«Alla ricerca di Kassim, mio salvatore»

«È stato lui a salvarmi la vita: sarebbe bello riabbracciarlo, ma non so nemmeno dove si tovi».
Mouhamed Cisse ha 18 anni, è nato e cresciuto a Daloa, una città dell’Alta Sassandria in Costa d’Avorio, a qualche chilometro dal Parco nazionale della Marahoué. Una vita difficile, trascorsa passando da una casa all’altra fino alla strada che lo ha accolto per qualche tempo. Suo padre è morto quando era molto piccolo, sua madre invece è scappata: Mouhamed non sa nemmeno il motivo.
«Sono cresciuto con mio zio – racconta tenendo costantemente una mano tra i capelli ricci – e non era un persona gentile». Accenna un sorriso e poi riprende: «No, non era affatto gentile, anzi. Mi costringeva a fare ogni tipo di lavori e mi bastonava. A volte mi impediva persino di andare a scuola e mi faceva fare i lavori più pesanti. Poi un giorno, dopo l’ennesima bastonata, ho deciso di lasciare quel posto. Non lo chiamo nemmeno casa».
Così ha iniziato a vivere per strada: per quasi un anno ha vissuto grazie alla carità di poche persone. «Non chiedevo soldi, chiedevo qualcosa da mangiare, ma la maggiorparte delle volte nessuno mi ascoltava. Ho trascorso giorni interi senza mangiare nulla».
Quel suo vagabondare lo portò all’incontro che avrebbe cambiato la sua vita. «Quando vivevo per strada conobbi Kassim, l’unico amico che abbia mai avuto. È stato lui ad aiutarmi a sopravvivere e mi ha persino pagato il viaggio per arrivare in Italia. Abbiamo affrontato l’uno accanto all’altro tutti i momenti di un viaggio difficile: anche sulla barca per arrivare in Italia eravamo seduti vicini. Fino a quando siamo giunti nel porto di Taranto: lì siamo stati separati e non ci siamo mai più visti…». Mouhamed si interrompe, forse rapito da un pensiero sulle sorti dell’amico. «Spero che stia bene. Spero che come me abbia trovato un posto bello come Costruiamo Insieme, con persone gentili che ti ascoltano. Mi piacerebbe saperlo dove sta, ma non ho nulla di lui, nemmeno il suo numero di telefono. Non so nemmeno il suo cognome…».
Il 18enne ivoriano, forse, rivede le immagini dei momenti insieme: il volto dell’amico che col passare tempo diventa sempre più sfocato. «Un giorno mi piacerebbe poter ricambiare quello che ha fatto per me. Magari quando aprirò un ristorante tutto mio e cucinerò «attieker» un piatto tipico del mio paese con il pesce, i pomodori, sale, peperoni, cipolle e olio. Anche se te lo spiego, non è buono come quando lo assaggi». Finalmente Mouhamed sorride: «Sì, mi piacerebbe fare il cuoco. Il ristorante? Lo chiamerei “Ivoriana” come una donna del mio paese e chissà, forse avrò trovato Kassim saremmo insieme in una nuova avventura».