I concerti “tarantini” di un grande della musica
Ci fece spellare le mani allo Iacovone con “Cuccurucucù” e sognare all’Orfeo con “Era de maggio” di Mario Costa, nostro grande concittadino. Acuto e ironico anche nel privato, il popolare cantautore siciliano aveva impresso un’altra marcia alla canzone italiana. Un pomeriggio insieme, a bordo di una modesta utilitaria. Lui accanto al posto di guida, sul sedile posteriore Giusto Pio, Alberto Radius e Mino Di Martino. «Ho ribaltato il pop come fosse un guanto, la gente se n’è accorta e questo mi riempie di orgoglio…».
Franco Battiato, uno degli immensi autori ed interpreti della musica italiana, e la città di Taranto. Un legame di grande affetto. Il primo concerto in città nel lontano 1973, l’ultimo nel 2008. Piuttosto che tessere lodi di un grande artista, con una lunga sequela di titoli di canzoni, cosa che hanno fatto in questi giorni radio, tv, stampa e siti, preferiamo ricordare il maestro nel suo tratto più semplice, alla mano. Un episodio di qualche anno fa. Ma andiamo per ordine, partiamo dai concerti.
Teatro Alfieri, Cinema Fiamma, stadio Iacovone, teatro Orfeo, Rotonda del Lungomare. Battiato a Taranto, dal ’73 allo ’08, da “Pollution” e “Fetus” a “Fleurs”, passando per La voce del padrone, fino ai Dieci stratagemmi. Ci sarebbe stato anche uno stadio Salinella (era il ’74), se fosse arrivato per tempo, invitato dagli organizzatori, per cantare sullo stesso palco degli Henry Cow.
«Stiamo rovesciando il pop italiano come un guanto, la gente se ne sta accorgendo e questo mi riempie di orgoglio, ripagandomi di tanti anni di lavoro e qualche incazzatura…». Location stretta, per cinque, quattro ospiti e un conducente. Una Fiat 127 bianca, la mia, con la quale mi spostavo da Taranto a Bari, in occasione di “Azzurro”, manifestazione canora che Vittorio Salvetti, patron del Festivalbar, aveva voluto realizzare al Petruzzelli con tanto di riprese televisive, una volta per la Rai e una per Mediaset.
UN’AUTO, UN FESTIVAL…
Dunque, in quell’auto, modesta, «ma accogliente», secondo il maestro – seduto accanto al posto di guida, dunque meno sacrificato rispetto al resto del gruppo posizionato nelle retrovie – che aveva una buona parola per tutto. Quel pomeriggio, in quell’abitacolo c’erano Franco Battiato, Giusto Pio, Alberto Radius e Mino Di Martino. Praticamente un festival in un abitacolo. Cosa ci facevano tutti insieme e per giunta nella mia auto? Me lo chiedevo anch’io, la risposta, implicita, arrivò qualche istante dopo. Ci stavamo spostando da un albergo al teatro, dove si tenevano le prove in vista della diretta del programma. Il taxi tardava, Angelo Busà, grande amico e promoter della EMI italiana, mi chiese la cortesia di accompagnare il “gruppo musicale” al Petruzzelli. Detto, fatto. «Va benissimo, non ci formalizziamo, non dobbiamo partire mica per Milano», fece Battiato, «anche una Cinquecento è ok, purché si arrivi in orario: ci aspettano, odio ritardare e, quel che è peggio, sentire rimbrotti e smadonnamenti». Che ci fosse Giusto Pio, da non crederci, gambe accavallate – postura storica, la sua – anche in auto e un ginocchio schiacciato su una mia costola, tutto sommato ci stava. Ma Radius della Formula 3 e Di Martino dei Giganti, francamente mi sfuggiva. Non erano fra gli ospiti di quella rassegna. «Grandi musicisti, ma soprattutto grandi amici: sono la citazione di un pop che ha detto la sua e che può tornare a fare la voce grossa, ecco perché “Cuccurucucù paloma”…». «E “Il mondo è grigio il mondo è blu” di Di Bari? Non solo, “Le mille bolle blu” di Mina…», provai a fargli eco, «dove le mettiamo?». «Se è per questo “Lady Madonna”, “With a little help from my friends” dei Beatles, “Ruby Tuesday” dei Rolling Stones, “Let’s twist again” di Chubby Checker, oppure “Just like a woman” e “Like a Rolling Stones” di Bob Dylan…».
«Va bene, va bene, mi arrendo, maestro…», mentre svolto per corso Cavour e guardiamo con sollievo il Teatro Petruzzelli in tutta la sua bellezza. Siamo in orario, viva i taxi che viaggiano in ritardo. «I pass ce li abbiamo, possiamo scendere, il nostro amico parcheggia e ci raggiunge…», Pio. «Accidenti, dimenticato in albergo, Busà si era tanto raccomandato…», Battiato. «Vuoi che non ti facciano entrare?», mi anticipa Radius. «Come vuoi che comincino senza di te?», rincara il chitarrista, nonostante Battiato lo canzoni con «Oh, babe», alludendo al brano “Lombardia” (Gente di Dublino). L’impressione era che fosse un po’ compiaciuto del suggerimento. Bello poter dire all’ingresso posteriore del teatro «Sono Battiato, non ho il pass: che faccio, vado a casa o mi fa cortesemente entrare sulla fiducia?». Scherzò, acuto com’era, dando sfumature anche una semplice battuta. Andò bene, si fidarono di “quel signore”, due gocce d’acqua con l’artista visto una domenica a “Discoring”, primo in classifica con “La voce del padrone”.
Quella dell’album con “Bandiera bianca”, altra storia. Il primo 45 giri non aveva avuto l’effetto voluto da discografici e management. In inverno, il suo impresario Angelo Carrara, aveva venduto le date della successiva estate a prezzo di puro realizzo, quando in primavera, inattesa, sbocciò “Cuccurucucù” e un successo che, per primo, trascinò quell’album oltre il milione di copie vendute. Come all’epoca era accaduto a “Lucio Dalla” e “Burattino senza fili” di Bennato.
PAZZESCO CUCCURUCUCU’
Fuori programma allo Iacovone, prima dell’inizio del concerto, estate ‘82. Carrara, l’impresario, chiese «un po’ di umana comprensione» agli organizzatori, Tommaso Ventrelli, Emilia ed Antonio Venezia. Non si “compresero”, ci fu tensione, minaccia di annullamento della serata compresa, ma il concerto fu un successo. In gradinata in diecimila si spellarono le mani per applaudire “Bandiera bianca”, “Centro di gravità permanente”, “Cuccurucucù” e “Sentimento nuevo”.
Battiato era stato al Teatro Alfieri, poi al Cinema Fiamma, in quell’occasione insieme con il Telaio Magnetico e l’Iskra Jazz Trio, due spettacoli, pomeriggio e sera. Quattro gatti, due per spettacolo, e una contestazione, contenuta fortunatamente.
Detto dello stadio Iacovone nel 1982, Battiato nel 2004 fu ospite anche a Grottaglie, Cave di Fantiano. A seguire, al teatro Orfeo nel 2007 (Amici della musica) e sulla Rotonda del Lungomare nel 2008 (Notte bianca). In mezzo, canzoni di rara bellezza, fra tutte “La cura” e “Povera patria”, con “L’era del cinghiale bianco”, “Voglio vederti danzare”, “La stagione dell’amore”. Senza contare la ripresa di pietre preziose – “Fleurs”, le ribattezzò il maestro – della canzone d’autore come “Insieme a te non ci sto più” (Paolo Conte per la Caselli) e “Te lo leggo negli occhi” (Endrigo). E, ancora, “Ritornerai” (Lauzi), “Il cielo in una stanza” (Paoli) e “Era de maggio”. Quest’ultima, testo di Salvatore Di Giacomo, musica del tarantino Mario Costa, eseguita da Battiato all’Orfeo per la rassegna “Amici della Musica”. Un omaggio alla città che quella sera l’aveva ospitato e mai lo dimenticherà. Taranto, con affetto.