Javier Zanetti, il coro razzista e l’asino da stadio
L’ex capitano dell’Inter invitato a Taranto in Città vecchia. La sua Fondazione per sostenere i piccoli calciatori che vivono lo port più amato fra mille difficoltà. “Fare squadra e stare sempre con i più deboli è il nostro compito”, ha aggiunto il campione. “E ora non spegniamo i riflettori sul disagio”, l’invito dell’arcivescovo Filippo Santoro.
Foto Studio Cav. Renato Ingenito
di Claudio Frascella
«Fossi stato in campo e avessi sentito urlare cori razzisti, mi sarei sfilato la fascia di capitano per metterla al braccio dell’avversario preso di mira da gente che nulla ha da condividere con lo sport!». Parole di Javier Zanetti. Il pensiero vola a qualche mese fa, dicembre dello scorso anno, San Siro. Alla gara della sua Inter contro il Napoli e ai cori rivolti da un certo numero di imbecilli a Kalidou Koulibaly. E “il Capitano”, non le manda a dire. Lunedì pomeriggio è ospite a Taranto, in Città vecchia, per sostenere con la sua Fondazione Pupi, creata con la moglie Paola, un altro progetto a favore di ragazzi che vivono nel disagio e si rifugiano nello sport, nel calcio in questo caso. «Il calcio, lo sport più bello dicono – ha semplificato Zanetti seduto nella cattedrale di San Cataldo – che poi è la parabola della vita: viviamo tutti insieme, la nostra è una comunità e, se ci pensate, è lo stesso principio dello sport di squadra; è fondamentale essere uniti e che ognuno faccia il suo; nella vita, infatti, c’è bisogno del portiere che para, evita di far prendere gol alla sua squadra, e degli attaccanti, che i gol devono farli; in mezzo, difensori e centrocampisti, anche questi indispensabili: ognuno ha il suo ruolo, ma in tutto questo sono importanti i sacrifici, e se uno è baciato dalla fortuna più di un altro, questa fortuna deve dividerla con chi, nella vita, ne ha avuta meno».
Bravo Javier. Bravi anche i promotori dell’iniziativa alla quale ha preso parte anche l’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, che ha ospitato l’ex bandiera di Inter e Argentina nella cattedrale di San Cataldo in Città Vecchia. L’arcivescovo, sia chiaro, è uno che di calcio ha spesso mostrato di capirne quanto e, forse, anche più di un opinionista. «Più di venti anni a Rio, in Brasile – ha detto – mi hanno portato a manifestare una certa simpatia per i Verdeoro e tifare per il Flamengo, ai tempi di Ronaldinho; certo, ai Mondiali si fossero trovate di fronte Italia e Brasile, sarebbe stata una bella lotta, ma questa occasione non c’è stata anche perché siamo stati eliminati nelle qualificazioni: gli azzurri avrebbero dovuto metterci più impegno, lo stesso che ha messo e mette tuttora questo signore – indica Zanetti – una volta da calciatore, oggi da uomo di sport, generoso, che ama spendersi per il prossimo».«CAMBIAMO LE COSE ANCHE QUI»
«Lo sport può cambiare le cose anche qui da noi, a Taranto – dice il tarantino Dino Ruta, fra i promotori dell’invito a Zanetti – è il nostro impegno quotidiano attraverso il progetto educativo promosso da “Sport4Taranto” in questa occasione insieme con l’Asd Taranto Vecchia dell’Oratorio San Giuseppe, parrocchia nel cuore dell’Isola”. Un progetto che cresce a vista d’occhio e realizzato insieme con la sorella Angela Ruta e Lisa Ruta, che all’interno dell’organizzazione cura il coordinamente delle diverse iniziative».
«Il calcio non è solo uno sport – dice l’arcivescovo Santoro – è un grande aggregatore, accende la fantasia dei ragazzi, ha in sé quello che ci ha insegnato il Signore: siamo tutti fratelli, tutti uguali e il più forte è tenuto a incoraggiare il più debole fino ad esplodere insieme in un abbraccio fraterno nel momento della gioia; e non importa se qualche volta non si vince, occorre anche avere rispetto per l’avversario; e per il giudice di gara, spesso preso di mira da calciatori e pubblico, per decisioni che a volte possono scontentare chi le subisce; se dico che Zanetti è stato un grande calciatore e oggi è un uomo di grande generosità, aggiungo poco a quanto la gente già conosce di lui: tutti lo conoscono e tutti lo stimano, anche chi abbraccia un’altra fede calcistica; posso aggiungere, però, che per noi è un giorno di festa, grazie alla sua autorevole presenza abbiamo acceso i riflettori sui nostri ragazzi che tanto hanno bisogno di incoraggiamento; ora auguriamoci che anche dopo la partenza di Zanetti in tanti rivolgano la stessa attenzione verso i nostri ragazzi e non solo, ma verso i deboli, quanti vivono nel disagio».NON SOLO A FAVORE DEI MENO FORTUNATI
Non solo a favore dei ragazzi meno fortunati. Javier Zanetti in questi anni non perde occasione per sensibilizzare le generazioni più giovani per attivarle nella lotta contro le discriminazioni razziali. Da diversi anni, a proposito dei brutti cori che spesso sentiamo negli stadi di calcio, insieme ad altri partner sta seguendo il progetto “Io tifo positivo”, nel mondo delle scuole e delle associazioni sportive. «L’idea principale – ha spiegato Zanetti – è quella di combattere tutte le espressioni di intolleranza, discriminazione e razzismo all’interno dell’ambito sportivo, di ogni genere e di ogni livello di competizione, promuovendo una cultura propositiva dello sport e dei suoi veri valori».
Zanetti e la sua società. «Dopo i fatti della gara contro il Napoli – spiega ancora il campione – l’Inter si è schierata ancora una volta in prima linea contro il razzismo». Dai «BUU» razzisti è, infatti scaturito l’acronimo, che ha dato vita a «Brothers Universaly United» («Fratelli universalmente uniti»). E’ questo lo slogan scelto dalla società nerazzurra in uno dei video della campagna anti-razzismo. Un invito a combattere il razzismo con la sua stessa arma, il “buu”, trasformandolo in un messaggio positivo. «Write it, don’t say it», «Scrivilo, non dirlo»: «BUU, Brothers Universaly United, Fratelli Universalmente Uniti», dunque, è lo slogan dell’Inter.