ISTAT/Più di un terzo di studenti italiani è ignorante

Al Sud si sfiora anche il 50%. Difficoltà nella lettura e nella comprensione di un semplice brano. Troppo “iper-connessi”, si esprimono a forza di “emoticon” e “xché”, “xò”. Il livello culturale si abbassa al punto tale da generare ottusità e chiusure mentali.

Scuola, non va. Non c’è riforma che tenga. Con il contributo dell’Istat ci accorgiamo che quanto era stato detto a proposito di scuola e istruzione, adesso è tutto vero. Certificato da un’attenta ricerca e uno sviluppo di certi indicatori che segnalano una situazione devastante.

Colpa di un Paese che premia poco. Assume per segnalazione, piuttosto che per merito. E i ragazzi che conseguono un buon titolo di studio, una laurea e non ce la fanno a proseguire gli studi, nonostante abbiano il bernoccolo della ricerca, vanno all’estero. Salvo poi premiarli per meriti acquisiti sul campo…altrui.

Dunque, in Italia pare che molti fra quanti vengono promossi a giugno, pure con una buona media, ha difficoltà nella lettura e nella comprensione di un semplice brano. Lo stesso davanti a semplici calcoli, anche elementari. È emerso dall’ultimo report Istat su «Obiettivi per uno sviluppo sostenibile». Diffuso dall’Istituto italiano di statistica, questa radiografia interessa tutti gli aspetti della vita economica e sociale del sistema Italia, mettendo al quarto posto, su 17 obiettivi, «l’istruzione di qualità per tutti».

Una “voce” che figura solo dopo la lotta alla povertà, la lotta alla fame e al benessere e alla salute. Dando un’occhiata agli indicatori sull’effettivo grado di istruzione dei giovani studenti italiani, scopriamo che più di un terzo non raggiunge una competenza alfabetica sufficiente. Inondati dal linguaggio iper veloce e spesso sgrammaticato, zeppo di “xché”, “xò” e di “emoticon”, gli studenti del terzo anno della scuola media vanno in crisi al momento di leggere e interpretare il contenuto di un brano scritto, che alla fine comprendono solo a tratti. Rispiegarlo, poi…

Rapporto SDG. Secondo “Sustainable Development Goals”, il 34,4% degli studenti italiani che frequentano il terzo anno della scuola media «non raggiungono un livello sufficiente di competenza alfabetica». Decodificano, cioè, solo brani semplici e con informazioni elementari. Quando il testo richiede di riconoscere e ricostruire significati complessi, le cose si complicano maledettamente. E un terzo dei nostri piccoli studenti entra in difficoltà. Idem per la matematica, comunque i rudimenti che renderebbe capace la soluzione di problemi anche di una certa complessità (di carattere economico, statistiche, ecc.).

In quest’ultimo caso, la quota di adolescenti, sale al 40%: quattro su dieci! Lo confermano i dati Invalsi relativi allo scorso anno. Al Sud, questi valori crescono e tendono a superare anche il 50%. Cambiano di poco il risultato finale anche se si allarga ai dati relativi ai ragazzi del secondo anno della Scuola superiore. La quota di studenti che, nonostante le promozioni a scuola, incontra difficoltà in italiano e matematica resta praticamente invariata, descrivendo una situazione che la scuola, da sola, non riesce a fronteggiare.

Spiegano gli insegnanti. Oggi gli studenti faticano a concentrarsi nello studio perché immersi in un mondo iper connesso in cui tutte le operazioni si svolgono a velocità sostenuta. E per gli approfondimenti c’è sempre meno tempo.

«Il concetto di sviluppo sostenibile è introdotto per la prima volta – riporta il dossier – nel “Rapporto our common future” rilasciato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo del programma delle Nazioni unite per l’ambiente».

Nello studio è definito sostenibile «lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri». Un concetto che proprio in questi giorni è tornato ad essere di estrema attualità. Con la studentessa svedese Greta Thunberg che, in difesa dell’ambiente e contro la produzione selvaggia che danneggia la Terra, ha sollevato le coscienze dei giovani di mezzo mondo. Paolo Mazzoli, direttore dell’Invalsi, non si sorprende di questi dati.

«Probabilmente – dice Mazzoli – il nostro insegnamento è ancora troppo scolastico. Mentre le prove Invalsi non sono prove propriamente scolastiche, considerano competenze durevoli, profonde. Probabilmente anche per questo motivo i ragazzi vanno in difficoltà non appena si trovano di fronte a dover risolvere problemi di realtà o nel decodificare i significati più profondi di un testo». Insomma, l’Italia è un Paese che deve tornare a studiare seriamente se vuole essere competitivo e tornare a dare a se stessa e al mondo, intelligenze e genialità consegnate alla storia come un tempo.