Natale in Africa, il poco è sufficiente per essere felici
«Più che regali ci scambiamo doni: cose utili. Chi può si regala un vestito per andare a messa. Ma libri e quaderni per la scuola, stoffe e candele, vanno anche bene». Ma la Grande Festa è anche «Sapere che a casa stanno tutti bene, che i piccoli studiano e che, prima o poi, ci riabbracceremo»
Samuel, Sambou, Michael, Lamine, Ali, Haroon. Sono solo alcuni amici passati da uno dei nostri Centri di accoglienza. Storie. C’e chi ce le ha raccontate, c’è chi ce le racconta ancora. Basta saperle ascoltare, senza quel leggero stupore di chi sente e si stupisce quasi a compiacere uno, cinque, cinquanta ragazzi. Vanno sentiti, facendo un passo avanti, anche due, per sforzarsi nel comprendere usi, abitudini, filosofie.
Dunque, dobbiamo imparare a non stupirci. Molti dei nostri amici sono molto più profondi con un gesto, con uno sguardo, con una frase, di noi occidentali. E allora, perché stupirsi quando uno di loro, comprendendo perfettamente che per “Natale” intendiamo la festa delle feste, dice: «Il mio Natale è sapere che a casa mia stanno tutti bene, che mio fratello più piccolo, grazie ai miei sacrifici sta studiando e a scuola sta conseguendo tutti voti alti!». E’ una festa. «Natale per me è sapere che a casa, mamma – perché io un papà non ce l’ho più – sta bene, che mia sorella si sta riprendendo dopo un brutto choc del quale non voglio parlare e che il mio primo nipotino sta diventando un adorabile monello!».
Non dobbiamo stupirci quando uno di loro ci confessa che il Natale, per lui, sarebbe sicuramente un altro. «Se per voi è la festa dell’anno, e lo vediamo da come siete felici, da come qualcuno diventa di colpo più buono e più tollerante, per me il Natale – la festa più bella in assoluto – sarebbe tornare a casa, riabbracciare i miei fratelli, che non sono solo i fratelli nati da papà e mamma, ma i familiari, gli amici, gli stessi genitori».
NONOSTANTE I CONFLITTI…
C’è la guerra da una parte, i conflitti etnici dall’altra. Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen e alcune regioni dell’Africa registrano un alto numero di vittime. Si parla di oltre cinquantamila morti ammazzati e la tensione pare non si allenti. Ecco, allora, il sogno di uno dei nostri ragazzi che ci racconta il suo Natale ideale. «A casa, a lavorare per la mia terra, senza che qualcuno mi obblighi a fare quello che non mi va di fare, e senza essere ammazzato di botte o torturato, perché da quelle parti è ancora così…».
«Io sto bene in Italia, ho finalmente trovato un lavoro e vorrei restare qui: Natale per me, è tutti i giorni: quando chiamo gli amici in qualche città europea o sento mio fratello che sta bene; basta poco essere felici e se non fosse tanto, io quel poco di felicità provo a farmela bastare, vedessi cosa mi è toccato vedere…».
Ma con loro proviamo anche a comprendere come possa essere il Natale nei loro Paesi. Certo, non pensiamo subito a un presepio o ad un albero pieno di luci. Proviamo ad avvicinarci al continente africano. Sappiamo, per esempio, che l’Islam è una grande fede e che il cristianesimo è la seconda fra le religioni più praticate lì.
Venti anni fa erano circa trecentottanta milioni i cristiani Africa, anche se la stima dice che nel giro di pochi anni potrebbe indicarci un raddoppio di fedeli. Dunque, perché sorprendersi se il Natale, quello che celebriamo dal giorno dell’Immacolata all’Epifania, sia una festa osservata e celebrata dalle migliaia di grandi e piccole comunità cristiane in tutta l’Africa?
DAL GHANA IN POI
Dal Ghana al Sud Africa, il giorno di Natale si passa in famiglia con carole, balli che si danzano in cerchio tenendosi per mano, ricchi pasti e scambi di regali. Neve, dicono i ragazzi sorridendo, «non pervenuta».
Negli Stati africani dove la religione predominante è l’Islam, il Natale viene rispettato e celebrato. In Senegal, prevalentemente islamico, il Natale viene riconosciuto come festività nazionale, in un clima di profonda tolleranza reciproca.
C’è chi può permettersi di scambiare regali, ma le festività non sono come le nostre che nel tempo hanno assunto un carattere commerciale. «Uno dei regali che facciamo a noi stessi – spiegano i ragazzi – è un vestito nuovo da indossare durante la messa del Natale, anche se nelle comunità più povere i regali sono cose modeste sì, ma hanno un valore pratico: libri, quaderni, penne e matite, diciamo l’occorrente per la scuola, poi sapone, stoffe, candele e tanti altri oggetti che tornano utili nella vita di tutti i giorni».
Dopo la Santa messa, i cristiani festeggiano il pranzo di Natale con amici e parenti. In Sud Africa, le famiglie comunemente si riuniscono per un braai (un barbecue) o ricordano le proprie origini coloniali britanniche con un pasto tradizionale a base di tacchino, prosciutto affumicato e tortini di carne macinata. In Ghana, il pranzo di Natale non è completo senza il fufu e la zuppa di okra, mentre in Liberia non possono mancare riso, manzo e crackers. Ma il Natale è lungo anche in Africa, c’è spazio per tornare a scriverne la prossima settimana. Storie infinite.