Floriano Dandolo, genitore di una piccola in cura al SS. Annunziata

«Un emocromo inquina il sangue di mia figlia. Cambia la vita, disintegra le certezze. Ma la piccola ha il carattere forte della mamma, sorride e sta uscendo fuori dalla terapia. L’importanza di incontrare professionisti e curare sul posto. Disposto a incontrare altri genitori…»

Sul sito, ma sostanzialmente sui mezzi di comunicazione di cui dispone “Costruiamo Insieme” (canale youtube e web radio), abbiamo spesso ospitato dirigenti, primari dell’azienda ospedaliera locale. Confronti per comprendere quali fossero le attività dell’Ente ospedaliero e le attese, invece, di pazienti e familiari che si avvicinano a un nosocomio, che sia un Pronto soccorso o uno dei reparti del “SS. Annunziata” piuttosto che “San Giuseppe Moscati”.

Questa volta sentiamo dalla voce di un papà, Floriano Dandolo, che al SS. Annunziata ha in cura la sua bimba, Chiara, cinque anni, che segue una serie di cure per combattere una malattia del sangue. Qual è il punto di vista di un genitore, la percezione di un utente, quando di fatto mette nelle mani di un’azienda ospedaliera una vita più preziosa della propria.

«Una macchina complessa; all’inizio ti trovi al cospetto di un percorso tortuoso che fai fatica a capire, se non fosse che nella sfortuna hai la fortuna di incontrare personale, non solo medico, umano e altamente professionale. E’ anche grazie a questo che riesci a farti una ragione di quanto ti stia accadendo, e ad avvicinarti a un tipo di vita che non t’aspettavi, quella di genitore costantemente all’erta. Non è facile, ma quando entri in un simile meccanismo, cominci a ragionare e a camminare con le tue gambe, immedesimandoti in totale nei momenti che stai vivendo, in questo caso con la mia bambina, Chiara, appena cinque anni, e mia moglie, Maria Rosaria».DANDOLO Articolo 01Un “emocromo sospetto” entra nella vostra vita. Una scossa spazza via qualsiasi sicurezza.

«Di colpo non esiste più l’ordinario, la vita quotidiana, una inattesa onda d’urto ha spazzato in un istante il concetto di “casa”. Non solo in senso fisico, ma anche dal punto di vista psicologico: la famiglia cede sotto i colpi di un emocromo. La vita ti costringe a voltare pagina, a gestire situazioni inattese. E, purtroppo, non ogni tanto, ma giornalmente, ora per ora».

Di Chiara ne parliamo a breve, ma tuo figlio, Luca, sette anni, dunque appena più grandicello, che domanda ti ha posto a proposito della sorellina?

«Domanda spiazzante. “Papà, che fine hanno fatto Chiara e la mamma?”. In quel caso mi ha soccorso una illuminazione. Ho inventato una favoletta spiegando la realtà, anche se in tutta coscienza non sapevo se fosse stata quella la cosa giusta. Consultando una psicologa, cui ho spiegato cosa fosse accaduto e come mi fossi comportato, mi è stato spiegato che avevo agito in modo ingenuo, ma funzionale. I bambini che non sono vittime di malattie rare e vigliacche devono anche sapere che esiste il bene, ma anche il male. Questo credo sia fondamentale. Non dobbiamo spegnere loro il sorriso, ma accompagnarli sul sentiero della vita che alterna cose belle a cose talvolta meno belle. Nei momenti in cui vieni preso alla sprovvista non è semplice trovare le parole giuste, poi, dicevo, l’illuminazione, ti soccorre il mestiere di genitore: la storiella…».

Qual è stata questa storiella raccontata a Luca?

«“Alla tua sorellina – ho spiegato al piccolo – hanno trovato il sangue “sporco”, tanto che si sono rese necessarie cure per “ripulirglielo”: questo è quanto…».

Poi incontri Valerio Cecinati, primario del reparto di Pediatria al SS. Annunziata. L’importanza di un medico.

«Un raggio di sole improvviso sbucato da una fitta nube nera. Non solo uno stimatissimo professionista nel campo della pediatria, ma anche medico qualificatissimo nel settore oncoematologico. Credo che in breve tempo, anche grazie ai colleghi del reparto, al personale paramedico, insieme ai collaboratori abbia trasformato un treno a vapore in un mezzo di collegamento che viaggia più spedito. La mia sensazione: non si fermerà fino a quando il suo reparto non diventerà un treno ad alta velocità».

DANDOLO Articolo 02Ci diceva che ha assunto un impegno. Spendere il suo tempo libero nell’incoraggiare quei genitori che avranno bisogno di un sostegno psicologico. Chi meglio di lei  la sua signora.

«Sottoporre un paziente a cure continue, a casa o in prossimità di casa, senza sottoporsi a spostamenti e lunghi viaggi nella sfortuna di una malattia che interessa un numero di pazienti in costante crescita, è un vantaggio psicologico non indifferente. Io e mia moglie, per esempio, per sottoporre la piccola a cicli di radioterapia ci siamo spostati non più lontano di San Giovanni Rotondo. E qui torniamo alla professionalità, all’importanza di un medico che esamina caso per caso e suggerisce la strada più giusta da compiere. Dunque, diffidate dai suggerimenti di amici e parenti, che possono indicare centri di eccellenza, ma magari non idonei a quel caso specifico».

Chiara, il suo comportamento, i suoi sorrisi. I suoi genitori.

«Non ha mai smesso di sorridere. E’ un fiume in piena, con il suo carattere travolge tutti, genitori e personale in primis. Merito della mamma, da cui Chiara ha preso il carattere forte, determinato. La terapia si divide in due fasi: in day hospital e in ricovero. Stando a Taranto, i due bambini usufruiscono della nostra costante presenza di genitori, in quanto possiamo alternarci; fosse stato altrove, un altro centro lontano da casa, sarebbe stato molto più difficile. Non dimentichiamo che la vita del bambino, appena sette anni, deve proseguire nel modo più normale possibile…».

Consigli ai genitori.

«In reparto ho lasciato il mio numero telefonico, disponibile con chiunque voglia scambiare due parole su una esperienza che io e mia moglie abbiamo vissuto in prima persona. A volte, le parole semplici possono alleggerire un peso sotto il quale si rischia di finire schiacciati nel fisico e nella mente».