Primo ufficiale di colore della storia, ispirò “Il Conte di Montecristo”
La prigionia a Taranto, altro che fortezza d’If. Tom Reiss, scrittore e studioso, pubblicò il best seller “The Black count”. Visitò la città e il Castello aragonese nel quale il papà dello scrittore francese più celebrato dell’Ottocento, fu recluso con infamia nel 1799. Un convegno, una mostra, il lavoro quotidiano dell’Ammiraglio Francesco Ricci, l’impegno del giornalista Tonio Attino, le illustrazioni del disegnatore Nico Pillinini.
Alessandro Dumas, un convegno e una mostra, forse permanente, nel Castello aragonese di Taranto per celebrare il primo generale nero della storia. Cosa ci fa un nome così roboante, che per similitudine riporta a due miti della letteratura francese come il Conte di Montecristo e D’Artagnan, affianco a una fortezza, onore e vanto di una città che con il suo più grande attrattore turistico guarda al dopo-industria?
Presto detto. Curioso scriverlo, considerando che per duecento e passa anni questa storia è stata tenuta neanche troppo segretamente in un cassetto. Non fosse stato per l’ammiraglio Francesco Ricci, appassionato di storia e archeologia, e Tom Reiss, grande scrittore, tanto da essersi guadagnato il premio Pulitzer per il romanzo “The Black count”, il Conte nero, in Italia pubblicato con il titolo “Il diario segreto del Conte di Montecristo”, non avremmo saputo dove collocare Alexandre Dumas. Dumas, il primo generale nero, nominato da Napoleone Bonaparte che per lui nutriva grande ammirazione. Un nero, all’epoca, per meritarsi un simile riconoscimento sul campo, doveva aver faticato dieci volte di più rispetto agli altri ufficiali.
DA RICCI AD ATTINO…
Merito anche del giornalista Tonio Attino, che cinque anni fa per il Corriere del Mezzogiorno, raccontò in settemila battute quanto riportato nel libro di Reiss, un tomo di 540 pagine, tutte lette, senza tralasciare punti, virgole e sciabolate. E, in luogo di confessione, diciamola proprio tutta, fino in fondo: non ci fosse stato Alexandre Dumas figlio, dalla cui fantasia scaturì la storia di Edmond Dantes, il Conte di Montecristo, staremmo a parlare dell’imponente manufatto, dei centomila visitatori annuali, di cose dall’alto spessore culturale, di scavi infiniti che riportano alla luce reperti che ricostruiscono una storia lunga secoli e secoli. E poi, il quotidiano alzabandiera, canne da pesca e dilettanti con vista sul Canale navigabile, che spesso saluta navi e la nave-scuola “Amerigo Vespucci”.
Dunque, lunga vita al romanzo dei romanzi, ai premi Pulitzer, agli ammiragli e a giornalisti e disegnatori, come Nico Pillinini, che proprio non sanno farsi i fatti loro e, anzi, vanno andati oltre, fornendo spunti, organizzando convegni, mostre e assegnando a Taranto il ruolo da protagonista in un romanzo che nessuno avrebbe osato interpretare. Grazie, dunque, in ordine di apparizione, a Dumas padre, Dumas figlio, Ricci, Reiss e Attino.
Era il 18 gennaio 1797. «Ho appreso che il somaro che ha il compito di relazionarvi sulla battaglia ha dichiarato che sono rimasto in osservazione durante quella battaglia. Non gli auguro di trovarsi nello stesso genere di osservazione, perché si cacherebbe nei pantaloni», scrive Tonio Attino sul Corriere del Mezzogiorno che fa “panino” con il Corriere della sera. E il giornalista che ha scritto libri e pubblicato anche Stampa e Quotidiano, prosegue nella descrizione del personaggio-Dumas, uno forte nel carattere quanto nei muscoli.
A TARANTO, DUE ANNI DI PRIGIONIA
«Anche quando si rivolgeva al suo capo supremo, Napoleone, il generale Thomas-Alexandre Dumas – così, per esteso, all’anagrafe – mostrava il suo carattere di grande condottiero; alto un metro e ottantacinque, formidabile spadaccino, Dumas fu non soltanto il primo generale nero della storia. Fu il vero Conte di Montecristo. La sua parabola si concluse in una cella del Castello di Taranto. Catturato dai sanfedisti nel 1799 dopo un naufragio, Dumas ne entrò forte, baldanzoso, sprezzante. Due anni dopo ne uscì guercio, sordo da un orecchio, zoppo». La prigionia, tremenda, di quelle riservate ai ribelli di pensiero e condannati con accuse infamanti. «Una paresi aveva immobilizzato la parte destra del suo volto. Benché fosse scampato miracolosamente a più tentativi di avvelenamento, la sua vita finì praticamente qui. Si reggeva su un bastone. Aveva trentanove anni. Il figlio scrittore – Alexandre Dumas – si ispirò al papà per il personaggio di Porthos nei “Tre Moschettieri” e descrisse nel “Conte di Montecristo”, il più grande romanzo d’appendice dell’Ottocento, la penosa prigionia di Taranto».
Le ricerche dello scrittore Tom Reiss, con il suo “Conte nero” vincitore del Pulitzer, fu anche ospite a Taranto. «Edmond Dantès – scrive Attino – era in realtà il padre, il generale Dumas. Il castello d’If, nel Golfo di Marsiglia – la terrificante prigione di Dantès – era il Castello di Taranto. La cella in cui 215 anni fa (oggi 221, l’articolo risale a sei anni fa…) s’inabissò la leggenda dell’ufficiale più ammirato dell’esercito napoleonico è, oggi, una saletta grande cinque metri per dieci destinata all’accoglienza dei turisti nel Castello aragonese».