Boubaker, libico, operatore, la cooperativa come una famiglia
«Abbandonato gli studi da geologo, ho preso al volo l’occasione: un contratto con “Costruiamo Insieme”. Fuggito dal mio Paese, dopo Gheddafi solo bande armate che ammazzano per soldi. Tre giorni in mare, poi Taranto: ospite a Martina Franca, a lavoro a Bitonto»
Trentadue anni, libico, dall’estate di tre anni fa in Italia, da dieci mesi operatore con “Costruiamo Insieme”. Boubaker, musulmano, libico di Bengasi, si racconta per noi. Per aiutarci a conoscere meglio una delle tante storie che hanno per protagonisti ragazzi arrivati nel nostro Paese in qualsiasi modo e per motivi diversi. Ogni storia è diversa dall’altra, anche quando vengono dallo stesso Paese e si sono imbarcati nello stesso viaggio della speranza per l’Europa. Esiste sempre qualche elemento, anche un solo dettaglio che fa da moltiplicatore nei racconti e nei sentimenti dei ragazzi, fuggiti per mille ragioni, ma diventati operatori per un solo motivo: la loro cifra umana espressa prima di diventare “uno di famiglia”. Uno che sa fare bene il suo mestiere, sa mediare, trovare nella sua mente e nelle sue parole l’argomento giusto per convincere un qualsiasi ospite del Centro di accoglienza, perché all’interno del CAS esistono regole da rispettare.
«Mai capitato episodi degni di nota – dice Boubaker, cartellino da operatore mostrato con orgoglio – dovessi andare a pescarne uno, ma è poca cosa, direi quanto successo a Bitonto: un ragazzo, inutile dire la nazionalità – si tratta comunque di giovani, siamo tutti uguali – a cui prese la voglia di ascoltare musica ad altissimo volume; gli era venuta così, come può accadere in un momento di euforia: andai nella sua stanza, lo invitai ad abbassare il volume, mi spinse, ma finì lì; gli spiegai che l’integrazione passa attraverso il rispetto degli spazi che non appartengono solo a noi: tenere alto il volume di una radio significa invadere anche lo spazio di un nostro “fratello” a due passi, nella stanza accanto, a riposarsi, leggere un libro, studiare…».A UN PASSO DALLA LAUREA…
Studiare, Boubaker in Libia è arrivato a un passo dalla laurea. Sei mesi ancora e sarebbe diventato geologo. «Per ora l’idea della laurea la tengo in un cassetto, non c’è fretta: studiare, laurearmi in Geologia mi serviva per trovare lavoro, oggi il lavoro l’ho trovato con “Costruiamo Insieme”, i libri possono aspettare». Almeno quelli universitari. «Qui ho conseguito la terza media, adesso sgobbo per il biennio con il quale prendermi un altro titolo di studio: se la geologia può aspettare, non posso dire la stessa cosa degli studi scolastici in Italia; mi servono per maturare in fretta, mostrare il massimo impegno nel processo di integrazione in questo Paese nel quale non mi sento di passaggio; ecco perché considero gli studi universitari qualcosa che potrò completare a tempo debito: lavorare e studiare riempie la giornata, è impegnativo, ma necessario».
Via dalla Libia, lui stesso libico. Via da un Paese al quale molti africani guardavano come occasione della vita. «Non sono scappato senza un motivo, quando c’era Gheddafi era un’altra cosa, sentivi la presenza dello Stato, eri tutelato dalle leggi; dal 2014 non c’è più controllo, chiunque, anche un ragazzino, con un’arma in pugno si sente così forte da disporre come meglio crede della tua vita: hai soldi, va bene, li consegni senza fare tante storie; non hai nulla in tasca, c’è il rischio che quel bambino cresciuto talmente in fretta da diventare spietato, ti pianti un proiettile in piena fronte, dunque fine della storia, fine dei tuoi progetti».
Addio alla famiglia, i propri cari. «Addio a papà e mamma, quattro fratelli, tre sorelle; praticamente impossibile sentirli tutti, così sento mamma che li informa il resto della famiglia: chiedo come stiano lei e i ragazzi, che fortunatamente oggi vivono in una zona meno a rischio, anche se ormai la Libia è sotto assedio da parte di bande che hanno un solo scopo: prendersi tutto e subito».…ORA STUDIA “ITALIANO”
Ma Boubaker quel coraggio lo ha preso a due mani e si è imbarcato. «Partenza dal porto di Tripoli, comunque lì vicino, e via in mare aperto. Non a bordo di un gommone, ma di una imbarcazione sulla quale eravamo qualcosa come 450 anime! In realtà non sapevo quanti fossimo, ma l’ho chiesto più avanti ai nostri salvatori, una nave militare non italiana a bordo della quale parlavano italiano, inglese, francese, presumo una nave della quale facevano parte rappresentanti dell’Unione europea in missione nelle acque del Mediterraneo».
Tre giorni di mare. «Uno su quell’imbarcazione di fortuna, due a bordo della nave; mi incuriosì sapere in quanti avessimo viaggiato su quella che i militari ribattezzarono “bagnarola” o qualcosa di simile; “Eravate 450!” mi dissero, ecco soddisfatta la mia curiosità, avevamo viaggiato stretti, incollati l’uno all’altro come fichi secchi in scatola: ma eravamo arrivati a Taranto, direttamente, porto italiano!».
Prima di diventare operatore, Boubaker è stato ospite di strutture di accoglienza. «Sono stato a Martina Franca, prima esperienza con l’accoglienza, poi dieci mesi fa l’occasione di lavoro della mia vita: operatore con “Costruiamo Insieme”, a Bitonto, poi a Taranto; conosco arabo e inglese, perché le lezioni all’università erano impartite in inglese; parlo, naturalmente, italiano, che ormai considero la mia seconda lingua: mi esprimo nella vostra lingua, come studio nella vostra lingua, voglio provare a bruciare le tappe, raggiungere altri traguardi negli studi in Italia». La Geologia può attendere.