Carlo Buccirosso, attore, autore e regista

All’Orfeo con “La rottamazione di un uomo perbene”. «Pochi gli autori in circolazione, non mi andava di aspettare. Serietà, attori bravi, una direzione attenta, efficace e il pubblico ricambia. Al “Manzoni” di Milano e in tv sono arrivato in ritardo: ma ho saputo attendere il mio turno. E senza raccomandazioni…»

Carlo Buccirosso, attore napoletano, oggi anche autore e regista. Ottimi risultati nella scrittura come nella regia, firma “La rottamazione di un uomo perbene”, lavoro teatrale andato in scena al teatro Orfeo di Taranto all’interno della rassegna teatrale a cura dell’Associazione “Angela Casavola” con la direzione artistica di Renato Forte. Ruolo importante riveste la nostra cooperativa sociale, “Costruiamo Insieme”, che per il secondo anno consecutivo ha voluto affiancare un cartellone teatrale importante.

Dunque, Buccirosso. Già intervistato lo scorso anno, stavolta si è concesso in regime di esclusiva per sito, canale youtube e web radio di “Costruiamo Insieme”. Estremamente discreto, l’attore, nonostante un abbassamento della voce a pochi minuti dall’andare in scena, si è concesso volentieri alle nostre domande, un fuoco di fila. Interrogativi ai quali ha saputo rispondere da par suo, attore brillante, amato dal pubblico che privilegia il cinema, ma oggi apprezzato anche dalle platee televisive e teatrali. Applausi a scena aperta e abbraccio ideale al pubblico che ha assicurato il “tutto esaurito”, nonostante l’allarmismo lanciato per il coronavirus. Pubblico tarantino che ha risposto massicciamente all’invito a teatro, un interesse ricambiato da un lavoro di alto livello.

Attore, autore, regista. Buccirosso, quale dei tre ruoli ritiene sia il più impegnativo?

«Sicuramente quello di autore, considerando che ogni anno mi tocca scrivere qualcosa di nuovo, cercare dentro di me, oppure avvertendo quel tema che, in qualche modo,  il pubblico vorrebbe che tu portassi in scena. Poi c’è pubblico e pubblico, a volte esigente, altre volte distratto…».

Lei questa sensazione l’avverte sul palco, qual è il suo sensore?

«Sensori negativi: i telefonini accesi, verso i loro possessori lo scorso anno ho cominciato una battaglia che oggi continuo imperterrito; il messaggio che viene letto prima dell’inizio dello spettacolo sta funzionando; invito il pubblico a non chattare, non a tenere il telefonino spento – nessuno lo spegnerebbe – perché diversamente ci sarebbe da vergognarsi; significa mancare due volte di rispetto: a se stessi, per aver acquistato i biglietti e, invece, aver scelto una poltrona di teatro per dedicarsi al social; si manca di rispetto anche agli attori in scena ai quali non si presta la giusta attenzione – da “lassù” ce ne accorgiamo – e solo il mestiere ci aiuta a non distrarci e ripagare la fiducia a quella parte di pubblico che, invece, è lì a seguire lo spettacolo».

L’esigenza che l’ha spinta a scrivere per conto suo cose che poi si è cucito addosso con risultati importanti.

«Ho capito che se non me le scrivevo io, cose importanti – come dice lei – non me le avrebbe date nessuno; poi perché non vedo in circolazione tanti autori in grado di scrivere lavori teatrali degni di questo nome; idem per ciò che riguarda le sceneggiature cinematografiche; così mi è venuta voglia di provare e penso di esserci riuscito con risultati lusinghieri, direi: non penso di aver preso scivoloni con le commedie scritte finora; questione di ingredienti: intanto la serietà, buoni attori, una storia che reggesse, una regia efficace, costumi e scenografie importanti che non tutti, oggi, possono vantare».

Lo scorso anno ha detto della tv: solo oggi si è accorta di me, peggio per lei.

«Mi hanno già proposto una seconda serie dello sceneggiato “Imma Tataranni – Sostituto procuratore” interpretato insieme con Vanessa Scalera. Mi sono trovato bene con il regista, Francesco Amato, molto simile a me: scrive molto bene – ha partecipato lui stesso alla sceneggiatura – ed è un regista che lavora molto sugli attori, come provo a fare io, rispettando e amando le risorse a disposizione».

Un bel mettersi in discussione. Come fa un attore come lei a ritoccare un registro attoriale, trasformandosi da comico ad artista con sfumature più contenute, sostanzialmente ironiche?

«Questione di misura. E’ questo l’aspetto fondamentale, il non andare oltre, riuscire a tenerti nel perimetro del personaggio al quale stai dando carattere».

Ha nobilitato il ruolo di “spalla”. Qual è il ruolo che le ha dato maggiori soddisfazioni tanto da averle dato una spinta talmente decisiva da affrontare, oggi, un impegno non duplice, ma triplice, visto che è attore, autore e regista.

«Peppino De Filippo era una grande “spalla”, parlandone con il massimo rispetto riusciva a diventare protagonista al cospetto di artisti come Eduardo e Totò; in tv, al cinema, esiste un controcampo: quando ti inquadrano e tu non parli, devi utilizzare la sola espressione del viso; è la tua occasione, devi metterla a frutto».

Non ci ha detto il ruolo decisivo.

«Al cinema, ho interpretato Paolo Cirino Pomicino ne “Il Divo” diretto da Paolo Sorrentino; il ruolo mi ha dato autostima più che popolarità – quella già ce l’avevo – mi mancava però compiere un salto, misurarmi con un banco di prova importante e senza prova d’appello; non nascondo di aver vissuto momenti di grande preoccupazione, riuscendo alla fine a piegare anche gli ultimi dubbi».

E’ arrivato con le sue gambe al “Manzoni” di Milano chiudendone la stagione lo scorso anno.

«Adesso vorrebbero che la prossima Stagione teatrale l’aprissi, un segnale importante; in teatro spesso le raccomandazioni hanno il loro peso, ma tutto quello che ho raccolto lo devo alle mie capacità e non alle buone relazioni, ci ho messo un po’ più di tempo, ma alla fine ce l’ho fatta; mettiamola così: la meritocrazia nel nostro Paese va a passo di lumaca, diciamo che ho saputo aspettare il mio momento».