Greta: una vita che ridà un senso a una vita
Musa Favour, una ragazza nigeriana di 21 anni ospite del CAS di Bitonto lo scorso 14 luglio ha partorito una splendida bambina che, insieme al marito, hanno chiamato Greta, ovvero “Perla”.
Mentre parlo con Musa, Greta sta facendo il bagnetto accudita da una zia acquisita che Musa definisce sorella: “Ci conoscevamo già in Nigeria da bambine e abbiamo affrontato il viaggio insieme. Siamo scappate, andate via da quel Paese perché la situazione era insostenibile. Nonostante il matrimonio, sono stata costretta a vivere separata da mio marito perché le nostre famiglie non hanno accettato l’unione, la nostra scelta. Lui ha lasciato la Nigeria per primo e adesso è ospite in una struttura a Lecce. In Nigeria faceva il benzinaio ma ora non riesce a trovare lavoro. Quando mio padre ha sposato un’altra donna che non mi ha accettata anche io ho scelto di rischiare per raggiungere mio marito. Ci vediamo ogni 15 giorni e stiamo insieme due o tre giorni. Con la nascita di Greta ora è tutto cambiato. Abbiamo fatto la domanda di ricongiungimento ma aspettiamo ancora una risposta e la Commissione Territoriale ha espresso parere negativo alla mia richiesta di protezione umanitaria”.
Musa non ha mai lavorato, ha conseguito il titolo di scuola secondaria e adesso il suo unico pensiero e Greta: “Quando ero al CARA ho frequentato per un periodo breve un corso di italiano. Sono in Italia da agosto 2016. So che è importante imparare l’italiano anche perché io voglio restare qui, in Italia, con mio marito e mia figlia. Ma ora devo dedicare tutte le mie attenzioni a lei. Voglio dare a lei tutto quello che io non ho mai avuto”.
Condizionato dal maledetto vizio di voler andare oltre le parole, osservo Musa mentre risponde ad Abbas (che non mi abbandona mai!) alle mie domande e capisco che Greta ha ridato un senso alla sua vita.
Non ha ambizioni, non chiede nulla per se: il suo unico pensiero o, meglio, la sua unica preoccupazione è quella di garantire quello che si può riassumere con la definizione di “minimo vitale garantito” per sua figlia.
Me ne accorgo quando le chiedo di parlarmi della sua esperienza in ospedale in occasione del parto: “In Italia i medici, le persone, sono straordinarie. Sono brave. In ospedale è andato tutto benissimo e a Greta volevano tutti un sacco di bene. In Nigeria non è così. Non ti so spiegare la differenza perché è tutto diverso. Non so rispondere a questa domanda”.
Le dico di non preoccuparsi, le spiego che non sono un funzionario della Prefettura e neanche un poliziotto. Sono la solo per raccogliere la sua storia con lo scopo che diventi un patrimonio comune.
Quando Abbas traduce, Musa ride: “La mia storia? –chiede portando la mano alla bocca- Chi potrebbe imparare dalla mia storia? E cosa? Io ringrazio gli italiani per l’accoglienza, per tutto quello che stanno facendo per Greta e per me”.
Musa ha vissuto come normalità ciò che noi chiamiamo aberrazione. Per lei, che è rimasta in Libia 2 mesi prima di partire e raggiungere l’Italia, le violenze quotidiane alle quali ha assistito personalmente di cui sono vittime migliaia di profughi rientrano nella normalità.
Nel frattempo, Greta ha finito il bagnetto e, tutta profumata, accompagnata da Maria, una operatrice del Centro, ci raggiunge nella stanza.
E finalmente il mio dito viene stretto dalla nuova “Perla” di Bitonto.