Sunday, nigeriano, la fuga, le torture, la libertà

«I soldi non hanno valore, se hai imparato che la vita è appesa al grilletto di una pistola. Mio padre ucciso, ho lasciato mia madre e una sorella. Le coltellate, le ferite e il mare, il senso di libertà. E se un giorno facessi il meccanico…»

«Ciao, amico mio!». Ci metti un attimo a strappare un sorriso a un ragazzo che ne ha passate davvero tante. «Vorrei ridere, piuttosto che sorridere», ci dice, «ma con una guerra in corso a due ore dall’Italia non hai lo spirito giusto: le guerre sono la peggiore cosa che l’Uomo – e sottolineo l’Uomo – potesse inventarsi per farsi del male; lo dico da profugo, da fuggitivo, io che sono scappato dalla Nigeria, un Paese che amo, ma che se non sei allineato con i poteri forti, sei destinato a vivere nelle sofferenze». Sunday, nigeriano, trent’anni, da quattro in Italia, parla un discreto italiano. «E come gli italiani comincio ad aiutarmi nei discorsi a furia di gesti: questo amo degli italiani, che provano in tutti i modi a farsi comprendere, anche se sei straniero e non parli una sola parola della loro lingua: mi è successo i primi tempi, c’era chi per farsi capire alzava il tono della voce, urlava quasi, e si aiutava compiendo gesti…». Quando è arrivato in Italia parlava solo inglese, oggi, dicevamo, Sunday, vanta un buon italiano. Fuggito dalla Nigeria, un Paese nel quale fra militari, miliziani e bande armate, rischi comunque di fare un pieno di bastonate sempre. «E senza giustificazione: sfuggi a uno di loro e ti ritrovi al centro di una mattanza con altri che ti hanno preso sulla punta del naso: riempiono così le loro giornate; ti fermano, ti chiedono i documenti, pur non essendo militari, con lo scopo di metterti le mani in tasca e di svuotartele di quei pochi soldi che hai guadagnato in un lavoro faticoso, ma sempre sporco».

Prosegue Sunday, spiega che quando non hai scampo, c’è solo una soluzione: rannicchiarti e invocare pietà, sperando che si muovano a compassione. «Difficile, ti riempiono di calci e pugni, mentre i compagni ti tengono sotto tiro. E se le legnate non ti hanno fatto ancora uscire il sangue dalla testa, insistono, con il calcio di una pistola, di un fucile per provocarti: lo scopo è, comunque, provocarti ferite».

Foto La Repubblica

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AFRICA, DOLORE OVUNQUE

La situazione non è tanto diversa in altri Paesi africani. «Sono perseguitato dalle botte, forse perché me le merito, non so – sorride Sunday, aiutandosi a gesti, indicando ferite su un braccio, un ginocchio – spesso hai come la sensazione che, come ti muovi, le prendi e nemmeno una sola volta: a me è successo in Libia, dove sono stato prigioniero per molti mesi, non ricordo quanti: volevano che un mio parente pagasse il riscatto, alla fine ci rimettevano acqua e un pugno di riso al giorno, così mi hanno cacciato a calci da quella prigione: avevo paura che avessero fatto una scommessa su me, farmi allontanare e giocare al bersaglio; succede anche questo: la vita vale meno di niente».

Ricorda il passato, il trentenne nigeriano. «Papà, ucciso durante la guerra civile: a casa sono rimasti mamma e una sorella; il viaggio per arrivare qui, in Italia, è durato mesi: forse tre di questi passati nella prigione libica».

Giorno e notte non esistono. «Durante i mesi da recluso, gli aguzzini ti svegliavano e giù calci: ovunque capitasse, il più delle volte nello stomaco e nel bassoventre, dove il dolore è infernale, come se stessi esalando l’ultimo respiro: la tua vita era appesa al grilletto di una pistola; al mattino, solita sveglia, brusca: “Chiama i tuoi familiari, convincili a farti mandare soldi, sennò domani non ti svegli: mi mostravano la pistola o un fucile, come se ti indicassero la morte durante il sonno…».

Sunday, un altro momento di inaudita violenza. Gli occhi pieni di lacrime, come se lo stesse rivivendo per noi. «Picchiavano me e gli altri compagni con una violenza mai vista: con un calcio a un prigioniero fecero saltare i denti davanti e solo perché non capiva la loro lingua, quello che gli dicevano. Poi la fuga, quella libertà che odora di paura, perché mentre ti hanno restituito la vita, a qualcuno di quelli potrebbe venire in mente di togliertela un istante dopo con una palla nella schiena: ne ho visti morire così, non facevano in tempo a gioire, che nel gioco perverso di chi ha potere di vita e morte su dei poveracci come noi, qualcuno premeva il grilletto e ti lasciava disteso lì, alla mercé di topi, sciacalli, altre bestie…».

«SIGARETTE SPENTE SULLA PELLE»

Sunday, si fila il giubbotto, alza una maglia e mostra un braccio, pieno di ustioni cicatrizzate. «Sigarette accese spente sulla pelle, come se fossimo posacenere; coltelli con la lama rovente o talmente affilata da farsi largo nella pelle come se affondasse nel burro: ogni ferita è il volto di uno dei carcerieri; in quei momenti non sai cosa gli stia passando per la testa: non sai cosa gli stia passando per la mente e allora, da non crederci, ma bisogna trovarsi in quelle circostanze, non aspetti altro che la morte ti sottragga a un dolore talmente forte tanto da pregare che la facciano finita».

Cinquecento, anche seicento dinari libici. «Tanto vali in quel momento: per loro sei una spesa, un pugno di riso, un pezzo di pane e un po’ di acqua, anche sporca, ogni giorno; se i soldi non arrivano sei destinato a una lunga agonia, fino a quando la bocca dello stomaco non ti si chiude e, allora, è la fine».

Un desiderio. «Vorrei fare il meccanico – dice Sunday – sono stato sempre affascinato dalle auto e dai motori: in Nigeria spesso aggiustavo camion, furgoni, moto, era una festa quando dovevo mettere mano a un’auto; qui ho lavorato saltuariamente in un’officina, quando stavo per trovare la mia strada è arrivato il covid e ogni sogno è svanito».

Foto Taranto Guide

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IL DENARO NON COSTA UNA VITA

Il valore del denaro. «Non conta, dopo che sei scampato alla morte qualsiasi tipo di lavoro va bene: qualcuno ne approfitta, ma la maggior parte ha rispetto per me, i miei connazionali, i fratelli africani: è questo il bello dell’Italia, la maggior parte della gente ha grande rispetto per te, ha il senso dell’ospitalità: non c’è molto lavoro, per un certo periodo ho anche lavato le scale, ma qualcuno si è lamentato che quel lavoro lo facesse un nero, in uno stabile non mi volevano».

Sunday ci lascia una “cartolina”. «Quando mi capita di passare davanti al Lungomare di Taranto il mio cuore batte forte, il mare per me è la vita: l’ho sempre amato, fra un viaggio in mare o uno sulla terra ferma, non avrei dubbi: mare tutta la vita, nonostante il mio viaggio per l’Italia sia durato a lungo; non avevo soldi, uno di quelli che si occupa del trasporto per mare, da me non volle niente: imbarcarne uno in più su un totale di un centinaio di persone, non gli pesava, così mi fece segno di salire a bordo. Onde da paura, poi finalmente una nave mercantile che ci prese a bordo, poi la Sicilia da lontano e, finalmente, la libertà. Ecco, il mare, così grande, è come la libertà, un desiderio immenso».