Campagna elettorale, basta urlare!

La campagna elettorale è terminata, almeno nella sua fase più infuocata. La speranza è che, terminata la fase delle urla, degli insulti e del populismo becero, i giorni che ci separano dal giorno in cui si tornerà a votare per i ballottaggi, si possa tornare a parla di bisogni reali dei cittadini.

Il dato allarmante dell’astensionismo deve far riflettere: la disaffezione alla partecipazione democratica non può essere liquidata semplicisticamente come disinteresse della cosa pubblica. Chi ha scelto di candidarsi dovrebbe avviare una seria riflessione per comprendere se i toni di questa campagna elettorale abbia davvero inviato messaggi capaci di riallacciare i rapporti con il popolo.

Probabilmente la guerra all’avversario e il tentativo di demolire le idee degli avversari ha esasperato il dibattito e impedito a coloro che avrebbero voluto concentrarsi sui programmi e sulle proposte, di scegliere in serenità. Trovare punti in comuni con i programmi elettorali di altri schieramenti non deve essere considerata necessariamente una forma di «inciucio» o di debolezza, ma come la testimonianza di apertura e di accoglienza di idee in grado di favorire concretamente il benessere dei cittadini e lo sviluppo di un territorio. Eppure, ancora una volta, lo spettacolo offerto non è stato dei migliori. I numeri della disoccupazione giovanile, le idee concrete per la crescita, la testimonianza di legalità anche attraverso la selezione dei propri candidati è passata in secondo piano: tutto sacrificato sull’altare dell’agguato all’avversario.

Eppure prendersela esclusivamente con i candidati e con i partiti politici, tuttavia, sarebbe ingeneroso.

Perché è altrettanto vero che in alcuni casi i cittadini si sono comportati come i partner stanchi in  una vecchia storia d’amore: hanno dato per scontato le cose importanti, l’attenzione alle piccole cose, l’impegno per mantenerlo sempre vivo e sorprendente. Rischiando la retorica, il rapporto con la democrazia, il suo significato, la sua storia, dovrebbe essere considerato come una storia d’amore. Un legame che va alimentato quotidianamente attraverso l’informazione, esercitato quando richiesto con il proprio voto che può anche apparire piccolo e insignificante, ma che porta con sé l’appartenenza alla storia di uno Stato. Perché come diceva John Fitzgerald Kennedy «non chiedetevi sempre cosa può fare il vostro paese per voi: ogni tanto chiedetevi anche che cosa potete fare voi per il vostro paese”.