Emanuela Rossi, doppiatrice delle star di Hollywood
«Abbiamo realizzato un video per i piccoli pazienti dell’ospedale “Moscati” di Taranto. L’accoglienza, altro tema che ci sta a cuore». In teatro con “Bukurosh mio nipote”, dà la voce a Michelle Pfeiffer, Emma Thompson, Sissy Spacek, Rene Russo, Kim Basinger, Susan Sarandon. «Ma doppiare è più complicato, sei in una sala buia, da sola; anche se l’applauso sincero da platea e galleria è la migliore moneta con cui il pubblico ripaga il tuo impegno»
«Certo che siamo dalla parte delle fasce più deboli: ci è stato appena chiesto un intervento in video per sensibilizzare il pubblico a non perdere d’occhio un tema importante come quello dei piccoli pazienti del reparto di Pediatria dell’ospedale “Moscati” di Taranto; l’accoglienza, poi, anche questo è un tema che ci sta particolarmente a cuore, e non solo perché con mio marito portiamo in scena – con una media di duecento repliche per ciascuna edizione – la divertente storia di una coppia di coniugi albanesi che si interfaccia con la vita di tutti i giorni…».
“Bukurosh mio nipote”, è questa la commedia nella quale Emanuela Rossi, attrice, doppiatrice, direttore del doppiaggio, è protagonista insieme con il marito, Francesco Pannofino, altra voce fra le più note del panorama cinematografico. In famiglia, insomma, non c’è da annoiarsi. Nemmeno a colazione. Anche in quell’occasione, con sfumature diverse, si incrociano le voci doppiate per il grande schermo di Michelle Pfeiffer, Emma Thompson, Sissy Spacek, Rene Russo, Kim Basinger, Susan Sarandon e tante altre ancora. Da parte sua, Pannofino risponde con gli accenti, ora accomodanti, talvolta ruvidi, di George Clooney, Denzel Washington, Mickey Rourke, Wesley Snipes, Antonio Banderas.
«Ma non mi chieda qual è il rapporto sulla scena con mio marito, non sarebbe originale…». Scherza Emanuela Rossi, si smarca dalla domanda meno spiazzante che le pongono ad ogni occasione ufficiale. «Può essere, comunque, considerato anche l’unico modo per vedersi… anche se nel momento in cui andiamo in scena siamo due colleghi normali, cerchiamo di rispettarci e lavorare in armonia, come faremmo con qualsiasi altro partner di scena; il lato positivo, comunque c’è: ci conosciamo talmente bene che riusciamo a recitare quasi ad occhi chiusi e questo sulla scena si nota…».
E quando siete in viaggio, insistiamo su colazione, ma anche pranzo e cena, capita che ripassiate meglio una scena.
«E’ un esercizio che facciamo anche con il resto degli attori della compagnia; poi quando fai teatro, il personaggio ti resta comunque addosso; ma è anche il bello della diretta: non dare ripetitività alle cose che fai all’interno dello stesso lavoro; la sera, magari, ti vengono idee nuove, interpreti una battuta in modo diverso».
Trecento repliche fra prima e seconda commedia dei “suoceri albanesi”.
«L’autore, Gianni Clementi, ha avuto la brillante idea di portare in scena una storia dei giorni nostri nella quale il pubblico si riconosce; a fine commedia, quando vengono a trovarci in camerino, scatta il complimento: “…ci sembrava di stare a spiare in salotto, ad assistere a quello che accade fra le mura domestiche fra i suoceri albanesi».Un complimento che accetta volentieri.
«L’applauso finale, quando hai netta la sensazione che quella manifestazione di affetto, riconoscenza, è sentita, dunque non di circostanza; poi il teatro è bello, stando sulle tavole avverti una sorta di “canale di trasmissione”: ti accorgi che il pubblico è lì, ti ascolta, si diverte, crea complicità, ed è questa la cosa più importante, oltre al fatto – scherza – non ci sia troppa tosse, primo sensore del disagio: per fortuna a noi non è capitato, ancora…».
Completato questo secondo segmento di repliche, i programmi di Emanuela Rossi.
«Resterò a Roma, a seguire i miei turni di doppiaggio, direzioni comprese; ho iniziato da bambina con “Pippi Calzelunghe”, Michelle Pfeiffer, Emma Thompson, Kate Blanchett, insomma torno a casa, al mio primo amore. Sicuramente il teatro dà tanta soddisfazione, ma stare lontano da casa è anche molto faticoso; progetti teatrali: si parlava di un terzo episodio della fortunata serie de “ I suoceri albanesi”, bissato, appunto, da “Bukorosh mio nipote”, ma per il momento vogliamo fermarci, riflettere; personalmente sto considerando proposte che, stavolta, mi porterebbero a recitare senza mio marito Francesco…».
L’empatia con le attrici cui dà voce.
«Il mestiere è la nostra armatura, ma esistono situazioni, film e attrici, specie se non è il primo doppiaggio di una artista, in cui entri dentro al personaggio, ma anche nella loro professionalità, io che ho la fortuna di doppiare attrici con un passo di recitazione superiore alla media di altre loro colleghe americane; quando doppi devi osservare il movimento delle labbra, andare a “sync”, ma ciò che esprime il sentimento sono gli occhi e lì hai la sensazione di trovarti davanti a grandi interpreti».
L’arte recitativa a teatro, invece.
«Immedesimazione, gestualità, il fatto di esserci, essere generoso, lasciarti andare, provare a donare al pubblico – attraverso il personaggio che tu stai interpretando – delle emozioni…».
Più difficile teatro o doppiaggio?
«In teatro sei aiutato dal tuo compagno, che è lì, con lui hai creato una sinergia; il doppiaggio lo fai in una stanza chiusa, asettica, al buio, davanti il leggio, segui le tue battute con l’originale in cuffia: sei lì da sola, se fai scene in cui sta facendo l’amore, corre, piange, non sei che aiutata dalla concentrazione e dalla tua forza di volontà, così anche la tecnica diventa importante: dare questa illusione, creare questo “trucco” perché la gente pensi sia proprio lei in quel momento a recitare, è molto impegnativo, ma anche gratificante».