Christian Riganò, ex bomber del Taranto e della Fiorentina

«Ho guadagnato il giusto, non lo faccio per fame, poi sono orgoglioso del mio lavoro». Un articolo del Corsera e la stampa riprende il suo racconto. «Ho due patentini da allenatore, se non mi chiamano sarà pure il caso che faccia qualcosa, così ho ripreso i miei vecchi attrezzi: qualcuno stenta a crederci, ma io lo consolo, non è mica umiliante, anzi…»

 

Da muratore a cannoniere e viceversa. Questa la strada, forse è meglio dire il verde messo sotto i piedi, i tacchetti delle scarpette di calcio in tanti anni di onorata carriera, in quelli che chiamano campionati minori. Ma che in realtà non lo sono, perché una volta non hai il coraggio di lasciare tutto e una volta non hai il procuratore giusto. E lì, ogni domenica, chi tira calci al pallone, ci mette l’anima.

Ovunque sia andato, Christian Riganò, per tutti Rigagol, ha lasciato un gran bel ricordo. Generoso fino alla “morte”, fu uno di quei pochi calciatori del Taranto a buscarle sul campo di Catania, lui siciliano di Lipari, in quella che da molti tifosi del Taranto viene definita una “farsa”. Doppio spareggio per salire in una meritatissima serie B. A Catania la squadra rossoblù perde di stretta misura (1-0), gli avversari picchiano come fabbri, l’arbitro non interviene; al ritorno, a Taranto, stadio stracolmo, come mai nemmeno negli anni d’oro della B, la squadra è letteralmente inesistente. I conti non tornano, se non quelli del cassiere che invece fa “tutto esaurito”. Pubblico disgustato, a fine gara attende numeroso la dirigenza del Taranto all’esterno dello “Iacovone”, ma i colletti bianchi sono già andati via.

 

 

ADDIO CITTA’…

Riganò decide che la piazza così “intossicata” non fa più per lui. E’ in scadenza di contratto, deciderà lui stesso dove andare a giocare. E qualche brutto ceffo che si presenta in un ristorante cittadino, durante una cena con i familiari, per convincerlo con le buone a firmare (il suo “cartellino” avrebbe un valore superiore al miliardo di vecchie lire), non gli fa cambiare idea. Questione di uomini. Fra calci e minacce sul campo, figurarsi se Christian si fa intimorire. Il bomber che fece sognare Taranto, saluta e se ne va. Avrebbe voluto farlo con la B in tasca, m qualcuno evidentemente glielo aveva impedito.

In questi giorni il Corriere della sera lo ha intervistato. Il cronista che fiuta il pezzo fa benissimo il suo mestiere e lo intercetta. Riganò, che lo leggi come lo scrivi, si lascia andare ad una confessione amichevole. Oggi Christian fa il mestiere che faceva prima di diventare calciatore. «Un mestiere – confessa Riganò – che mi piace e di cui vado fiero: avevo lasciato questo mestiere a tre quarti, nemmeno a metà; io sono questo: amo costruire e riparare le cose, così, non avendo chiamate per allenare sono tornato a fare il mio lavoro che, modestamente, so fare come pochi», racconta l’ex bomber al cronista del Corriere della Sera che lo incontra in un cantiere a Ponte Vecchio. Un bel servizio ripreso da Mattino, Leggo, La Nazione, Corriere Adriatico, Virgilio, Informazione.it e Fanpage.it.

«Due cose so fare nella vita: i gol e il muratore. Così, dopo aver smesso di giocare, sono tornato a fare il mio mestiere: mi piace e ne vado orgoglioso. Avevo lasciato questo mestiere a tre quarti, nemmeno a metà. Io sono questo: amo costruire e riparare le cose. Così, non avendo avuto chiamate per allenare sono tornato a fare il mio lavoro».

 

 

DA TARANTO A FIRENZE…

Christian Riganò arrivò a Firenze nel 2002, a ventotto anni. Coraggiosamente scese di categoria, dalla C1 del Taranto dove in due stagioni aveva segnato più di una quarantina di gol sfiorando la promozione in Serie B, alla C2 della Florentia Viola, nata dal fallimento della Fiorentina di Cecchi Gori. Una promozione dopo l’altra fino ad indossare, meritatamente, in Serie A la fascia da capitano della formazione viola.

«Mio padre Vincenzo, purtroppo, non ha fatto in tempo a vedere che il suo ragazzo aveva realizzato il sogno: papà faceva il pescatore, è toccato a mia madre crescerci; intanto, muratore a parte, ho preso due patentini per allenare: amo il calcio, ma si vede che non sono adatto per quello di oggi, fatto principalmente di sponsor, non accetto compromessi. Certo, se poi arrivasse la chiamata giusta sarei pronto a tornare in panchina».

Uno pensa che non se la deve passare bene, invece Riganò spiega. «Ho guadagnato bene e ne sono felice. Nella mia intera carriera, però, ho incassato quanto molti giocatori di media fascia oggi guadagnano in due tre mesi – Così, poi, bisogna tornare a lavorare. Io sono di vecchio stampo: datemi una terra e, con due colleghi, siamo in grado di tirare su una casa». Per ora, secchio e cazzuola, domani, chissà, torna in campo a dirigere allenamenti ed a spiegare tattiche alle nuove promesse del calcio.