Mario Volpe, vicario della Prefettura di Taranto

«Quarant’anni di lavoro, venticinque anni a seguire il fenomeno degli sbarchi, a Bari come a Taranto. Albanesi, curdi, kossovari, nordafricani, non avevano segreti per me. Un giorno, con un giornalista Rai, “ricoverammo” a Roma un giovane albanese»La vita oltre di circolari, direttive e leggi.

Questa settimana altro gradito ospite della rubrica “Con parole mie”, il dott. Mario Volpe, vicario della Prefettura di Taranto, “vice” del prefetto Antonia Bellomo. Come a dire che in caso di assenza del titolare, su delega dello stesso spetta a lui svolgere le funzioni spettanti l’Ufficio territoriale del Governo. Dunque ciclo di pianificazione, programmazione e controllo del territorio. Particolarmente impegnato per quarant’anni, prossimo alla pensione, Volpe ci spiegherà anche il suo impegno sul tema dell’immigrazione.

Quando si parla di Prefettura, si pensa sempre a sicurezza e territorio.

«E’ una delle componenti essenziali della Prefettura, attraverso i comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica, insieme con le Forze dell’ordine disegna le strategie di prevenzione e di controllo del territorio. E una delle funzioni fondamentali, anche se personalmente sono legato a due settori che hanno impresso un solco fondamentale nella mia carriera: immigrazione e protezione civile. Dunque, sicurezza sì, ma anche tutto quello che è sociale e sicurezza allargato al territorio. Negli ultimi venticinque anni, da quando sono tornato in Puglia, l’immigrazione è stata una delle mie materie preferite, un settore seguito anche a Taranto».

Quanto è importante il rigore per amministrare una materia così delicata.

«Ho una piccola presunzione, lo dico senza tema di smentita: in questi venticinque anni – a giorni lascio l’Amministrazione, dall’1 settembre sarei tecnicamente in pensione – in tutto questo lasso di tempo ho seguito l’immigrazione a partire dai primi Anni 90, albanesi, curdi, kossovari, nordafricani, gente che veniva fuori da situazioni di crisi, penso all’Albania del dopo-Berisha, alle ultime situazioni internazionali, alla Primavera libica, che ha determinato un forte esodo che ha interessato soprattutto le nostre coste; dovessi quantificare: ho personalmente seguito decine di migliaia di persone – può immaginare, venticinque anni… – faccio due conti, molti anni li ho trascorsi a Bari, dove si curava il coordinamento regionale: dunque potrei raccontare molte situazioni particolari».I GIORNI Mario Volpe 2 - 1Qual è l’esperienza che più l’ha segnata?

«Nel ’97, se si ricorda, ci fu un’ondata albanese determinata dalle piramidi finanziarie: io e alcuni organi di informazione, con particolare interessamento di Michele Peragine, giornalista della Rai, seguimmo il caso di un ragazzo – nome e cognome li ricordo ancora, ma non è il caso di menzionarlo – scappato dall’Albania, di provenienza agiata rispetto alla moltitudine che sbarcò a quei tempi, il papà autista di autobus, la mamma una sarta: il ragazzo voleva trovare una prospettiva di vita. Aveva diciassette anni e mezzo quando arrivò a Bari – ancora non esisteva il Piano nazionale di riparto – città che da sola fece fronte, alla grande, a questa urgenza; questo giovane albanese fu ricoverato in una clinica romana, quando ne uscì era diventato maggiorenne: non so se ricordate – vero che si citano, nel bene e nel male, gli ultimi ministri… – ma una direttiva del Governo Prodi indicava che tutti gli albanesi che avessero raggiunto la maggiore età e non avessero trovato occupazione, nel giro di una ventina di giorni sarebbero stati rimpatriati, come poi è accaduto».

Dunque, il ragazzo che avevate assistito, a un passo dalla maggiore età, rischiava il rimpatrio.

«La vita va anche al di là di circolari, direttive e leggi; sì il ragazzo rischiava il  rimpatrio; in qualche modo riuscimmo ad organizzargli una ulteriore visita di controllo in una clinica romana così quel diciottenne scampò il rimpatrio. Morale della favola: è diventato un apprezzato mediatore culturale e perfettamente inserito nel tessuto sociale italiano. Insomma, qualche volta la “bieca burocrazia” funziona positivamente».

Una frase che le è rimasta impressa.

«Semplice, il ragazzo mi disse: “E’ stata la giornata più bella della mia vita!”, scatenandomi grande emozione».

Un altro tavolo che l’ha impegnata severamente?

«Arcelor-Mittal, la Prefettura ha seguito con attenzione questa problematica attraverso il Contratto istituzionale di sviluppo; molto attivo in questo senso si è rivelato l’ex prefetto Donato Cafagna, lo stesso il ministro De Vincenti, molto presente a Taranto. Questo a dimostrazione che al di là dei momenti politici, contano le persone e il modo di approcciarsi ai temi caldi».I GIORNI Mario Volpe 3 - 1 Far rispettare la legge che compito è? Semplice, articolato o complicato? Fosse una schedina, 1, X o 2?

«La tripla ci sta, ma conta molto l’approccio personale. Per restare in tema sportivo, si possono avere dei grandi giocatori e, forse, un allenatore non eccelso; credo che sia un mix che insieme fa armonia, conta anche il cuore che ognuno di noi mette nell’affrontare le cose».

Barese, segue molto il calcio. Siamo ai titoli di coda. Persona di legge, se in un derby Taranto-Bari l’arbitro assegnasse un rigore inesistente alla sua squadra, invocherebbe il Var? Oppure il calcio è un’altra cosa?

«La moviola in campo mi convince poco, sono legato al calcio romantico dove anche l’errore in buona fede del direttore di gara fa parte del gioco; poi il Var ci dà la certezza assoluta di una decisione puntuale? Alla fine del campionato i punti sono quelli, rigore o non rigore…».

Ma Taranto-Bari?

«Vuole farmi odiare da una o dall’altra tifoseria; non lo crederà, ma tifo per entrambe le squadre, lo dico sinceramente. Ultimo derby risale a un Taranto-Bari, fine Anni 80, uno squallido 0-0; avevate un grande presidente, Donato Carelli. Spero un Taranto-Bari se non in serie A, almeno in serie B, questa è una piazza che merita campionati diversi, la dirigenza si sta impegnando, credo sia sulla buona strada…».