«Khaleesi? No, ci spiace»

Storia di un passaporto negato a causa di un nome “originale”

Lucy, mamma sui quaranta, appassionata della serie televisiva “Il trono di spade” chiama sua figlia con un nome in un primo momento “irregolare”. C’è di mezzo la Warner Bros che detiene il marchio di fabbrica sulla produzione tv su HBO. L’intervento di un avvocato, il lieto fine come uno di quei film americani…

 

Negato il passaporto a una ragazza. Ha il nome di un personaggio della serie televisiva di successo “Il trono di spade”. Succede anche questo, sì. Partiamo dal fatto che, restando nel rispetto delle leggi e senza offendere alcuno, uno attribuisce al proprio figlio, alla propria figlia, il nome che più gli o le aggrada. Del resto, una legge prevede che una volta diventato maturo il soggetto quel nome, qualora lo sentisse scomodo, può cambiarlo. Restiamo curiosi, per esempio, se Nathan Falco, proseguirà con questo suo doppio nome o farà un dispetto al celebre papà cambiandoselo. Ma questa è davvero un’altra storia. Ciò detto, basterebbe che un genitore riflettesse appena e scegliesse un nome più, come dire, normale. Ma sia fatta la sua volontà.

Ma torniamo a noi, alla storia sulla quale stavolta abbiamo voluto soffermarci. Mamma si chiama Lucy, il suo nome le sta anche bene, ma per la figlia ha pensato a qualcosa di originale, possiamo anche dirlo: Khaleesi. Originale, no? Troppo.

 

 

GALEOTTA FU LA SERIE TV…

Partiamo dal fatto che quando un qualcosa, al cinema o in tv in questo caso, appassiona fortemente lo spettatore, può creare una sorta di corto circuito. Colpa di una serie tv, a volte di una squadra di calcio, di basket: la voglia di creare un nodo con quella «benedetta roba che danno in tv» è troppo invitante. il desiderio di creare un legame è fortissimo.

E’ quanto succede a Lucy, si diceva, mamma prossima ai quarant’anni grande fan di una serie televisiva trasmessa dal canale americano HBO: Il trono di spade. E’ proprio questa serie ad ispirare mamma Lucy, che a un certo punto decide di chiamare la propria figliola appena nata Khaleesi. Lo stesso titolo che ha interessato Daenerys Targaryen dopo aver contratto matrimonio con Khai Drogo.

Una scelta che sulle prime lascia sbigottiti i parenti, ma Lucy è la mamma, Khaleesi è Khaleesi. Ben presto la scelta causa più di qualche contrattempo quando Lucy ha dovuto espletare per la sua bambina uno dei primi documenti personali, in particolare quando ha dovuto richiedere il passaporto.

 

 

«BENEDETTO AVVOCATO, GRAZIE!»

Mamma e figlia dovevano compiere il primo viaggio insieme, a Disneyland Paris, per essere precisi. E’ il primo viaggio importante di Lucy con sua figlia  Khaleesi. Sembra tutto apparecchiato quando giunge a casa della richiedente una lettera dell’ “Ufficio Passaporti”: «Ci spiace non poter espletare la pratica da Lei richiesta, in quanto occorre l’approvazione della Warner Bros in quanto è la Casa produttrice ad essere in possesso del “Marchio di fabbrica».  

Un fulmine a ciel sereno, racconta la donna alla BBC. «Era la prima volta che sentivo una cosa del genere, ma la gioia per la prima trasferta intercontinentale di Khaleesi sembrava veramente a un passo dall’esserle negata». Interviene, per fortuna, un avvocato: il trademark o marchio di fabbrica, non può essere esteso ai nomi. «Non capivo – prosegue Lucy nel racconto alla popolare tv – e mi sentivo frustrata; strano non si fosse creato alcun problema quando ho fatto richiesta del Certificato di nascita, anche quello era un atto formale». Ma tutto è bene ciò che finisce bene, così Khaleesi quando sarà più grandicella, oltre a qualche inevitabile sfottò da parte di qualche compagno di scuola, potrà rileggere un passaggio della sua giovane storia. Come il più classico dei film americani, finisce – provate a pensarci, mamma sulla soglia della porta, il postino che le ha appena consegnato una raccomandata – con una bella lettera di scuse da parte dell’Ufficio per il rilascio dei passaporti.

Senna, bere o affogare

Olimpiadi francesi inquinate, rischio di malattie, dermatiti, problemi agli occhi

La sindaca ci regala il primo tuffo della stagione per mostrare che le loro sono “chiare e fresche, dolci acque”. Poi si sfila dal fiume di contraddizioni, indossa l’accappatoio, si sottopone a visite di controllo e dice “Oui, tre bien, allons enfant…”. Forza ragazzi. Un corno, aggiungiamo noi se le nostre nuotatrici mostrano graffi, un principio di dermatite e Paltrinieri prima della gara si allena in una normale piscina

 

Prima delle Olimpiadi, la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, accompagnata dal presidente del comitato organizzatore dei Giochi Olimpici e appresso una pletora di figure istituzionali si tuffa nella Senna. Lo documentano tutte le agenzie del mondo, fra quelle italiane, la più autorevole, l’Ansa, scrive in qualche modo che dopo le sue due bracciate, i francesi non soddisfatti del tuffo “sindacale” organizzano una competizione in acque libere con numerosi nuotatori professionisti. Questi sì che sono uomini.

Avviene dieci giorni prima della cerimonia inaugurale di Paris 2024. Pare, e sottolineiamo pare, rientrare l’allarme sull’inquinamento del fiume parigino: le autorità francesi sono fiduciose: le prove olimpiche di nuoto di fondo e triathlon potranno disputarsi senza problemi.

Sempre la stessa agenzia pochi giorni fa scrive che nonostante gli sforzi messi in atto dall’Amministrazione francese e dal Comitato olimpico per rendere balneabile la Senna e permettere le gare in acque aperte, i rischi sanitari per gli atleti delle Olimpiadi 2024 legati all’inquinamento della Senna non possono essere completamente eliminati. Ci sarebbe da aggiungere: bere o affogare.

 

 

EFFETTO-SENNA

Sì, perché gli effetti della Senna sulle nuotatrici italiane, sono sotto gli occhi di tutti. A prima vista non sfuggono le braccia ricoperte di graffi. Le nostre atlete vanno oltre, Il Fatto Quotidiano scrive delle nostre nuotatrici Ginevra Taddeucci e Giulia Gabrielleschi. Reduci dalla “Dieci chilometri di fondo” alle Olimpiadi, spiegano cosa significhi nuotare nella Senna. Si espongono davanti al mondo e ne hanno ben donde, dicono: «Speriamo non ci accada niente, incrociamo le dita». Noi, sommessamente: ma è proprio necessario gareggiare nella Senna? Non esiste un Piano B, un Piano C che trasferisca tutto in piscina congelando i primati olimpionici nelle diverse categorie in gara?

Ginevra e Giulia mostrano quei graffi sulle braccia. «Schiacciatevi al muro – ci hanno detto – e ci siamo impigliate in alcuni rovi». La domanda, puntuale, di un collega cui non sfuggono quei graffi, la rivolge per Fanpage.it .  Se li sarebbero procurati mentre nuotavano rasentando l’argine della Senna, sfregando le braccia contro muretti e cespugli di erbacce incontrati lungo il percorso della “Dieci chilometri di fondo”. La prima ha vinto la medaglia di bronzo, l’altra è giunta sesta.

Domanda: perché le nuotatrici azzurre hanno nuotato «rasentando l’argine della Senna»? Per caso è stato riscritto un nuovo regolamento per questa edizione, oppure c’è stato un intervento a parziale correzione sull’esistente? Mistero. Uno in più in una edizione nella quale abbiamo assistito a di tutto e di più.

 

«NON VI ALLONTANATE»

«Se ti allargavi anche di venti centimetri – dicono ancora le due nuotatrici – la sentivi bella forte, anzi ad ogni giro lo era sempre di più e in certi punti era impossibile pensare di procedere contro corrente: anche trovare sempre la posizione giusta ai giri di boa era un’impresa perché tutte cercavano il passaggio corretto, migliore per non finire risucchiati cento metri più giù». Basta così o andiamo avanti? Quante domande però, dirà qualcuno.

Situazione paradossale, scrive dal suo canto il Fatto Quotidiano. La Federazione italiana non è del tutto convinta. Diciamo che, italianamente, si pone al centro della vicenda: la risposta è sempre “ni”, cioè “sì” e “no” insieme.

Domenico Acerenza e Gregorio Paltrinieri, come le loro colleghe, non hanno fatto mancare il loro disappunto circa la situazione di disagio, tanto che hanno deciso di allenarsi in una piscina del circuito olimpico. «Ci fidiamo degli organizzatori – hanno dichiarato – delle professionalità medico-scientifiche deputate ai controlli della Senna, ma preferiamo evitare rischi di contaminazioni di qualsiasi genere provando il campo gara».

 

 

FINIRA’ ALLA FRANCESE

L’argomento meriterebbe maggiore spazio, maggiore approfondimento. Come andrà a finire, “all’italiana”. No, correggiamo il tiro, “alla francese”. Fosse all’italiana finirebbe con uno sberleffo, una “perculata” di quelle ciclopiche. Invece, “alla francese”, diventa un’altra cosa: l’importante è trascinare alla fine questa Olimpiade, poi se accadesse qualcosa a qualche atleta, si potrà dire che «è accaduto a casa vostra», perché il peso politico Oltralpe è un’altra cosa.

Eppure, l’uomo della strada, noi stessi, che la bazzichiamo, ci poniamo una domanda. Come mai esisteva un divieto di balneazione e a francesi e turisti era impedito anche di mettere un piede nel fiume della discordia. E, peggio ancora, quanti hanno provato a farsi un bagnetto, come la sindaca. Nessuno, vi giuro nessuno. Invece per lo sport e l’immagine della Grande Francia, questo e altro. E agli atleti: le regole sono riscritte, dunque “bere o affogare”. 

Kimia, prima per distacco

L’atleta afghana, ultima nelle qualificazioni, vince per coraggio

Mostra al mondo intero un messaggio a favore delle donne del suo Paese contro la repressione del governo dei talebani: educazione e diritti. Non è salita sul podio insieme alle donne più veloci del mondo, ma ha corso con un peso sulle spalle che molte sue colleghe non avevano. A lei va la nostra riconoscenza. Un gesto che la spinge sul gradino più alto dell’intera Olimpiade

 

Ultima nelle qualificazioni alla finale dei cento metri, prima nel coraggio. Kimia Yousofi, fra i sei atleti in gara alle Olimpiadi di Parigi per la Nazionale dell’Afghanistan, mostra il suo volto contrito. E’ triste, fra il temere ripercussioni una volta tornata nel suo Paese o approfittare di quell’occasione, unica, per lanciare un messaggio, non ci pensa su due volte. Ora o mai più, dice a se stessa, così tira fuori quel messaggio che ha scritto velocemente e di nascosto sul retro del suo pettorale, per mostrarlo al mondo intero: “Educazione” e “I nostri diritti”. In una sola parola, “Rispetto”.

In Afghanistan le donne hanno pagato (e continuano a farlo) un prezzo esagerato da quando, nell’agosto di tre anni fa, i talebani sono tornati al potere. Secondo un rapporto delle Nazioni unite, è bene ricordarlo, sostiene che l’Afghanistan è, al mondo, il Paese più repressivo per le donne, che vengono private di ogni diritto.

 

 

«VOGLIAMO I DIRITTI FONDAMENTALI!»

Penso di sentirmi responsabile per le ragazze afghane perché non possono parlare – ha dichiarato a fine gara Yousofi – non sono un politico, dico e faccio solo quanto ritengo sia giusto: posso parlare con i gli organi di informazione; dare voce delle ragazze afghane; dire alle persone cosa, queste, chiedono: vogliono diritti fondamentali, istruzione e sport».

“Educazione”, “Sport” e “I nostri diritti”, si diceva. Le parole di Kimia Yousofi, non sono, dunque, destinate alle sole donne afghane, ma a tutte quelle donne i cui diritti vengono negati, calpestati in ogni parte del mondo. Sono giunte quando meno te lo aspetti, venerdì 2 agosto, nei preliminari della gara dei 100 metri femminili. Questa gara ha un senso: è destinata alle atlete e agli atleti dei Paesi più piccoli (o più poveri) che non hanno possibilità di svolgere attività agonistiche sostenendo i talenti sportivi. Così, grazie a questa gara, Kimia è riuscita a protestare con grande coraggio contro l’oppressione delle donne sostenuta dal regime talebano in Afghanistan. Non è un caso che gli stessi talebani, pare, non volessero che Kimia fosse lì.

 

 

KIMIA, LA PIU’ GRANDE

Prima della nascita di Kimia, i genitori di Yousofi sono scappati dall’Afghanistan e hanno cresciuto lei e i suoi tre fratelli in Iran. Nel 2012, a 16 anni, Yousofi ha partecipato alle selezioni riservate alle ragazze immigrate in Iran. Nel 2016, nel periodo in cui i talebani erano esclusi dal potere, Kimia è tornata in Afghanistan per allenarsi e avere la possibilità di rappresentare il Paese alle Olimpiadi del 2016. Quelli di Parigi sono i suoi terzi Giochi.

Dopo che i talebani sono tornati al governo è fuggita in Australia con l’aiuto del Comitato Olimpico Internazionale. A Sydney ha cercato di migliorare la sua conoscenza dell’inglese e finite le competizioni di Parigi inizierà a cercarsi un lavoro. Se lo avesse già fatto avrebbe potuto gareggiare con la squadra olimpica dei rifugiati, ma il suo obiettivo era rappresentare l’Afghanistan, con il desiderio di dare voce a chi non ne ha una, le donne del suo Paese.

Non è salita sul podio insieme alle donne più veloci del mondo, ma ha corso con un peso sulle spalle che molte sue colleghe non avevano. A lei va la nostra riconoscenza, il più grande applauso (purtroppo solo virtuale) per essere campionessa di coraggio, con un gesto che la spinge sul gradino più alto dell’intera Olimpiade.

 

Spiagge, garantisce Vasco!

Nelle province di Lecce e Taranto, il mare più bello

Nel Salento spiccano Porto Selvaggio e Punta Prosciutto, in quello Ionico Marina di Pulsano e Castellaneta. E il rocker sceglie sempre questo angolo di Puglia, per le vacanze, ma anche per provare i suoi show

 

Le spiagge più belle sono qui, in Puglia. Dicono “Nel Salento”, ma con tutto il rispetto per i cugini leccesi, perché geograficamente questa zona cambia a seconda delle interpretazioni, tipo “privatizzare i profitti, socializzare le perdite”, le spiagge più belle sono in diverse delle marine, leccesi sì, ma anche tarantine, brindisine. Così quando proviamo a promuovere la Puglia, sarebbe più corretto dire che gli attrattori “marini” risiedono in tutto il Tacco dello Stivale, dalle Tremiti a Vieste, quando si parla della provincia di Foggia; Polignano a Mare e Lama Monachile, quando pensiamo a Bari; Marina di Pulsano, Lizzano e Leporano quando ci riferiamo alla provincia di Taranto, provincia ionica. Giusto per fare un paio di esempi.

Dunque, cominciamo dalla Baia di Porto Selvaggio, comune di Nardò (Lecce). La troviamo a metà tra Gallipoli e Porto Cesareo. Spiaggia rocciosa bagnata dal mar Ionio, la costa frastagliata si estende per sette chilometri in mezzo alla vegetazione, delimitata da Torre Uluzzo e Torre dell’Alto.

Punta Prosciutto è fra le spiagge più belle della costa salentina. Si trova nel comune di Porto Cesareo (Lecce), sabbia finissima e bianca, ma anche un breve tratto roccioso, vegetazione rigogliosa e selvaggia, anch’essa sul mar Ionio: alle spalle della spiaggia bianca, dune ricoperte della tipica vegetazione della macchia mediterranea.

 

 

PESCOLUSE, VERDE E PUNTA SUINA

Marina di Pescoluse (Lecce), vanta uno dei litorali più belli d’Italia. Sabbia finissima e mare trasparente: affaccia sul mar Ionio, sette chilometri di lunghezza, da Torre Pali fino a Torre Vado. Diversi gli stabilimenti balneari, che nelle serate estive si trasformano in luoghi della movida, per ballare sulla spiaggia fino a tarda notte.

Per restare in zona, Baia Verde, la spiaggia più celebre di Gallipoli (Lecce), una delle più note del Salento. Litorale bagnato dal mar Ionio, si estende per quattro chilometri si estende fino a Punta Pizzo. Anche qui, diversi stabilimenti, che si a tarda sera offrono musica e intrattenimento. Ancora Gallipoli (Lecce) con Punta Suina, una delle spiagge più affascinanti della Puglia. Bagnata dal mare ionico, caletta rocciosa, è una spiaggia attrezzata, ma offre anche un litorale “libero”. Il suo nome deriva dalla sporgenza che delinea le sembianze di un suino.

Il litorale di Torre Lapillo, Ugento (Lecce). Tredici chilometri di estensione, sabbia bianca finissima, si affaccia su uno dei punti più suggestivi del mar Ionio. Fondale basso, perfetto per famiglie con bambini, o anche ad attività come lo snorkeling(nuotare in superficie con maschera e boccaglio e ammirare le bellezze sottostanti).

 

 

VERSANTE TARANTINO

Passiamo ora sul versante “tarantino”, l’arco ionico per intenderci. Parliamo della sola Marina di Pulsano (Taranto) e di tre delle sue spiagge tra le più belle da visitare. La Spiaggia di Montedarena, da non perdere. Sabbia bianca, è un valore aggiunto a questo litorale: acque limpide, incorniciano il tutto al meglio, rendendo un semplice bagno un’esperienza piacevole ma allo stesso tempo sempre nuova.

Altra meta imperdibile, interessata di recente da un incendio doloso, la troviamo sempre in località di Marina di Pulsano (Taranto): Lido Silvana, costa orientale del Golfo di Taranto. Sabbia soffice e bianca, caratterizzata da una forma di semicerchio, ricoperto dalla macchia mediterranea. Fondali bassi e cristallini, ideale per grandi e piccoli, uno dei motivi che fanno di questa spiaggia una meta molto frequentata.

 

 

FIDATEVI DI VASCO!

E poi, la Baia del Pescatore, sempre Marina di Pulsano (Taranto). Autentica chicca, si trova nella baia di Luogovivo. Insenatura dalle caratteristiche suggestive, oltre alla costiera a forma di semicerchio, questa spiaggia viene utilizzata come sbarco e approdo dei pescatori che rientrano dalla pesca.

Castellaneta Marina (Taranto) è una località balneare situata a Ovest della provincia ionica, nel cuore del territorio delle gravine. La spiaggia di Castellaneta Marina è una delle più frequentate del Golfo di Taranto. Composta da sabbia fine e lambita da un mare cristallino, è contornata da una rigogliosa pineta. Uno dei maggiori promoter della Marina di Castellaneta, è Vasco Rossi: l’amore per la Puglia, e in particolare, per le spiagge della “sua” Castellaneta Marina di cui è cittadino onorario dal 2021, ogni anno lo riportano qui.

Tony, dal successo alla strada

La storia di un ex ristoratore truffato dal socio

«Mio vecchio amico, sparisce con quattrocentomila euro. Andato a fare la spesa, mi accorgo che la carta di credito è completamente svuotata. Ho rivisto quel bellimbusto in tribunale: mi ha sorriso e chiesto come stessi. Spero che una parte del maltolto mi torni in tasca. Intanto vivo per strada e la domenica mi intristisco…»

 

Dall’altare alla polvere. Dal successo all’anonimato. Peggio, essere riconosciuto per aver fallito una mission che ti vedeva fra i più promettenti imprenditori, quelli sfiorati dal tocco magico. Imprenditori avveduti, col bernoccolo degli affari.

E, invece, un dettaglio, poi mica tanto piccolo, cambia il corso della storia e la fuoriserie che consuma “tanto al litro” diventa solo qualcosa da ammirare. Stando fuori dalla concessionaria, ammesso che ti ci facciano restare, oppure da vedere su un depliant raccolto dalla spazzatura o accartocciato e lanciato lì, nell’angolo.

E’ la storia di Tony, nome inventato, perché questi sono i patti fra il cronista e l’uomo che vuole sfogarsi e poi sparire, darsi alla macchia, anche se i molti che lo conoscono giurano che, prima o poi, Tony torna. Dove vuoi che vada, dicono. Torna, come se fosse una scena del delitto, dove chi ha commesso un atto criminoso prima o poi si ripresenta. E qui, il delitto è rappresentato da una serie di coincidenze che fanno precipitare l’uomo, cinquant’anni suonati, nella disperazione.

 

 

«MIA FIGLIA NON SA NULLA…»

«Ho una figlia all’estero – racconta con un filo di voce, quasi mostrasse più dei cinquanta all’anagrafe – non sa che vivo di stenti, per strada come un barbone, tanto che da poco ho compiuto il mio primo anno da clochard, come dicono i francesi: clochard, fa più figo, ma la questione è dolorosamente la stessa.

Se mi vergogno? Certo. Vuol sapere se i parenti conoscono le mie condizioni e non muovono un dito? Gli errori li ho commessi io, troppo comodo addossare le responsabilità a terzi». Tony parla tre lingue: l’inglese e il francese, anzitutto. «La fine ha un inizio, coincide con quel giorno quando apro un bel ristorante in provincia: il mio socio, amico di vecchia data, due anni fa scappa portandosi vi l’intera cassa che custodiva qualcosa come quattrocentomila, frutto di un investimento totale. Ero appena tornato dall’estero dove svolgevo attività di ristoratore e avevo acquistato una casa in una bella cittadina di provincia».

L’imprevisto professionale, come racconta in una lunga intervista al Corriere della sera, arriva con le prime rate non pagate. La banca che aveva finanziato le attività di Tony, si prende l’abitazione: i contratti, o meglio, i mutui sono così. Per qualche mese accetta l’invito del fratello, poi il nostro va via, trova una scusa, non si vede proprio nei panni dello sconfitto; lascia il congiunto perché si sente ingombrante».

 

 

«MAI CHIESTE ELEMOSINE»

«Mai chiesta l’elemosina – dice Tony manifestando il suo orgoglio – ho sempre lavorato, tanto che sono ripartito come magazziniere, ma con un contratto a tempo determinato. Fino a quando avevo la Naspi dormivo in un ostello, poi mi è toccata la strada».

Tornando alla storia, all’amico-socio e alla truffa che non t’aspetti. «Era un amico e mi fidavo, ecco cosa non mi faceva pensare a qualcosa di tremendo che sarebbe potuto capitare. Un giorno mi reco a fare la spesa, pago con la carta della società, “transazione negata”. Vado in banca, l’impiegato dice che mi sono stati recapitati diversi messaggi mediante posta elettronica che mi mettevano in guardia. Ma io non guardavo la posta elettronica, ecco perché quello mi sembrò il classico fulmine a ciel sereno: erano stati effettuati diversi bonifici a società fittizie messe in piedi da quel bandito.

Il “clochard” incontra l’ex socio in tribunale. «Mi ha sorriso e chiesto come stessi, un atteggiamento che mi ha lasciato sorpreso: mi domando se la giustizia riuscirà a restituirmi qualcosa, possibilmente tempi ragionevoli».

Tony, la vita da barbone? «Dormo poco, spesso a occhi aperti, guardo il telefono, le persone che vanno e tornano dal lavoro, sperando che qualcuna di queste si fermi per offrirmi un’opportunità. Il giorno più brutto? La domenica, quando qui intorno è un deserto». Come la vita di Tony, prima al centro degli interessi di decine e decine di clienti del suo locale. Oggi, il cielo capovolto, l’ex imprenditore, confida nella giustizia e nella buona sorte. «Volesse il Cielo, sono pronto a cominciare da zero, per scrivere il secondo tempo della mia vita».

Taranto, un inferno

Torna l’incubo Lido Silvana

Ventiquattro anni fa rasa al suolo da fuoco e fiamme l’intera pineta. Nel pomeriggio di ieri, la stessa paura. Minacciato non solo il verde, ma abitazioni e mezzi parcheggiati sul litorale. In fuga bagnanti e turisti. Nel primo pomeriggio si alza una coltre di fumo e fiamme da San Vito, che interessa anche Lama. A seguire la Marina di Pulsano

 

Taranto, torna l’incubo-Lido Silvana. Non solo, oltre a riportare l’incendio di vaste proporzioni di venticinque anni fa, stavolta le fiamme – se dolose, questo lo confermerà un’indagine già aperta dalla Procura di Taranto – hanno interessato anche i quartieri cittadini di Lama e San Vito, zone adiacenti unite stavolta dalla stessa sciagura. Le fiammo divampate nel tardo pomeriggio e propagatesi a causa del vento, hanno provocato anche stavolta danni ingenti. Bagnanti e turisti in fuga, abitanti della zona hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni minacciate dalle fiamme.

Così, dopo quello di Lama-San Vito, ecco palesarsi uno spettro vissuto in un’altra calda estate, nel 2001: un altro grave incendio che si propaga stavolta nelle campagne della Litoranea salentina, in particolare, si diceva, in quel tratto maledetto che segnò la fine di uno dei polmoni verdi di cui la nostra provincia andava fiera:  Lido Silvana.

 

 

MARTEDI’ POMERIGGIO LA PAURA

Le fiamme, a partire dal tardo pomeriggio, in principio hanno prodotto una densa coltre di fumo che di fatto ha subito reso l’aria irrespirabile, avvolgendo gli abitanti in una pericolosa morsa di fuoco e fiamme. Molti i bagnanti costretti a lasciare le spiagge a causa del fumo denso e dalle fiamme che ha interessato la zona. Le fiamme, col passare del tempo, guadagnavano metri, decine, a centinaia, con un violento incedere fino a raggiungere la strada, provocando gravi difficoltà ai primi mezzi di soccorso che hanno risposto con sollecitudine all’allarme lanciato da abitanti della zona, bagnanti e turisti.

Le prime operazioni di soccorso sono state difficoltose. Subito a rischio i mezzi (auto, moto, scooter), parcheggiati sulla Litoranea. Come si diceva, nell’estate del 2001, precisamente il 25 giugno di ventiquattro anni fa, un vasto incendio distrusse la pineta di Lido Silvana, orgoglio e vanto dell’intera provincia. Migliaia furono gli alberi e le decine di ettari di macchia mediterranea quel giorno andati letteralmente in fumo. Quanto accaduto nel pomeriggio di martedì pomeriggio hanno evocato ore drammatiche vissute allora.

 

 

DOPO LAMA E SAN VITO…

In questo caso, come per l’incendio sviluppatosi nel primo pomeriggio fra San Vito e Lama, il vento ha veicolato le fiamme con una velocità tale da provocare problemi alle operazioni di soccorso. Come riportava in una prima nota l’agenzia giornalistica Ansa, le fiamme hanno distrutto diversi ettari di pineta e macchia, prima di lambire case e strutture ricettive e balneari. Sul posto diversi mezzi dei Vigili del fuoco e delle Forze dell’ordine, insieme con una significativa rappresentanza della Protezione civile.

Sui “social” hanno cominciato a circolare, come consuetudine, le prime immagini del disastro: foto e video di un incendio visibile anche a chilometri di distanza. Quanto stava accadendo anche sotto gli occhi increduli e preoccupati degli automobilisti, aveva già creato apprensione tra bagnanti e residenti.

Taranto, Museo a cielo aperto

Nuove e importanti scoperte archeologiche nella Città dei Due Mari

E’ accaduto durante l’installazione delle linee elettriche di nella Città vecchia. Lo scavo archeologico è situato a Largo Arcivescovado, nei pressi della Cattedrale di San Cataldo, L’intervento ha rivelato un’area sepolcrale medievale. Non è che una delle ultime scoperte, nel gennaio scorso, infatti, nel rione Montegranaro di Taranto, furono rinvenute evidenze riferibili al periodo greco

 

Taranto, un Museo a cielo aperto. Ovunque scavi, ti accorgi quanto immenso e senza fine fosse l’insediamento Magna Greco nella Città dei Due Mari. Non è una novità che qualsiasi intervento svolto sul territorio di aziende e società di impianti di telefonia, elettrici, gas e acquedotto, venga in qualche modo fermato dalla Soprintendenza per verificare di fronte a quali nuove scoperte ci troviamo.

In questi giorni, ha documentato l’emittente televisiva Antenna Sud, nell’ambito dei lavori di installazione delle linee elettriche di e-distribuzione nella Città vecchia di Taranto, durante uno scavo stratigrafico di emergenza sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo, sono emerse nuove e importanti scoperte archeologiche. Ne ha dato notizia, con tanto di documentazione fotografica, “Ethra archeologia e turismo”.

 

 

LARGO ARCIVESCOVADO…

Lo scavo archeologico, situato a Largo Arcivescovado, a pochi metri dalla navata sud della Cattedrale di San Cataldo, ha rivelato un’area sepolcrale medievale riguardante la cattedrale stessa. Ovviamente i numerosi dati raccolti sono in fase di studio e analisi, in un importante lavoro collaborativo con la Soprintendenza Patrimonio Subacqueo e un team di studiosi. Informazioni più dettagliate circa la scoperta saranno presentate durante il Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia.

Un particolare ringraziamento è stato rivolto agli archeologi Vincenzo Stasolla, Silvia Cagnetta, Roberto Ferretti, Francesca Castellano e Riccardo Chiaradia, che ha coordinato le attività sul campo, oltre a Nadia Ruggieri per la gestione amministrativa e a “Professione 3D” per il rilievo archeologico.

 

 

…VIA D’ALO’ ALFIERI

Non è che una delle ultime scoperte. All’inizio dell’anno, per esempio, durante i lavori di posa della condotta elettriche di E-Distribuzione, avvenute nel rione Montegranaro di Taranto, svolti – come in altri casi – con sorveglianza archeologica, sono state trovate evidenze riferibili al periodo greco in via D’Alò Alfieri e in via Dante, più precisamente all’interno del cortile dell’istituto professionale Cabrini.

Lo scavo in via D’Alò Alfieri, come ha riferito con una nota la soprintendenza, “ha messo in luce una grande fossa di scarico quadrangolare, che conteneva ceramica a vernice nera, ceramica sovradipinta, materiale votivo, distanziatori riferibili alla produzione di ceramica in fornaci, ceramica da fuoco e acroma e persino un’antefissa con figura di Gorgone”.

Sempre secondo elementi forniti dalla Soprintendenza, da un primo studio svolto sui frammenti ceramici rinvenuti lo scorso gennaio sembrano coprire un arco di tempo compreso tra la fine del VI e il III sec. A.C.. All’interno dell’istituto Cabrini, l’intervento di scavo aveva messo in evidenza tre tombe a fossa scavate nel banco roccioso.

Nadia, la rivincita

Affetta da focomelia è diventata una influencer di successo

«Dove potremmo piazzarti?» è la frase che le ha cambiato la vita. Invece di incupirsi, ha reagito. Diplomata, pensava che il suo calvario fosse finito e, invece, una frase che non t’aspetti. «Tutto, però, comincia da quel pugno allo stomaco ed ecco la riscossa social…», dice la trentenne siciliana. Grazie per averci impartito una preziosa lezione di vita

 

Nadia, la rivincita. Una trentenne che mostra i muscoli della mente, ragiona, stende sul piano del ragionamento i suoi interlocutori. Come se una disabilità fosse anche mentale. Come se la protagonista della storia in questione non fosse elemento pensante in grado di svolgere normali attività lavorative. Non tutte, sia chiaro, ma sicuramente buona parte.

Quando poi si ha a che fare con gente che, evidentemente, solo sulla carta è normodotata, tanto da non pensare minimamente che una qualsiasi frase possa essere offensiva e provocare autentici choc a chi quella locuzione la subisce. Nadia, la protagonista della nostra storia, per fortuna ha le spalle robuste, secondo noi per la forza d’animo che ha potrebbe perfino respingere un Tir in corsa.

 

 

UN SITO RIPRENDE LA SUA STORIA…

Bene ha fatto il sito orizzontescuola.it, che mostra tutto il suo impegno a chi purtroppo vive un disagio. Non solo nella scuola, ma anche intorno, nel sociale, nella vita di tutti i giorni. L’articolo, puntuale, a firma di Lilia Ricca riassume quanto accaduto alla protagonista dell’episodio che va segnalato. Magari l’autore della frase infelice, pronunciata – ce lo auguriamo – con una certa leggerezza, si sarà anche pentito. Resta, però, la leggerezza con cui sono in molti ad esercitare uno straccio di potere, tanto da sentirsi autorizzati ad offendere

Nadia, siciliana, trent’anni, nonostante sia affetta da focomelia (grave malformazione in seguito alla quale gli arti superiori o inferiori non sono sviluppati in parte o in totale), ha letteralmente ribaltato la sua vita grazie ai social che, ormai, usa con grande padronanza e intelligenza.

Malformazione congenita, la focomelia causa lo sviluppo degli arti come appendici del tronco. Originaria di Racalmuto, paese siciliano che dette i natali al grande Leonardo Sciascia – come ricorda orizzontescuola.it – Nadia ha affrontato molte sfide legate alla sua condizione fin da piccola.

 

 

NOI CONDIVIDIAMO L’ESPERIENZA

Dopo aver conseguito il diploma in Servizi Sociali – spiega Lilia Ricca – Nadia ha cercato un’occupazione che le permettesse di sfruttare le categorie protette riservate alle persone con disabilità. Tuttavia, ha incontrato molte difficoltà nel trovare un lavoro adeguato. Questo periodo di incertezza l’ha portata a considerare altre strade per realizzare i suoi sogni.

«Il giorno in cui presi il mio diploma – spiega – andai davanti una commissione per iscrivermi nella fascia delle categorie protette; pensavo che avrei trovato un lavoro che mi avrebbe appagata come tutte le mie coetanee. Mi fu risposto, invece: “Nella tua condizione dove potremmo piazzarti?”. Fu letteralmente un pugno allo stomaco – ricorda Nadia – per molto tempo ho creduto che non ci fosse posto nel mondo adatto a me, invece a distanza di anni quel posto nel mondo me lo sono creata con molta fatica e tanta buona volontà; oggi sono ufficialmente iscritta alla Camera di commercio: sono diventata una piccola imprenditrice e soprattutto grazie a quanti hanno creduto in me. Non fatevi mai fermare da quelle persone che non hanno le capacità di guardare oltre, di mettersi in gioco per trovare una soluzione adatta e adeguata ad ognuno di noi».

Certo, più facile dirlo, scriverlo, consigliarlo. Bella scoperta, non sei Nadia! Ecco perché Nadia, trentenne siciliana, la sentiamo come una di noi, anzi molto meglio. Perché quella frasaccia, quel “Dove ti piazziamo?” lo ha pronunciato uno che, in teoria, sarebbe considerato normodotato. Come detto, l’uomo poco dopo si sarà anche pentito ma è proprio dal “mea culpa” che dovremo ripartire. Da una, dieci, cento, mille Nadia, donna di carattere che si è letteralmente inventata un lavoro. Grazie Nadia, per averci impartito una grande lezione di vita.

Balle spaziali

Interruzione tecnologica, mezzo mondo in crisi, sbuca una “fake news”

Per una intera giornata migliaia di persone senza voli, una disperazione esagerata. Microsoft prova a spiegare cosa è accaduto, fornisce massima assistenza. E uno smascheratore di “notizie fasulle” che fa? Si autoaccusa, così, per gioco. Felice lui…

 

Ci stiamo ancora leccando le ferite su quanto accaduto pochi giorni fa a proposito dell’interruzione tecnologica globale, legata, pare, a un aggiornamento software di “CrowdStrike” ha colpito circa otto milioni e mezzo di dispositivi Microsoft. E mentre lo facciamo, ci accorgiamo che qualcuno, un matto scatenato, uno di quelli che smascherano fake news di statura planetari, per scherzo si è addossato la colpa di quanto accaduto.

Una notizia che ha gettato la gente nel panico, considerando che dopo quanto accaduto, sono in tanti, ora, a non avere più tanta fiducia nella tecnologia a cui, prima o poi – meglio prima – bisognerà porre un freno, altrimenti andremo incontro al finimondo. Non vogliamo nemmeno avventuraci in possibili scenari, ci vengono i brividi solo a pensarci.

Questo tizio, che ha assunto il nome di Vincent Flibustier (da filibustiere, evidentemente) si cela un noto debunker belga, non certo un nuovo dipendente di “Crowdstrike”, ha scritto nei giorni scorsi a proposito di questa fake news la redazione del fatto quotidiano.

 

 

IL FATTO, FU QUESTO…

La sua specializzazione, ha scritto il quotidiano di Marco Travaglio, sarebbe proprio la lotta alle fake. Sarebbe stata proprio questa sua mania ad averlo portato a fondare un sito d’informazione satirica con l’obiettivo di smascherare una fake news dimostrando che si può veicolare una qualsiasi notizia senza lo stretto controllo della fonte.

Ma cosa era accaduto ore e ore prima che avvenisse il “crash”. A chiarire i fatti che hanno gettato nello sconforto migliaia di passeggeri, rimasti a terra perché non si capiva più nulla sulle tratte che i mezzi di trasporto avrebbero compiuto, è stata la stessa Microsoft. Prima ne ha dato notizia, poi ha divulgato un aggiornamento anche se, specifica l’azienda, non si è trattato di un incidente Microsoft. Certo è che ha avuto un impatto sull’ecosistema aziendale tanto da gettare nello sconforto otto milioni e mezzo di interessati dall’“interruzione tecnologica”. Un’inezia, se si pensa che questi oltre otto e passa milioni rappresentano un’inezia, addirittura l’1% di tutte le macchine Windows.

 

 

CHIAMALO “DISGUIDO” 

Dall’inizio dell’evento – così chiamano il grave disguido – Mcrosoft ha mantenuto una comunicazione continua con i suoi clienti, attraverso “CrowdStrike” e sviluppatori esterni per raccogliere informazioni e accelerare le soluzioni. L’azienda ha riconosciuto il disagio che questo problema ha causato alle aziende e alla routine quotidiana di molti individui. Ora, l’obiettivo è quello di fornire ai clienti guida tecnica e supporto per riportare online in sicurezza i sistemi interrotti.

Così il colosso tecnologico ha prima spiegato quanto accaduto, poi messo a disposizioni – si legge nella nota principale Microsoft – centinaia di ingegneri ed esperti per collaborare direttamente con i clienti a ripristinare i servizi. Ha, inoltre, collaborato con altri fornitori di servizi cloud e parti interessate, tra cui Google Cloud Platform e Amazon Web Services, per condividere lo stato della situazione. Tutto è andato al suo posto, tanto che l’azienda ha infine assicurato assistenza 24 ore su 24, fornendo a quanti ne hanno fatto richiesta, supporto continuo.

Ma quel filibustiere intervenuto a caldo, dopo il terremoto tecnologico. Premesso che non era stato lui a provocarlo, ha comunque cavalcato una notizia falsa cavalcandola come se fosse una delle sue fake news fino a ieri debellate.

 

 

“SONO STATO IO!”

E, invece: “Sono stato io a causare il blackout Microsoft, era il mio primo giorno di lavoro; ora mi hanno licenziato”. Questa la prima panzana di Vincent Filibustier, che ha ingannato milioni di persone. Tutto parte dalla domanda che scatena tutto il suo ragionamento a tratti cervellotico: “Oggi ho rotto Internet, che lezione ne possiamo trarre?”.

Senza portarla tanto per le lunghe, il Fatto conclude, pressappoco, con un “Missione raggiunta” e una cascata di cifre. Quarantacinque milioni di visualizzazioni, quattrocentomila mi piace, quarantamila retweet e tremila commenti. Insomma, una controfake. Un bel successo, solo che adesso il Filbustier, attenzione “omen nomen”, avrà perso una certa credibilità con i suoi sostenitori. A partire dalle sue prossime considerazioni, i suoi iscritti vorranno capire se quelle notizie sono sassolini o pepite. Beh, il nostro ha voluto quei cinque minuti di popolarità di cui Wharol aveva spesso parlato, adesso se li tenga stretti.

Puglia principesca…

Carolina di Monaco a Lecce per assistere a “Core meu”

Grande successo per lo spettacolo firmato da Antonio Castrignanò e nel quale era impegnato anche il balletto monegasco. La primogenita del principe Ranieri è stata stregata dal mare e dalla pizzica. Ma anche dal barocco, dal centro storico di Lecce dove si è intrattenuta per un invito a cena. Spaghettata al chiaro di luna

 

E’ qui, in Puglia, ad onorarci della sua principesca presenza. E’ Caroline di Monaco, la più nota delle principesse europee, sicuramente la più affascinante di tuttte. Sangue blu, il suo Principato è quello di Monaco, il più celebrato del continente, molto amato in particolar modo dai big, che vanno dallo spettacolo allo sport, dalla finanza alla politica. Perché il Principato è un porto sicuro, non solo per attraccarci uno yacht.

Ma non è questo che vogliamo raccontarvi, no. Bensì del fatto che la principessa, evidentemente attratta dalla bellezza di una regione che conosce e di cui le hanno raccontato un sacco di amici, ha colto l’occasione di spingersi da queste parti. L’approdo al “Marina” di Brindisi, perfettamente riuscito. Il suo yacht, il Pacha III, non passa inosservato, perché ha quasi cento anni e una classe, nemmeno a dirlo, principesca. Dopo aver espletato tutte le formalità del caso, aver compiuto quei passi che il protocollo impone, mercoledì sera la primogenita di Ranieri di Monaco e Grace Kelly, ha assistito allo spettacolo “Core Meu”, firmato da Antonio Castrignanò e nel quale era impegnato anche il balletto monegasco.

 

 

SPETTACOLO PRINCIPESCO

Spettacolo seguito con la massima attenzione, raccontano le cronache, le agenzie di stampa, i quotidiani regionali e locali. Carolina di Monaco, scrivono, è stata stregata dal mare e dalla pizzica, ma anche dal barocco, dal centro storico di Lecce dove si è intrattenuta per un invito a cena.

Non è stata una sorpresa la presenza della principessa. Carolina di Monaco nel fine-settimana a Lecce, era stata preannunciata da una nota degli organizzatori dell’evento, svoltosi in piazza Duomo in tre serate (giovedì 18, venerdì 19 e sabato 20 luglio).Quella nel cuore di Lecce, si diceva, era la prima italiana di “Core Meu”, lo spettacolo nato dall’incontro tra la danza classica della compagnia Les Ballets de Monte Carlo e la musica tradizionale di Antonio Castrignanò & Taranta Sounds.

Circa cinquanta ballerine e ballerini provenienti da diciotto Paesi hanno danzato al ritmo incessante e viscerale del tamburello, evocando le origini dell’antica danza popolare, usata, fino allo sfinimento, come rimedio contro l’ipotetico e metaforico morso della tarantola. “Core Meu”, dedicato a Maurice Béjart, rivoluzionario e innovativo danzatore e coreografo francese scomparso nel 2007, alterna – descrivono nella nota gli organizzatori – sensualità ed estasi fisica; un crescendo che propone una nuova interpretazione di questa danza tradizionale, che infonde alla danza classica nuove prospettive e culmina – è riportato – in un finale dionisiaco dopo il quale ballerine e ballerini cadono come un corpo solo.

 

 

BELLA CARTOLINA

L’evento, con il patrocinio del Comune di Lecce, è stato organizzato da Ponderosa Music&Art, Beatmi, Gente di Terra con il sostegno del Ministero della Cultura in collaborazione con il Principato di Monaco e la Regione Puglia.

E’ andata così, con una spaghettata, si dice, s’inventa, si va dietro ad una confidenza, ad un gossip. Qualche furbacchione suggerisce di esagerare, fa passare notizie di seconda mano con un «Ma ti pare? Io c’ero!»  e il giornalista, tenuto a distanza, alla fine porta a casa il “pezzo di colore”. Perché è questo, comunque, che reali e principi, alla fine, e nemmeno tanto, danno alla nostra terra: colore. Dunque, come non dare ragione a quel politico che prendendo spunto dal grande Enzo Jannacci, l’importante è esagerare. Perché alla fine, sono queste le cartoline che fanno il giro per il mondo e tornano cariche di turisti.