L’omicidio di Civitanova Marche

L’omicida, Filippo Ferlazzo, che sarebbe invalido al 100%, ha prima infierito sulla vittima con tutto il suo peso, poi gli si sarebbe scagliato contro con una stampella. La gente di passaggio, invece di intervenire, ha ripreso le immagini per postarle sui social. «Fossero stati due italiani a darsele, di sicuro qualcuno avrebbe fatto qualcosa», dice un rappresentante dell’associazione “Nigeriani in Italia”. Intanto la famiglia dell’ambulante assassinato respinge le scuse. Gli interventi di Open, TG1 e Corriere della sera

Foto Dagospia

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«Sono molto arrabbiata con lui, in un attimo Filippo ha distrutto tutto, sogni e progetti: spero che in carcere, un giorno, si renda conto che ci siamo rovinati la vita, io e lui». Nessuno pensa ancora alla vittima. Elena, la compagna, e Filippo, l’assassino, si saranno pure rovinati la vita, ma nessuno pensa al povero Alika, steso a terra, dopo uno scambio di battute, banali, come qualsiasi cosa possa generare un violento litigio.

Ma queste sono alcune delle prime dichiarazioni raccolte da Alessandro D’Amato per “Open”, il giornale online fondato da Enrico Mentana a proposito dell’omicidio di Alika Ogorchukwu per mano di Filippo Ferlazzo, l’uomo che si è accanito sul giovane ambulante nigeriano a Civitanova Marche, picchiandolo e colpendolo a morte con una stampella. Sotto gli sguardi dei passanti, che invece di intervenire per dividerli hanno pensato che forse era meglio realizzare foto e video da postare su uno dei tanti social.

Cose da matti. Un uomo aggredito, l’altro sopra a dargliele in tutti i modi e nessuno fa niente. Forse perché il poveretto sotto la furia omicida e ingiustificata di Filippo era un nero. Fosse stato al contrario, chissà. Intanto, qualche sciocco di passaggio pensa bene di far funzionare la videocamera del suo telefonino, raccogliere cinque like e aprire un dibattito estemporaneo su Facebook. “Se il bianco picchia sodo, di sicuro il nero, quelle botte, se l’è meritate!”, commenta qualcuno che di quanto sta accadendo o è accaduto poco prima, scrive (e parla) comunque. Perché i social questo fanno, legittimano anche le castronerie dello scemo del villaggio.

IGNORATE LE SUE URLA

Alika, ancora vivo, potrebbe essere salvato. Disperato urla alla gente di passaggio perché qualcuno faccia qualcosa; gli tolga da addosso il peso di quell’energumeno che sta infierendo: si è fatto le sue ragioni e deve fare giustizia, in fretta. Nessuno interviene. Il ragazzo nigeriano è steso, non si muove più. Filippo è soddisfatto, ha compiuto quello che la sua mente gli aveva ordinato.

Ci perseguita quanto detto da Patrick Guobadia, rappresentante dell’associazione “Nigeriani in Italia”: «Fossero stati due italiani a picchiarsi, le cose sarebbero andate diversamente, qualcuno sarebbe intervenuto per staccarli…». Provate a dargli torto.

Filippo, secondo quanto emerso dalle prime indagini, soffrirebbe di un disturbo bipolare. Questo suo status sarebbe certificato dal tribunale di Salerno. L’assassino di Alika sarebbe addirittura invalido totale. Avrebbe fatto due visite psichiatriche nell’ospedale di Civitanova Marche, la città dove vive da poco tempo con Elena, la sua compagna, ancora sgomenta su quanto accaduto. Filippo aveva cominciato a lavorare come operaio in una fonderia con un contratto a tempo determinato della durata di un mese. Per questo motivo è stata fatta richiesta di una una perizia psichiatrica per l’uomo che ha ucciso Alika Ogorchukwu. Sua madre Ursula, con la quale l’uomo aveva vissuto a Salerno (dove lui aveva subito un Tso, il Trattamento sanitario obbligatorio), era stata nominata dal tribunale come una sorta di suo tutore. Ferlazzo si è presentato davanti al giudice delle indagini preliminari di Fermo. Spetterà a quest’ultimo la convalida del fermo.

«LE SCUSE NON BASTANO!»

L’autopsia disposta per martedì 2 agosto sul corpo della vittima stabilirà se sono stati quei colpi o il soffocamento a interrompere il battito cuore dell’ambulante trentanovenne, schiacciato dal peso di Ferlazza. Le sue scuse non bastano, ha fatto sapere la famiglia della vittima: «Vogliamo giustizia». L’avvocato della famiglia di Alika ha parlato anche dell’invalidità. «Se questo risvolto si inserisce nelle cause dell’omicidio – ha dichiarato – serve riflettere: perché questi non era vigilato nonostante avesse un amministratore di sostegno? Bisognerà avviare una serie di verifiche». La madre di Ferlazzo ha espresso le sue condoglianze alla vittima e ha detto che non pensava che il figlio fosse capace di fare qualcosa del genere. Per la stessa donna non ci sarebbe stato razzismo nell’omicidio dell’ambulante in Corso Umberto I a Civitanova.

«Sono preoccupata anche per lui», ha spiegato senza nascondere nonostante tutto l’apprensione per cosa possa succedere ora al figlio in carcere (al momento è recluso al Montacuto di Ancona) vista la sua condizione.

Foto Cia Onlus

Foto Cia Onlus

«DUE VITE ROVINATE»

La fidanzata di Filippo in un’intervista rilasciata al Tg1 ha detto che non era presente al momento dell’accaduto. «Mi sono allontanata: è successo tutto in pochi minuti. Quando Filippo è tornato indietro era sporco di sangue. Pregavo per quell’uomo».

La giunta comunale, intanto, ha istituito un fondo di quindicimila euro per Charity, la compagna dell’ambulante. L’imprenditore civitanovese Germano Ercoli, titolare del gruppo calzaturiero Eurosuole, donerà diecimila euro alla famiglia di Alika.

La fidanzata dell’omicida, Elena, avrebbe ricostruito tutto davanti agli inquirenti. Quell’uomo con la stampella li avrebbe avvicinati per chiedere l’elemosina: era stato un po’ insistente, l’aveva trattenuta per un braccio, ma per qualche secondo, tanto che la donna si era divincolata in fretta e con facilità e tutto era finito lì. Sembrava fosse finito tutto, invece. «Invece Filippo è tornato indietro, approfittando del fatto che mi erro fermata davanti a un negozio di abbigliamento: ora sono molto arrabbiata con lui. In un attimo Filippo ha distrutto tutto, sogni e progetti. Spero che in carcere un giorno si renda conto che ci siamo rovinati la vita. Io e lui». E Alika, che non c’è più.