stessi genitori non lo vedono come un lavoro. Conrad, per esempio, un giorno ebbe a dire: come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra io sto lavorando…».Qual è la tua finestra?
«A differenza di Conrad, non ho finestre; ho, invece, un “bunker”, quasi fossi Capo di Stato, un seminterrato, è lì che raccolgo le mie idee, le mie armi sono le matite; la mia finestra, se proprio vogliamo darle un’identità, è il computer, lo accendo e mi affaccio sul mondo, è da qui che traggo ispirazione per le mie vignette, i miei libri».
Le tue “armi”, affilate, in quanto fai satira. Esiste una scuola o se la satira non ce l’hai nel sangue non puoi impararla?
«Non puoi impararla. Esiste la scuola del fumetto, quella sì, lì puoi migliorare certe attitudini; la scuola può affinarti, a condizione che abbia già passione, conoscenza per fare l’artista, una certa componente di humor, satira, per realizzare vignette, che poi sono componimenti, articoli, riflessione, un risultato alla base di uno studio».
Come si riconosce uno stile, un tratto?
«Chi mastica la materia, intuisce subito l’autore, gli è sufficiente anche un angolo del disegno: Forattini, Vauro, Ellekappa, riconoscibilissimi…».
Pillinini?
«Oggi un tratto grasso, se prendessi un mio primo libro, pubblicato nell’83, “Impertinenze”, allora disegnavo con china e pennino; era, però, una lotta contro il tempo, dovevi attendere che il disegno si asciugasse, ti aiutavi con la carta assorbente».
Una vignetta secca, una sola. Perché quella.
«Il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, mi chiedeva spesso gli originali; quando poi uscì il libro “Impertinenze” fui invitato al Quirinale: si stabilì subito un legame di rispetto e affetto; mi invitò a prendere un thè, un momento di grande emozione stare seduto davanti al presidente più amato degli italiani e sorseggiare una bevanda senza alcuna fretta».
La vignetta, Pillinini.
«Quando Pertini lascia il Quirinale, la sua uscita di scena. Ho disegnato me seduto al mio piano di lavoro, una matita in pugno, un lume puntato su un foglio bianco dal quale sbuca il Presidente che abbandona il suo posto di lavoro».