Ciro, quarant’anni, napoletano, il suo esordio a Taranto
«Girai con Lina Wertmuller “Io speriamo che me la cavo”». Dopo cinema e fiction, è diventato uno dei protagonisti di “Gomorra”. «Il mio impegno di attore mi obbliga a rivestire talvolta i ruoli di “malamente”: ma se non ci fossi io, i “buoni” chi li noterebbe?». Lina Wertmuller, Paolo Villaggio, i vicoli, il mare, la gente…
«La mia città viene disegnata in modo negativo, ma credo che tutto sommato anche questo faccia parte del gioco: se non ci fossero i cattivi che vengono sconfitti, non ci sarebbero buoni vincenti che hanno la meglio». Napoli, sempre affascinante, disegnata un po’ come gli pare, a registi e sceneggiatori, è più bella di come la disegnino. E allora, Ciro Esposito, quarant’anni, da venti sulla breccia, traccia il profilo della sua carriera e della sua città.
Da “Io speriamo che me la cavo” a “Gomorra”. Nel film di Lina Wertmuller con Paolo Villaggio girato in parte a Taranto, era il bambino ribelle Raffaele Aiello. Nella quarta e quinta stagione della serie televisiva è il luogotenente del boss camorrista ‘O Maestrale. Gli spettatori più attenti si sono accorti della somiglianza del protagonista: il volto, infatti, è quello di Ciro Esposito, attore napoletano, quarant’anni, che ha esordito sul grande schermo quando aveva solo 10 anni nel film della regista scomparsa nei giorni scorsi.
Curiosa la storia di Ciro. Parte in qualche modo da Taranto. «Era un periodo un po’ così, a Napoli, così – per quello che ricordi, avevo nove anni – ci trasferimmo in Puglia, quartier generale la città dei Due mari, che aveva similitudini con la mia città». Altri tempi, concordai una serie di interviste con la Wertmuller, Villaggio e i ragazzi-alunni del film, fra questi Esposito, che ci colpì per intraprendenza. Inutile, la regista anche quella volta ci aveva visto bene. Intervistai Villaggio, chiacchierammo tre ore nella hall, dalle cinque alle otto di sera, quelle ore passarono in fretta, ma questa è un’altra storia. Le altre interviste a cura di Walter Baldacconi e Giovanni Matichecchia, che con particolare attenzione curò quelle ai giovanissimi attori del cast. Studio 100, all’epoca, si era presentata come fosse una corazzata.
HOTEL PLAZA…
Quella volta, il piccolo Ciro Esposito, già vivace, interpretava Raffaele Aiello, un ragazzetto vivace diretto dalla grande Lina Wertmuller, partner Paolo Villaggio. Alloggiavano all’Hotel Plaza, nel cuore di Taranto, vista piazza Garibaldi. «Tutti noi ragazzini, una quindicina, eravamo seguiti dai genitori, diversamente non avremmo potuto spostarci: fu un’idea di Lina e della produzione, a Napoli il costo del film sarebbe aumentato in modo esponenziale, magari sarebbe venuto più di qualcuno a raccomandarsi, chiedere lavoro, allora l’unico sistema era quello di preparare le valigie e venire a Taranto: ero coccolato da Lina e da Villaggio; lei sorrideva, mi dava consigli, non appena dava il ciak, massimo rigore; a me sembrava un bel gioco, non pensavo ancora potesse diventare il mio lavoro, invece è andata proprio così: oggi sono nel cast di “Gomorra”, non perdo d’occhio il teatro, che amo assai, ma non dimentico gli inizi».
Ricorda Taranto e la trama. «Una bellezza, i vicoli della Città vecchia, le barche, il mercato, ricordavano quelli di Napoli: qualcuno mi spiegò anche che un tempo esisteva una via commerciale che via-mare univa le due città, Porta Napoli. Ero un ragazzo un po’ monello, ne combinavo di tutti i colori, ma poi come spesso accade fra due elementi così distanti, come un insegnante rispettoso e un alunno vivace, tutto si risolve: i due si avvicinano poco per volta, fino a quando ai due protagonisti devono separarsi…».
LINA E PAOLO, DUE GRANDI
Lina, una macchina da guerra. «Potrei dire che mi ha insegnato la metà del mio lavoro, nonostante la tenera età e sul set la prendessi un po’ alla leggera: non voleva che giudicassi quell’esperienza come un lavoro, Lina voleva che mantenessi quella spensieratezza e quella “scugnizzeria”, perché di lì a poco avremmo girato e non andava bene che mi calassi nel personaggio: dovevo essere spontaneo, un “Raffaele Aiello” che per difendersi attaccava, un teppistello dal cuore d’oro, tanto che la scena finale – voluta da una straordinaria regista – è rimasta nella storia: io sul ciclomotore che seguo il treno sul quale il mio maestro, Villaggio, finito l’anno scolastico torna a casa sua».
Villaggio, un po’ orso. «Schivo, riservato – corregge Esposito – me lo godevo nelle scene in cui ci trovavamo soli e non con tutti gli altri miei compagni di classe: quando mi parlava aveva lo stesso tono che assumeva in scena, ci ho pensato tempo dopo; parlavamo, parlavamo e parlavamo prima delle riprese, ma lui era già entrato nel personaggio e mi provocava quasi, perché parlassi come fa un ragazzino vivace, insomma come “Raffaele Aiello”» .
Ma il bravo Ciro Esposito, negli anni, si diceva, si è distinto in ruoli diversi. Alunno scavezzacollo proveniente da una famiglia difficile, appunto, in «Io speriamo che me la cavo», il quarantenne attore napoletano ha poi recitato in numerosi film e anche in tante fiction italiane: «Don Matteo», «Un posto al sole estate», «Un’altra vita», per poi arrivare a «Gomorra», nel ruolo di Raffaele, braccio destro di ‘O Maestrale, più o meno trent’anni dopo l’esordio.