Beatrice Venezi, la scalata alla direzione di un’orchestra
Non è semplice, per una donna, avere ragione di un ambiente spesso sessista. «Chi ha ambizioni in questa passione ed è una donna, deve dimostrare sempre qualcosa in più rispetto all’uomo. Un giorno un pèrimo violino mi ha mancato di rispetto, l’ho messo a posto, i colleghi orchestrali sono venuti a porgermi le scuse a causa della leggerezza con la quale mi si era rivolto»
Dicono che il fascino aiuti, così come la bella presenza. Qualità che semplificherebbero l’ascesa in qualsiasi lavoro dove c’è da rappresentare se stessi, mostrarsi in pubblico, anche per le sole pubbliche relazioni. C’è stato, forse, esiste tutt’ora l’idea di un tempo, dove l’altezza era “mezza bellezza”, oppure l’aspetto gradevole semplificava eventuali rapporti di lavoro.
Come in tutte le cose, però, esiste anche una, due, tre, controindicazioni così da fare della bellezza un bagaglio ingombrante. In un bell’articolo-intervista di Edoardo Semmola, apparso in questi giorni sul Corriere fiorentino, leggiamo per esempio di come una direttrice d’orchestra, brava e di bella presenza, abbia dovuto fare ricorso a tutto il suo carattere per mettere in chiaro certe attenzioni che un musicista, più spigliato di altri, le aveva dedicato.
Beatrice Venezi, a 25 anni era la più giovane direttrice d’orchestra d’Italia (“direttrice”, secondo la collega Gianna Fratta che tiene in particolar modo al sostantivo “direttore” declinato al femminile). «In un attimo diventi celebre – spiega a Semmola – specie se vai al Festival di Sanremo: visibilità ma anche tantissime critiche quando venne fuori la voce che volevo farmi chiamare “direttore” e non “direttrice”, oltre alle osservazioni sessiste. Per non parlare della decisione di partecipare a un programma “pop”: non ti perdonano l’aver “contaminato” la purezza di una musica elevata rispetto alla cosiddetta “leggera”: insomma, si mette in moto la macchina della cattiveria e della malafede».
Differenza di genere. «Al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano non godevo delle stesse occasioni che, invece, offrivano ai colleghi maschi. Circolavano le solite battute sessiste del tipo “E’ una donna, cosa volete che faccia?”, oppure che non potessi indossare abiti femminili come se dovessi per forza somigliare a un uomo: forse gli insegnanti, non volendo, provano a creare piccole copie di se stessi. Del resto non esistevano ancora modelli femminili a cui in qualche modo ispirarsi».
Ha diretto all’estero, ma l’Italia è un passo indietro. «Qui, da noi, sembra si faccia cultura solo se si rimane seriosi, guai a ridere o divertirsi: all’estero, in Francia per esempio, dove ho diretto, non è così. Nonostante il mio percorso virtuoso, nell’ambiente accademico mi additano ancora come se fossi un “prodotto commerciale” di intrattenimento, come se fossi un bluff. Questo in Italia, all’estero è un’altra cosa».
Le prove, prima del debutto. «Con alcuni primi violini non ci si intende subito – ha spiegato Beatrice Venezi a Semmola del “Corriere Fiorentino” (sul sito la lunga, interessante intervista) – quelli che sognano di fare i direttori e non ci riescono: due anni fa un violinista di nome, di un’orchestra importante, si rivolse a me in modo paternalistico come a dire: “Non ti preoccupare, ci penso io, sono un uomo e sono più grande di te”. Avrei voluto reagire, ma un direttore non deve mai scendere allo stesso livello di un provocatore, anche perché l’autorità non si dimostra alzando la voce: il fatto che io abbia mantenuto la calma mentre lui cercava di provocarmi probabilmente lo ha fatto uscire dai gangheri: si è alzato e se n’è andato: ho continuato a lavorare con gli altri che sono venuti a scusarsi per lui».