Trentatré anni fa la tragedia in Bielorussia che in vestì l’intera Europa
Le abitudini a tavola. La gente diventa diffidente sulla produzione di alcuni prodotti. Aziende agricole e allevatori dell’allora Unione sovietica entrano in crisi. La gente diventa diffidente, l’alimentazione diventa di colpo qualcosa a cui prestare massima attenzione.
Chernobyl, esattamente trentatré anni fa. La gente che ha vissuto quella tragedia, esplosione e nube tossica radioattiva sulla propria pelle, attraverso una costante informazione mai sufficientemente esaustiva, adotta con molta cautela notizie sui prodotti alimentari. Da quel momento pare che non tutto sia come prima: cambiano di colpo le abitudini alimentari giornaliere, con queste la sorte di aziende di agricoltori e allevatori. Gli omogeneizzati per i piccoli, per esempio, vengono prodotti con verdure, frutta, carne e latte.
Tutto comincia a Chernobyl, la notte del 26 aprile del 1986. E’ da poco passata l’una. La “numero quattro”, una delle unità della centrale nucleare Ucraina esplode nel corso di un test. Un boato così forte da essere avvertito anche dalla vicina città di Prypjat. Qui alloggia buona parte di quanti sono quotidianamente impegnati sugli impianti della Centrale maledetta. A questi non viene fornita notizia. Per due giorni la vita di questa gente prosegue come se non fosse accaduto niente.
L’invito all’evacuazione ha inizio solo nel pomeriggio del 27 aprile. E’ quanto causa ripercussioni gravi sulla salute degli abitanti, specie sui bambini. Le polveri radioattive, come in uno sciagurato “day after”, si sprigionano nell’aria. La nube di sostanze radioattive si espande in Ucraina, poi Bielorussia e Russia. Pochi giorni ancora e l’intera Europa viene travolta da una paura nuova. Le autorità sovietiche minimizzano. Dal reattore fuoriescono, invece, cinque tonnellate circa di materiale radioattivo. Il resto è rimasto lì: unità numero 4.
Nelle settimane seguenti all’esplosione, con la “nube tossica” che continua ad espandersi in modo gravemente minaccioso. Come si diceva, sale l’allarme per le possibili contaminazioni da radiazioni che potessero interessare prodotti alimentari: insalata e latte, in particolare e, di conseguenza, tutte quelle preparazioni che li utilizzavano. Inizialmente venne detto di lavorare con cura la verdura, quella a foglia larga, in particolare, poi tanti smisero proprio di mangiarla per un lungo periodo. Mentre gli esperti si dividevano sugli effettivi rischi, la psicosi da radiazione condizionò pesantemente le abitudini quotidiane e la sorte delle aziende di agricoltori e allevatori. Basti pensare agli omogeneizzati per i bambini con verdure, frutta, carne e latte.
Trentatré anni da quella tragedia. A oggi è ancora sconosciuto il disastro in termini di vite umane provocato da quell’esplosione. Si citano il rapporto del Chernobyl Forum e quello del Partito Verde Europeo del parlamento europeo chiamato Torch (The Other Report on Chernobyl). Il rapporto Torch è appaiato a quello del Chernobyl Forum sui morti sicuri, ovvero 65, ma differisce fortemente sui morti presunti che, negli anni, secondo Torch,è salito a quota 9000. Contrasti che proseguono anche sulla presunta incidenza della radiazioni sullo sviluppo di malattie tumorali (leucemia, soprattutto ) fra le popolazioni, da quelle più vicine a Chernobyl (600mila gli evacuati) a quelle del resto d’Europa.
E l’Italia? L’incidente ucraino rappresenta anche l’accantonamento definitivo sul programma nucleare italiano. Dopo quella immane tragedia e le ripercussioni sul resto d’Europa, nessun partito in Italia, ad eccezione di quello repubblicano, osa schierarsi con i No al referendum sul nucleare, promossi dal Partito Radicale, consultazione che avrà luogo l’8 e il 9 aprile del 1987.
«Ci vorranno millenni per smaltire gli isotopi radioattivi che ormai si trovano dappertutto: nella terra, nell’acqua e nell’aria delle zone contaminate. Io non credo nell’utilità del nuovo sarcofago», avverte Valentin Kupny, padre di Alexander, responsabile della manutenzione della prima copertura del reattore dal 1995 al 2002. Per lui, «Chernobyl è destinato ad essere un problema eterno».