Said, marocchino, tecnico nel siderurgico tarantino, lascia la “sua” città

«Il Covid-19 ha impresso un’accelerata, abbiamo chiuso il contratto di ambientalizzazione con l’ex Ilva. Un amore a prima vista. Torno a casa, a Milano, riabbraccio mia moglie e le mie figlie a tempo pieno». Da Casablanca a Parigi, da Roma a Milano. Fra Gregoretti e Ferrara, Ferreri e la Muti. Poi una pallonata, una squadra di calcio, un ingaggio, un lavoro, il viaggio nella Città dei Due mari, un principio di nostalgia e una promessa.

«Di questa città mi mancherà la passione, l’amicizia, la gente che non ti fa mai sentire solo, anche se l’hai conosciuta al bar per un caffè, in fila al supermercato, sul posto di lavoro…». Said, sessant’anni, marocchino di Casablanca, dopo due anni, fa le valigie. Va via da una città che ha amato a prima vista. Lavorava per una multinazionale che si occupava di ambientalizzazione e aveva stipulato un contratto con l’Ilva, prima che il siderurgico più importante d’Europa, come continuano a definirlo oggi – nonostante perda pezzi e posti di lavoro – passasse ad Arcelor-Mittal. Il Covid-19 ci ha messo lo zampino, ha accelerato la fine dei lavori. Il confinamento, la mancata attività per mesi, rischiava di mandare gambe all’aria un sistema del quale Said faceva parte in qualità di responsabile.

«Mi dicevano – attacca Said – “I tarantini non sono pugliesi, sono un’altra cosa!”; invece, non solo sono pugliesi, ma addirittura pugliesi-pugliesi, un’altra cosa rispetto ad altri loro corregionali: sono generosi, altruisti; ne dico una, mal di testa o febbre, ti portavano Aspirina e Tachipirina, a scelta, e, talvolta, ti toccava anche prenderne una, altrimenti – e nonostante quella linea di febbre o quel malore passeggero fosse svanito… – ci restavano male…».

Una laurea in ingegneria appena sfiorata, in Francia, a Parigi, un bagaglio di grande esperienza e umanità messa al servizio della sua società, dei colleghi e dei suoi amici, quelli che ha incontrato sulla sua strada in tanti anni di lavoro. Ma la sua storia di sudore e maturazione con quello che è stato un lieto fine – anche se lui giura sia solo un “arrivederci” – comincia da ragazzo.

Casablanca, dicevamo. «Lavoravo per un’agenzia di viaggi, la Discover, sullo stile di Italturist organizzavo viaggi per Marocco, Turchia e Algeria; allestivo “carovane” e, nel frattempo, allargavo i miei orizzonti: parlavo arabo e francese, le due lingue ufficiali del mio Paese, ma non disdegnavo di sfogliare prima, di leggere poi, sempre più appassionatamente, libri in inglese, di solito psycho-thriller, e in italiano: fra i primi, “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola e “La pelle” di Curzio Malaparte».SAID - 1Taranto nel cuore, per sempre. «Quando si lascia una città come questa – dice il professionista marocchino, non senza un sincero dispiacere – non può che assalirti la nostalgia già settimane prima, vedi le cose che ti circondano sotto un altro aspetto: le guardi per memorizzarle, fotografarle, portarti passione, profumi, immagini; poi torno a casa, nella mia Milano, riabbraccio a tempo pieno mia moglie Daniela, insegnante, come mia figlia Miriam, e Nadia, art director in una multinazionale. Questo ha ammorbidito il dolore del distacco…».

Said, laurea sfiorata, poi l’Italia. «Avevo il bernoccolo per il teatro – spiega, circostanziando – la prima commedia cui ho assistito è stato “Il berretto a sonagli” di Pirandello, straordinario il racconto, straordinario l’autore; come attore non ero affidabile, mi avevano sempre assegnato particine, ma mi aveva assalito la voglia di dedicarmi al cinema; mi feci coraggio, contattai un parente stretto che mi invitò a Roma: “Vieni qui, è un buon momento, ti introduco a Cinecittà…”, mi promise. Non andò proprio così, in realtà mi dette picche, non sapeva come dirmi che non era stato sincero fino in fondo. Comunque, non mi detti per perso, mi presentai nella Città del cinema, dove incontrai Ugo Gregoretti e Giuseppe Ferrara, due grandi registi: mi suggerirono di recarmi a Milano, sul set del film “Il futuro è donna”, diretto da Marco Ferreri e interpretato da Hanna Shygulla e Ornella Muti. Mi avevano personalmente segnalato a Ferreri, che mi prese a benvolere, tanto che a fine riprese mi fece una dedica dandomi, bontà sua, del “collega”…».

Said abbandonò presto il sogno di cineasta, restando a Milano, fra mille piccoli, grandi impegni. «Mai perso d’animo, conobbi ragazzi che giocavano al calcio in una circostanza fortuita. Ero seduto su una panchina, leggevo un libro, mi arrivò una pallonata. Il modo con cui bloccai il pallone, li convinse a convocarmi per una squadra che stavano allestendo in occasione di un Mundialito voluto dal sindaco di allora, Carlo Tognoli. Andrew, figlio di un diplomatico inglese, prima del calcio d’inizio mi consegnò la fascia da capitano che onorai con organizzazione di gioco e bordate da venti metri: un destro da paura, perché nel frattempo, da estremo difensore, ero passato a centrocampo…».

Poi un lavoro stabile, una crescita professionale. «Ho fatto la mia bella gavetta – spiega il “castigatore” dei numeri uno – mi sono fatto apprezzare per le mie conoscenze, parlare più di una lingua, dal francese all’italiano, passando per un buon inglese, mi ha aiutato, con la mia multinazionale, due anni fa un contratto per l’ambientalizzazione dell’Ilva, un lavoro impegnativo: il mio compito e quello di un paio di colleghi, anche loro supervisori, consisteva nel seguire una settantina di dipendenti impegnati nel progetto che doveva portare a contenere prima, e successivamente abbassare, le emissioni scaturite dall’acciaieria».

Poi il confinamento obbligatorio condizionato dal coronavirus, fine dell’esperienza tarantina. «Con ogni probabilità riprendo il lavoro – conclude Said – lo stesso del quale mi sono occupato in passato, con un’altra multinazionale; due addii in uno solo, quello con la società che mi ha spinto sulle rive dello Jonio, e che prosegue brillantemente la sua attività, e con Taranto, una città che porterò sempre nel cuore, dal sole al mare, dalla cucina alla sua cultura, quella di una Magna Grecia che mi ha sempre affascinato».

Allora, addio Said. «Arrivederci, Taranto!».