Nigeriano, venticinque anni, fuga dall’ingiustizia
«Sono stato picchiato, svuotato di soldi e sogni, ma ho ricominciato: con una ditta di pulizie, in Libia, per raccogliere la somma e “comprarmi” un viaggio per l’Europa. Mi mancano famiglia e fidanzata, cerco lavoro e dignità»
«Un agguato: circondato, spintonato, picchiato selvaggiamente, derubato di quei pochi soldi che stavo mettendo insieme con grandi sacrifici: una banda di malviventi durante il mio viaggio verso la libertà, mi ha assalito e mi ha svuotato le tasche e l’anima».
Alleggerito nelle tasche di qualche centinaio di dinari guadagnato in Libia, è il meno che possa addolorare Cristian, nigeriano, che avverte ancora il dolore di quel sopruso, del «Tanti contro uno!»: non va bene. Nemmeno fosse stato uno solo. Ma essere annientato nel carattere, nella reazione umana a qualcuno che vuole svuotarti di sentimenti e sogni, questo no. Ce lo aveva raccontato tempo fa, Cristian. «Il mio sogno era uno solo: lasciare il mio Paese dove non era possibile vivere umanamente, a meno che non facessi quello che il più ricco, dunque il più forte, ti imponeva: il lavoro di schiavo o di cattivo, l’esattore; anche per le strade non avvertivi il senso dell’uguaglianza». Benché si sforzi, Cristian, nel suo inglese, non riesce a traslare la parola “democrazia”, sinonimo di uguaglianza. «Freedom», esattamente. Libertà, basta farci caso. Tutti i ragionamenti che fa il venticinquenne nigeriano portano all’identica conclusione: fuga dall’ingiustizia, dalla violenza, dalla schiavitù. «Siamo tutti uguali davanti a nostro Signore – dice Cristian, cattolico convinto, occhi al cielo e segno della croce quando il ragionamento si fa duro, come a dire “Signore, perdonami!” – dunque, perché devo essere ridotto a qualcosa di insignificante, contare meno di qualsiasi altra cosa: stavo per dire “bestia” – altro segno della croce – ma il Signore amava gli animali, qualsiasi cosa è creatura di Dio va rispettata».
CERCASI RISPETTO
Una costante per Cristian e anche per tanti fratelli che hanno dovuto attraversare il Mediterraneo: il rispetto. «Non è facile guadagnarselo, non ho potuto farlo a casa mia, in Nigeria, il governo poneva condizioni restrittive, nelle periferie e nei villaggi non esisteva, non esiste ancora oggi, sia chiaro, una vera legge: questa la rispettano, a modo loro, quanti controllano il territorio con i loro traffici, le estorsioni quotidiane su quanti lavorano sodo; io non potevo più sopportare, così un brutto giorno – si sbraccia, si aiuta con i gesti delle mani, Cristian – perché non è bello staccarsi dalle proprie radici e fuggire…». Pausa. Parlare di fuga, non gli scende giù. «…Un brutto giorno sono scappato, non è un atto di coraggio, lo riconosco, ma se fossi rimasto in Nigeria per me sarebbe andata a finire male: non tolleravo atteggiamenti, ingiustizie, di militari o malviventi che spesso si sostituivano agli uomini in divisa – che invece di far rispettare la legge, rivolgevano lo sguardo da un’altra parte – a che prezzo? Non so, non voglio nemmeno pensarci, ormai è andata così».
Un agguato, fuori i soldi e giù botte. «E ricominciare tutto daccapo – ricorda per noi Cristian – ma quante botte, vittima di una violenza fatta di pugni e calci e provavo a coprire il viso e pregavo il Signore: speravo che da qualche parte mi provocassero una ferita: se non avessero visto del sangue, difficilmente si sarebbero fermati, avrebbero continuato a picchiarmi; poi, sfinito, pieno di dolori, ai fianchi, a una spalla, naso e labbra sanguinanti, le mani in tasca e, in un colpo solo, via i risparmi di mesi di lavoro».
Altri mesi di lavoro. «In Libia, ho svolto lavori di fatica, fino a trovare una sistemazione più o meno costante: fare il “puliziotto” – ride per la battuta, che accompagna con un gesto, mima uno straccio in una mano dando il senso di una lucidatura – non il “poliziotto”, quest’ultimo è un lavoro che proprio non saprei fare, non ne avrei la forza; dieci mesi di fuga e di lavoro, poi finalmente i soldi per pagarmi il viaggio per l’Italia: inizialmente non importava in quale Paese dell’Europa arrivassi, per prima cosa dovevo lasciarmi la Nigeria alle spalle, avevo sofferto troppo, anni».
FINALMENTE “COSTRUIAMO”
Il “benvenuto” nel Centro di accoglienza “Costruiamo Insieme”. «La prima cosa che ho fatto – racconta Cristian, ancora tanta emozione negli occhi – telefonare ai miei, un breve messaggio: “Sono arrivato in Italia, sano e salvo!”, urlai».
Qual è ora il sogno di Cristian. «Quello di ogni essere umano – insiste l’ex “puliziotto” – fare una vita serena: lavorare, possibilmente un impegno decoroso; non mi tiro indietro per lavori di fatica, anche di quelli pesanti, purché ci sia il rispetto della persona e di quello che fai». Volesse pensare in grande. «Creare una famiglia, sposarmi, avere bambini a cui insegnare le cose che, nel frattempo, ha imparato papà, cioè io, perché loro non soffrano quanto ho sofferto io. Certo, per mettere in piedi una famiglia occorre essere in due…». Finalmente un sorriso.
Riaffiora la nostalgia. «Mi manca la mia “girlfriend”, altra cosa cui ho dovuto rinunciare, a malincuore; un giorno mi piacerebbe riabbracciarla, scrivere con lei il romanzo della nostra vita cominciando con amarezze, pianti, fughe coronati dal sogno più importante della vita: la libertà; un romanzo a lieto fine del quale ho appena scritto le prime pagine…».