Furio Biagini spiega il suo libro “Torà e libertà”

«Entrambi mirano alla creazione di un mondo futuro nel quale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo deve essere definitivamente abolito», spiega il docente. «Le due cose però hanno in comune la critica al potere costituito, al pensiero unico e, dunque, entrambi si battono contro i limiti e le imposizioni del pensiero unico», sostiene lo scrittore. «L’ebraismo rifiuta sudditanza, gerarchia, repressione e oppressione», afferma Annalisa Adamo, moderatrice e promotrice dell’incontro

20221020_184405Giovedì sera nella libreria Ubik in via Nitti a Taranto, si è svolto uno degli incontri all’interno del programma “#Ante Litteram” di quest’anno, dedicato ad esponenti di rilievo della cultura e della società. E’ toccato ad Annalisa Adamo, presidente di #Ante Litteram (già assessore agli Affari generali, Ambiente e Legalità del Comune di Taranto), tornare a dialogare con Furio Biagini, scrittore e docente di Storia Contemporanea e dell’Ebraismo nell’Università del Salento. Insieme hanno presentato il libro “Torà e libertà”, studio sulle affinità elettive tra ebraismo e socialismo libertario.

«Ho trovato all’interno dell’ebraismo – ci ha detto l’autore – delle affinità fra pensiero socialista e libertario; attenzione, non il marxismo, almeno non nelle sue versioni più libertarie, e il pensiero ebraico, dal punto di vista ideologico; per fare un esempio, si parte dal sabato piuttosto che dal giubileo, che vanno incontro a una visione del sociale come quella del socialismo: entrambi mirano alla creazione di un mondo futuro nel quale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo deve essere definitivamente abolito».

Facessimo un distinguo fra ebraismo e socialismo. «Il socialismo è una ideologia che nasce sulla fine del Settecento – riprende Biagini – ha le sue radici nell’illuminismo, nel pensiero illuminista e contemporaneo; l’ebraismo è una fede religiosa che risale a secoli fa, al monoteismo. Le due cose però hanno in comune la critica al potere costituito, al pensiero unico e, dunque, entrambi si battono contro i limiti e le imposizioni del pensiero unico. La Torre di Babele ne è un esempio: se avessero parlato tutti la stessa lingua sarebbe stato un mondo che mirava a trasformarsi nel Divino, a sostituirsi ad esso, che invece interviene sparpagliando tutti in ogni angolo del mondo, in buona sostanza: è la diversità che rende ricchi».

20221020_185003EBRAISMO E ANARCHISMO…

«Ebraismo e anarchismo, dunque – dice Annalisa Adamo – due concezioni apparentemente opposte: la prima una tradizione religiosa fondata sull’obbedienza della legge, la seconda una filosofia politica basata sulla libertà da ogni dominio; tuttavia, espliciti legami sotterranei esistono tra queste due espressioni politiche, religiose e culturali».

Il libro, attraverso una lettura personale dell’autore sui testi biblici, esplora relazioni profonde. Dalla Torà fino ai fervori chassidici, l’ebraismo afferma con forza il rifiuto di ogni relazione umana basata sulla sudditanza, sulla gerarchia, nonché sulla repressione e l’oppressione. «Dalle polemiche contro il potere politico dei profeti – prosegue la moderatrice dell’incontro – all’esplosione dell’energia creativa del chassidismo, il pensiero ebraico è ricco di spunti anarchici che si ritrovano nelle moderne utopie rivoluzionarie, soprattutto nelle tendenze libertarie e antiautoritarie, con la loro idea della assoluta libertà umana e del rifiuto di qualsiasi potere centrale autoritario. Si potrebbe compendiare il contenuto di questo libro con una frase di Thomas Jefferson: La ribellione ai tiranni è obbedienza a Dio».

«Prima della Shoah – spiega in un suo intervento Biagini, spesso sollecitato dalle domande dalla platea – il sionismo era una minoranza all’interno del mondo ebraico tanto che, per esempio, solo il 25% degli ebrei polacchi sosteneva il movimento nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Per la maggioranza degli ebrei era un movimento utopico politicamente pericoloso. Socialisti e bundisti si opponevano ai suoi obiettivi in nome dell’internazionalismo proletario e lo consideravano un movimento reazionario che divideva la classe operaia e minava la lotta per i diritti di tutti gli oppressi, tra i quali includevano anche gli ebrei della diaspora».

20221020_184223STATO EBRAICO, LA DIASPORA

Gli ebrei pienamente assimilati definivano la loro ebraicità esclusivamente in termini religiosi e non etnici. «Temevano che la nascita di uno Stato ebraico – sostiene il docente – mettesse in discussione i diritti recentemente conquistati. Allo stesso tempo gli ebrei ortodossi credevano che la rinascita di uno Stato ebraico nella terra dei padri dovesse attendere la venuta del Messia. Dopo la Shoah e la creazione del moderno Stato d’Israele, l’opposizione ebraica al sionismo gradualmente andò scomparendo. Una parte consistente degli ebrei religiosi vide nelle realizzazioni pratiche del sionismo il compimento delle promesse divine mentre i socialisti, critici verso i principi ideologici del movimento, in pratica, iniziarono a sostenere, di fatto, lo Stato d’Israele. Col tempo solo pochi gruppi ebraici restavano fortemente antisionisti, in particolare, alcuni settori della estrema sinistra, associazioni marginali come l’American Council for Judaism, fondato nel 1942 da alcuni rabbini reform, ma soprattutto gli haredim, letteralmente coloro che tremano, in riferimento al versetto di Isaia 66, 5: “Ascoltate la parola dell’Eterno, voi che tremate alla sua parola”, o ultra-ortodossi secondo la definizione preferita dai media, e la piccola formazione, ma ben visibile e rumorosa, dei Neturei Karta, in aramaico i Guardiani della città».

L’incontro nella libreria Ubik di Taranto è stato organizzato da “#Ante Litteram” in collaborazione con l’Associazione Italia-Israele sezione “Alexander Wiesel” (Bari), il Comitato per la Qualità della Vita, la Fondazione Rocco Spani onlus, il Crac Puglia Centro di ricerca arte contemporanea.