Colazione domenicale in Città vecchia. Un incontro un po’ voluto, un po’ fortuito quello nell’Isola. Alassane, senegalese, uno degli operatori di “Costruiamo insieme”, il Centro di accoglienza straordinaria di via Cavallotti a Taranto, anticipa che domenica con un paio di amici, Anssoumane e Sinaly, connazionale il primo, ivoriano il secondo, faranno due passi in Città vecchia. Alla scoperta di una Taranto che ancora non conoscono del tutto.
«Ne abbiamo sentito parlare», dicono, «visto foto sui giornali al bar o visitando i siti tarantini che postano tante foto di una città bella e accogliente». Alassane, quando può, interviene, i suoi amici l’italiano lo afferrano. Quando non ce la fanno, provano ad interpretare con quell’intuito in alcune circostanze, anche non facili, è stato risolutivo. A proposito di bar, ne cerchiamo subito uno. L’incontro nei pressi del Castello aragonese. Un centinaio di visitatori in fila indiana. Nonostante siano poco più delle nove, i turisti hanno già completato la visita ad uno dei principali attrattori della città. Lasciano alle spalle Castello e due bus extraurbani, imboccano il Ponte girevole per fare ingresso al Borgo.
Città vecchia, un passo dalla sede univeristaria “Aldo Moro”. Bar “La piazzetta-Fishbar”, elegante, servizio impeccabile. Primo giro, cornetto, alla crema va bene. A seguire, caffè o cappuccino. «Caffè, no, in Italia è troppo forte, sembra, come dire…», Alassane fa un gesto eloquente, indica qualcosa di circolare che diventa sempre più piccolo, ristretto, «…qualcosa di troppo concentrato; tante volte ci chiediamo come voi facciate a berne non uno solo, ma anche due, tre al giorno: no, se possibile, dopo il cornetto preferiamo un cappuccino…».
Città vecchia, raro capitiate da queste parti. «Nei bar che frequentiamo per fare colazione», dicono un po’ in francese, un po’ a gesti, «spesso ci fermiamo a parlare: quello degli esercizio commerciali è il primo passo che facciamo verso i residenti, non è difficile diventare amici dei tarantini: mai avvertita quella diffidenza della quale ogni tanto ci hanno parlato: crediamo, come in ogni parte del mondo, sia sufficiente essere educati, avere rispetto del prossimo per guadagnarne tu stesso dagli altri».
Gli Stretti della Città vecchia, suggestivi. Talmente stretti che non è semplice passeggiarci mettendosi in fila, per tre, quattro. Complicato quando uno scooter con due ragazzi a bordo sfreccia su via Duomo. Non hanno il casco, i residenti sono i primi a fare gesti di prudenza ai due giovanotti più o meno spericolati. «Fate attenzione!», gli urlano, «Poi papà e mamma, quando vi fate male, piangono!». Un classico. Ammonimento esagerato, ma fa parte del ruolo pittoresco che qui interpreta, non richiesto, la gente dai cinquant’anni in su.
Giornata di sole, leggenda metropolitana da sfatare, Alassane. «Sempre nel solito bar qualcuno ci ha invitati ad essere prudenti nel venire in Città vecchia, “potreste fare incontri spiacevoli” ci dicono». «E di cosa dovremmo avere paura?», rispondono gli altri due, Anssoumane e Sinaly. «Che ci facciano una rapina, forse? abbiamo pochi soldi in tasca; che ci facciano paura, magari? Veniamo da Paesi nei quali si fa la fame e se non la digerisci, quella, la fame, corri il rischio di essere anche picchiato; abbiamo fatto un lungo viaggio a bordo di una imbarcazione che ha affrontato mare aperto e tanti pericoli, prima di arrivare sulle coste italiane, cosa dovremmo temere ancora?».
Invece, in Città vecchia, scooter a parte, si passeggia volentieri. Saranno le vie strette, radio e stereo ad alto volume, con musica e canzoni popolari accompagnate a squarciagola, via Duomo e i vicoli vicini sprigionano un’atmosfera familiare. Davanti alle due Colonne doriche, Sinaly domanda cosa siano quelle vestigia. «Appena duemilacinquecento anni di storia, qui sorgeva il tempio di Poseidone, parliamo di Magna Grecia…». Duemilacinquecento, numero che fa paura, nel pronunciarlo come nel rifletterci sopra. Taranto, invece, ha proprio tutta quella storia. E non solo, la Città vecchia che abbiamo appena visitato, dalla cattedrale di San Cataldo («…siamo musulmani, ma l’opera è di una bellezza straordinaria…») alle Colonne, fino al Castello aragonese, ha subito invasioni e contaminazioni, fra gli altri, di arabi e spagnoli.
«Sarebbe bello visitare il Castello aragonese e il Museo archeologico», propone Alassane, «ne parlo con Kaleem, un collega, lui è pratico, sa come muoversi e a chi rivolgersi per conoscere da vicino la storia della città che ci ospita». «Un po’ per volta – conclude l’operatore-interprete – stiamo compiendo passi avanti sul territorio per superare quei primi momenti di diffidenza da parte dei residenti: voglio studiare, lavoro permettendo, laurearmi in Medicina, aiutare il prossimo, esercitare la professione in Italia o nel mio Paese, il Senegal, poi si vedrà».