Frate Antonio Perrella, Ordine di ispirazione benedettina
«Il Signore insegna che la discriminazione disumanizza l’uomo. Ognuno di noi rischia di perdere il senso di se stesso. I ragazzi venuti dall’Africa alimentano una speranza, spesso ricambiata con una esperienza brutale già vissuta nella propria terra»
Un nuovo incontro nel quale affrontiamo un altro aspetto della religiosità, avendo già ospitato, fra studio e web, rappresentanti della chiesa cattolica e musulmana. Nel tempo abbiamo documentato con il massimo rispetto qualsiasi confessione; temi delicati, dando voce a chiunque nella costruzione di un dialogo fra religioni diverse.
Frate Antonio Perrella dell’Ordine monastico ecumenico di ispirazione benedettina, era già stato protagonista della lavanda dei piedi, gesto compiuto da Gesù Cristo con i suoi apostoli. Nell’occasione, frate Antonio aveva invitato quanti, a torto, vengono visti come diversi. Fra questi, un nostro ragazzo, Samuel, che completò la sua partecipazione alla funzione religiosa con la lettura di alcuni passi del vangelo.
Frate Antonio, parliamo del suo Ordine.
«Appartiene alla Chiesa episcopale che fa parte della Grande comunione anglicana. Si pone come un ordine che vuole favorire la vita comune fra cristiani provenienti e mantenenti la propria confessione di appartenenza. Proponiamo uno stile di vita comune fra fedeli provenienti dalle diverse declinazioni del Cristianesimo favorendo la causa dell’ecumenismo».Cristianesimo come pluralità.
«Certo, Cristianesimo: plurale e non univoco. Ci troviamo su un territorio, il nostro Paese, nel quale la Chiesa predominante è quella Cattolica romana. Noi viviamo la nostra Chiesa con uno stile di vita diverso, gomito a gomito con gente che vive esperienze differenti dalla mia, senza la pretesa che ciascuno di noi cambi idea sulla propria fede; non è una caso che sabato e domenica non svolgiamo attività capitolari conventuali, ciò per consentire a monaci e monache – in quanto Ordine misto, maschile e femminile – di dedicarsi al proprio culto nella propria chiesa».
Perché “benedettino”?
«Siamo nati come un’associazione. Un gruppo di amici, teologi, teologhe, e non. Insieme, senza presunzione, volevamo fare qualcosa di buono: abbiamo pertanto iniziato come associazione impegnata nell’integrazione all’interno di una pluralità confessionale. Ci siamo accorti che la regola di San Benedetto poteva essere un luogo favorevole nel quale questa pluralità potesse incontrarsi; volessimo ridurre ai minimi termini la regola benedettina, non potremmo non farlo usando la famosa espressione “Ora lege et labora”: prega, studia e lavora; tre ambiti in cui, tutti i cristiani appartenenti a fedi diverse possono fare insieme qualcosa e da lì partire per costruire la tanto attesa unità fra cristiani».
Viglia di Pasqua, il rito della lavanda dei piedi. Fra gli “apostoli” anche il nostro Samuel.
«Abbiamo celebrato un rituale che anticipasse per tutti la Pasqua del Signore; abbiamo voluto simboleggiare la lavanda dei piedi a persone che in qualche modo si sono sentite escluse o emarginate nella nostra società: Samuel rappresenta una categoria che alimenta una speranza, spesso ricambiata con una seconda emarginazione, esperienza brutale già vissuta nella propria terra; Gesù, invece, ci insegna che la discriminazione è la strada che disumanizza l’uomo, ciò che fa perdere ad ognuno di noi il senso di se stesso; la strada di Gesù è, invece, quella dell’accoglienza.
A tal proposito ho pubblicato un lavoro esegetico-sistematico dal titolo “Giovanni – La Parola esclusa perché Parola per gli esclusi”: Gesù non va alla ricerca della perfezione o della omologazione, bensì a quella del cuore; che poi questo cuore viva in un corpo nero, bianco, giallo, diverso». Questo nuovo stile di vita cui fa riferimento, oggi può essere ancora attuale?
«Penso proprio di sì; il Monachesimo non è una élite di brave persone – sarei il primo a scappare via… – ma qualcosa che supera il fatto cristiano; il Monachesimo si palesa prima del Cristianesimo: è qualcosa di più complesso, fondamentalmente è la continua ricerca di Dio, “Quaerere deum”, che porta in sé tantissime domande sul senso della vita: chi sono, da dove vengo, dove vado, come posso essere migliore, promuovere all’ennesima potenza tutte le mie facoltà; dunque è un qualcosa che supera il fatto cristiano e si muove sulle dinamiche antropologiche; finché nell’uomo risiederanno queste domande, allora ci sarà posto per il Monachesimo».
La sua vocazione.
«Non è avvenuta attraverso un’apparizione, un miracolo: si è costruita incontrando persone; si è mostrata attraverso lo studio teologico e quanto è accaduto nella mia vita: sono stato oggetto di una seduzione sottile che alla fine mi ha condotto a una vita di discepolato di Gesù; un continuo mettermi in movimento nel rispondere alla volontà di nostro Signore».