Leonardo Giangrande, presidente Confcommercio Taranto

«Lavorare tutti con passione e nella stessa direzione. Abbiamo avvertito la grande crisi, duemila attività in meno sul territorio, l’Amministrazione comunale schiaccia le imprese sotto il peso del dissesto. Non è stata progettata una via di fuga dalle difficoltà. L’ultima occasione: i Distretti urbani del commercio. L’emigrazione: non dimentichiamo il nostro passato, i container, le valigie di cartone…»

Leonardo Giangrande, presidente di Confcommercio Taranto. E’ il suo secondo mandato per l’associazione che riunisce migliaia di commercianti e operatori che svolgono attività in città e provincia. Prima domanda, uno “scatto” del commercio a Taranto.

«La Taranto del commercio purtroppo attraversa una crisi preoccupante, messa letteralmente in ginocchio negli ultimi sei anni. Abbiamo registrato la chiusura di oltre duemila imprese, nel senso che il saldo fra aperture e chiusure fornisce un dato preoccupante nella cui lettura va esteso alla provincia. Se consideriamo tre, quattro unità lavorative per ciascun punto vendita, provate ad immaginare le migliaia di posti di lavoro perse sul nostro territorio fra servizi, commercio e turismo.

La città prova a rialzarsi con l’ausilio delle poche forze sane esistenti. Tre i principali fattori negativi che l’hanno condotta in queste condizioni: 2009, la crisi economica mondiale, che parte da lontano e provoca un effetto che mette all’angolo un intero sistema; il dissesto del Comune di Taranto che si perpetua da undici anni con il peso di tasse e aliquote che schiacciano le imprese; infine il fattore-Ilva, dal 2012 l’industria vive nell’incertezza provocando agitazione in quanti vivono di siderurgico, dai dipendenti all’indotto. Sono questi i principali fattori negativi; a differenza di altre realtà, questi sono andati sommandosi alla crisi mondiale: altrove, ma anche nel nostro stesso Paese, hanno reagito diversamente, Taranto invece ha subito tutto il peso di questo impoverimento senza realizzare una via di fuga dalla crisi. Ciò detto, la situazione del commercio, a livello nazionale, in particolare quella locale, è ancora di grande difficoltà».

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Distretti urbani del commercio, croce o delizia di commercianti e cittadini?

«Voglio essere chiaro, una volta per tutte anche su questo tema: Confcommercio Taranto ha spinto incontri e confronti a livello regionale, relazionandosi all’alba del progetto con Loredana Capone, assessore alle Attività produttive; i “Distretti” sono dei contenitori: se siamo bravi, possono diventare motivo di confronto e pianificazione delle attività che in modo sinergico lavorano con le diverse Amministrazioni comunali: da un lato Confcommercio e Confesercenti, dall’altro, appunto, il Comune; provare insieme a fare quella programmazione mancata in tutti questi anni. Dobbiamo fare sistema per attingere risorse, fare animazione, rigenerazione, riqualificazione, piani della mobilità sostenibile. Sono tante le cose che si possono fare: ripeto, però, dobbiamo essere bravi ad impegnarci, consapevoli che nel frattempo abbiamo perso tempo prezioso. Diversamente questa occasione resta un altro contenitore vuoto, dunque senza idee e argomenti per il rilancio del territorio».

Cosa ci vuole per cambiare il senso di marcia.

«Un grande senso di responsabilità; grandi valori, il senso del bene comune, mancato purtroppo in alcuni soggetti; pensare a un territorio ricchissimo, generoso dal punto di vista delle opportunità, ma fino ad oggi povero nella pianificazione di un riscatto necessario per evitare il baratro: non esistono altre vie di fuga. In questo ragionamento c’è un pensiero che tante volte mi porta a riflettere profondamente su cosa ci manchi rispetto ad altre realtà. Dobbiamo ripartire dalle nostre risorse: agroalimentare, turismo, mare, porto, cultura. La Città vecchia è un mondo che può fornirci grosse opportunità: necessitano persone che facciano la differenza e che abbiano in animo il bene comune. Altra cosa, su tutte: guardare ai giovani come risorsa del futuro; in questi anni duecentomila ragazzi, una volta laureati, hanno lasciato il Sud spostando trenta miliardi di euro in fatto di prodotto interno lodo, evidentemente indirizzato altrove e impoverendo di più un territorio già sofferente».

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Turismo, porto, cultura. Qual è l’anello debole?

«Tutti anelli deboli, nessuno escluso. Più facile essere dipendente di Ilva, Cementir e Arsenale, per indicare i primi soggetti che mi vengono in mente: questa mentalità ha prodotto negli anni pigrizia nel fare impresa; non abbiamo coltivato capacità e fiducia nell’investire sui noi stessi. Volendola far breve, ci siamo accontentati del “posto sicuro”. E’ mancata, e manca, pianificazione nelle infrastrutture, cioè formazione, praticamente un intero mondo: il turismo è patrimonio di tutti, non solo del commerciante piuttosto che del ristoratore e dell’esercente; il turista, va visto come risorsa di tutti: perché venga ospitato nel miglior modo possibile, è necessario che tutte le componenti vadano nella stessa direzione; solo così è possibile valorizzare una volta per tutte l’intero territorio. Turismo è cambiamento, opportunità, Confcommercio è l’unica titolata a dire cose in tal senso, disponendo dell’intera filiera legata al sistema dell’accoglienza: stabilimenti balneari, alberghi, ristoranti, bar, guide, discoteche; proprio in virtù di ciò stiamo facendo corsi di formazione su lingue, informatica, accoglienza».

A proposito di accoglienza, mediante una cooperativa come “Costruiamo Insieme”, questa viene svolta in modo esemplare ospitando extracomunitari in fuga da zone di guerra, da conflitti etnici, persecuzioni politiche.

«L’accoglienza è un dovere morale, gli italiani devono fare mente locale non solo al Dopoguerra, ma all’intera storia di emigranti, partiti alla volta degli Stati Uniti, poi a metà del secolo scorso, verso Germania, Francia, Belgio: nostri congiunti hanno vissuto in container; nella stessa Italia, a Torino, decine di migliaia di meridionali hanno fatto ricorso alla valigia di cartone nella quale hanno messo la legittima speranza di una vita decorosa. Non possiamo accogliere tutti, beninteso: è importante distinguere fra gli emigranti che vogliono rappresentare una risorsa per il nostro Paese e quanti, invece, intendono delinquere. Certezza della pena anche nei confronti di chi approfitta della disperazione di questi ragazzi: non deve più accadere quanto successo a Foggia, dove in un incidente stradale hanno perso la vita diverse persone e, fra queste, extracomunitari che avevano il solo torto di recarsi nei campi per guadagnare pochi euro».