Pianeta rosso e non solo, oggetto di studio
Tutto fa pensare che la Via Lattea pulluli di vita. Ma non di civiltà alla giusta distanza e nel giusto momento per comunicare con noi. Intanto team di studiosi fanno ipotesi: chi è prudente, chi invece considera “vita” anche un minuscolo batterio
Di fantasie, talvolta catastrofiche, altre volte romanzate, ne è piena la letteratura e la cinematografia. Tanto da diventarne un enorme business, se si pensa che a metà degli Anni Cinquanta del secolo scorso è stata coniata la parola “fantascienza”. Che giustifica tutto e niente: una piccola scoperta, oppure l’idea che qualcosa di sconvolgente dal punto di vista della scienza sia stato scoperto. Ma siamo lontani, è bene dirlo, da un pianeta che abbia la stessa vita della Terra, oppure di un altro astro celeste che ospiti esseri pericolosi. Di questo ed altri argomenti se ne sono occupati scienzati e riviste internazionali, come nel caso di Esquire, che in questi giorni ha pubblicato un servizio, che poi è un’ipotesi. Sia chiaro, l’argomento va trattato con le molle, senza evocare documenti nascosti, archivi di stato pieni zeppi di foto di esseri i sostanze venuti da un altro mondo.
Dunque, su Equire, leggiamo che da sempre nella ricerca di vita extraterrestre ci siamo immaginati di trovare un pianeta molto simile alla Terra, con la nostra distanza dal sole, quindi la nostra temperatura, delle nostre dimensioni, con un’atmosfera paragonabile a quella che abbiamo qui.
Detto che è bene essere prudenti, come fa la stessa rivista americana nella sua edizione italiana, sarebbe un bel colpo trovare questo pianeta, ma ultimamente abbiamo scoperto che il nostro – la terra – non è l’unico mondo a poter custodire vita extraterrestre.
QUI CAMBRIDGE…
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge, scrive la rivista americana, ha identificato una nuova classe di pianeti potenzialmente abitabili che potrebbero cambiare per sempre la nostra idea di vita e di ricerca spaziale.
Sono stati chiamati “Hycean” e sono anche due volte volte più grandi della Terra, molto più caldi (duecento gradi), con un’atmosfera ricca di idrogeno e soprattutto ricoperti di oceani. Secondo il team di ricercatori il numero molto elevato di Hycean in giro per il cosmo ci potrebbe far incontrare il primo alieno (è bene ricordare che tecnicamente anche un batterio è un extraterrestre) in due, tre anni.
«Questi pianeti, detti Hycean, aprono una strada completamente nuova nella nostra ricerca di vita altrove», ha dichiarato il leader dello studio compiuto dall’Istituto di Astronomia di Cambridge. «Essenzialmente – asserisce lo studioso – quando abbiamo cercato queste varie firme molecolari, ci siamo concentrati su pianeti simili alla Terra, che è un punto di partenza ragionevole. Ma pensiamo che i pianeti Hycean offrano una migliore possibilità di trovare diverse tracce di biofirme».
Per ora il team di studiosi ha scovato un certo numero di pianeti Hycean tra 35 e 150 anni luce di distanza che si spera possano essere obiettivi primari per la prossima generazione di telescopi spaziali, come il James Webb Space Telescope, che dovrebbe essere lanciato quest’anno.
…QUI ROMA
Ma, attenzione, per ora di corpi celesti abitati da una vita simile alla Terra, non ne conosciamo. Se, però, ne trovassimo almeno uno di pianeta che ospita con certezza la vita, fuori dal Sistema solare, allora questi potrebbero essere centomila. È l’enigma pirandelliano che da secoli accompagna l’uomo: siamo soli, unici, nell’Universo?
Se gli americani sono possibilisti, due ricercatori italiani, Amedeo Balbi dell’Università di Roma Tor Vergata e Claudio Grimaldi, dell’Ecole Polytechnique di Losanna, sono più prudenti: hanno, infatti, firmato uno studio statistico pubblicato su Pnas che calcola l’impatto di una scoperta, nei prossimi decenni, di biosignatures, le firme di gas prodotti da attività biologica nell’atmosfera di altri mondi. Tutto fa pensare che la Via Lattea pulluli di vita. Ma non di civiltà alla giusta distanza e nel giusto momento per comunicare con noi.
«Il nostro studio è uno strumento statistico – affermano gli studiosi – Per rispondere a questa domanda: se dovessimo scoprire, nei prossimi dieci o venti anni, con i nuovi strumenti, in modo conclusivo che c’è evidenza di vita, quanta ce ne potremmo aspettare in tutta la galassia? La nostra intuizione ci dice che saremmo abbastanza certi che sarebbe dappertutto. Questo a livello intuitivo, diciamo un argomento qualitativo. Il nostro studio invece va su un piano quantitativo, che potrà servire in futuro per valutare le nuove osservazioni».