Gino Castaldo, “Il cielo bruciava di stelle”, racconta la canzone d’autore

Dal rapimento di De André e Dori Ghezzi al tour “Banana Republic”. Battiato e un milione di copie vendute. Pino Daniele, Napoli ed Eduardo. Per non parlare di un “rapimento” per due giorni di Guccini. «Una cosa che ha dell’incredibile: oggi una cosa così non la penseresti nemmeno», racconta l’autore del libro

 

Quanti ricordi, almeno dal ’79 all’81. Ma anche qualche tempo dopo. E’ un periodo di grande successo per la canzone d’autore italiana che di colpo diventa anche popolare. La cantano tutti, tanto che gli organizzatori e le amministrazioni comunali aprono gli stadi, i campi sportivi, ai concerti. Gli spettatori sono nell’ordine delle migliaia, ogni evento richiama “la folla delle grandi occasioni a prezzi stracciati”. Cinquemila, diecimila, perfino cinquantamila, come capiterà alla coppia Dalla-De Gregori a Napoli in una delle tappe del tour “Banana Republic”.

Di questo e tanto altro scrive Gino Castaldo nel libro “Il cielo bruciava di stelle” (Mondadori). In Puglia, ma a Taranto in particolare, in quel periodo preciso diventa l’ombelico del rock e non solo. Oltre ai citati Dalla e De Gregori, qui fanno tappa anche Pino Daniele e Franco Battiato, Venditti e il primo Vasco, che nel tempo eleggerà Castellaneta Marina il suo “buen retiro”.

Castaldo, critico musicale, scrittore, una vita a recensire per Repubblica. Inventore del settimanale “Musica” insieme ad Ernesto Assante e ad una redazione brillante, è anche una delle voci più autorevoli dei palinsesti Rai, e non solo prima, durante e dopo Sanremo.

Castaldo, uno che fa invidia, andato a cena con i Led Zeppelin.

«Mi era passato di mente come tante altre cose: se mi chiedeste di un tour americano di Dalla, seguito personalmente, non saprei mettere mano ad un solo aneddoto; per fortuna conservo tutto e con l’ausilio di audiocassette, interviste e trasmissioni televisive, da “Odeon” a “Mister Fantasy”, ho ricostruito quei due, tre anni irripetibili per raccontarli in occasione delle rassegne in cui è possibile mostrare e spiegare il mio ultimo libro».

Castaldo, due volte a Taranto, prima allo Yachting Club di San Vito, successivamente in occasione del Cinzella Festival, ospite del complesso turistico Mon Reve, due passi da Taranto. Parla di un racconto lungo trecentotrenta pagine. Le parole accompagnate da proiezioni e musica, quella dei protagonisti di una stagione storica, fra l’agosto del ’79 e il settembre dell’81.

 

 

Dal rapimento De André-Ghezzi alla pubblicazione de “La voce del padrone”, primo album da un milione di copie vendute.

«La storia del cantautorato italiano non comincia proprio con quell’episodio terrificante; sono, però, gli anni in cui le migliori canzoni italiane, da “Come è profondo il mare” a “Napule è”, da “Albachiara” a “Centro di gravità permanente”, diventano le canzoni di tutti, le più cantate, le più amate, un vero miracolo artistico; irripetibile, lo abbiamo scoperto dopo, perché un momento così significativo non si è più ripetuto; Dalla, De Gregori, Daniele, Battiato, le loro, assieme a quelle di De André, Guccini e Battisti, erano le canzoni più cantate: rappresentavano un sentimento collettivo; insomma, in quegli anni accadde qualcosa di meraviglioso».

Difficile che torni con la stessa cifra musicale e poetica.

«Viviamo di cicli, non voglio essere pessimista, ma quella roba, oggi, non c’è più; confido, però, in qualcosa di diverso: le cose non finiscono mai, rinascono sotto altre forme, troveremo la bellezza dove magari non ce l’aspettiamo: non sarà come quella, ma…».

Il libro comincia con quel doloroso fatto di cronaca.

«Un momento rappresentativo di quel periodo: il rapimento di Fabrizio De André e Dori Ghezzi, qualcosa di sconvolgente; uno se ne dimentica, ma accadde qualcosa di inimmaginabile: un artista, oggetto di un rapimento; in realtà non cercavano i suoi soldi, ma quelli del padre, che pagò il riscatto; una scossa che racconta un periodo di lacerazioni e contrasti. Quel momento così buio coincise proprio con la partenza di Dalla e De Gregori con “Banana Republic”, un tour che segna il momento della rinascita».

 

 

Dalla e De Gregori, una grande amicizia che nasconde un retroscena.

«Giorgio Bocca, una delle più grandi firme del giornalismo italiano, si incuriosì di un genere che veniva considerato un prodotto basso rispetto alla cultura; da quel suo incontro con Dalla venne fuori un match elettrizzante pubblicato da “l’Espresso”: Lucio se la cavò bene, Bocca riportò tutto con grande onestà. De Gregori ce l’aveva con “L’Espresso” per aver pubblicato in copertina la foto del cadavere martoriato di Pierpaolo Pasolini: non condivise l’apertura del “socio” al settimanale, tanto che ci volle qualche giorno perché Francesco digerisse la cosa».

E poi c’è Pino Daniele, uno che manifesta le voci di dentro e di fuori, una cultura che pesca non solo da Eduardo.

«Pino era meno calcolatore di altri, la sua era musica, musica, musica; la sua grandezza fu il compiere un’ulteriore magia, fare cioè sintesi; nella sua musica c’era tutto: da Eduardo alla nuova canzone napoletana che stava nascendo in quegli anni, Bennato e Napoli Centrale, il Sorrenti di “Come un vecchio incensiere”, tutto questo sembrava racchiuso in una sola personalità forte: la sua».

Fra gli altri artisti, anche Guccini e una “due giorni” che però ricorda come se fosse ieri.

«Fummo benevolmente sequestrati; raccontarla ha dell’incredibile: Guccini, all’epoca già famoso, accettò la sfida di quei ragazzi; “Invece di parlare di rivoluzione, Francesco, vieni a vedere come viviamo!”. Oggi una cosa così non la penseresti nemmeno».

Anche le disavventure, come le canzoni, insegnano sempre qualcosa.

«Quando De André fu rilasciato gli chiesero se il suo legame con la Sardegna dal rapimento in poi fosse cambiato: Fabrizio rispose che il suo rapporto con l’Isola era sempre saldo, perdonò i suoi rapitori – per giunta, confessò che erano fan di Guccini – e considerò quella vicenda da grande uomo qual era: “E’ stata solo un’interruzione di felicità”».