Alexandra e la famiglia da costruire
Due occhioni neri che esplodono da un batuffolo adagiato fra le braccia del papà mi hanno accolto al CAS di Bitonto. Sono gli occhi di Alexandra, nata tre settimane e 4 giorni fa in un ospedale di Bari.
La mamma, Prominence, è intenta a sistemare le ultime cose prima di uscire con la sua bimba e il suo compagno per una passeggiata.
È bastato uno sguardo fra i due per accettare di buon grado la mia richiesta di raccogliere la loro storia.
Stanley, il papà, alternando lo sguardo fra me e la piccola, racconta di essere arrivato dalla Nigeria in Italia nel 2014, partito dalla Libia su un gommone con altre 374 persone. «Il gommone è stato rintracciato da una nave delle Organizzazioni non Governative al largo. Ci hanno fatti sbarcare a Siracusa e di la sono stato trasferito a Milano. La mia è una lunga storia – dice dopo aver passato di mano la bimba, che reclama il seno, alla mamma – Non so se ce la facciamo in mezz’ora come hai detto».
Per me il tempo non è un problema, piuttosto mi preoccupo di non sottrarlo a loro perché Karim, un operatore di Costruiamo Insieme che è al mio fianco, mi aveva già detto che Stanley è venuto da Milano per la seconda volta in tre settimane per stare vicino alla figlia ed alla compagna. Si fermerà per due giorni, ospite di amici, ma la sua voglia di raccontare è tanta.
«Sono dovuto scappare dalla Nigeria perché un gruppo paramilitare vicino al Governo, una specie di polizia segreta, voleva arruolarmi. Sono criminali, uccidono persone o le denunciano se parlano contro il Governo. Sono stato picchiato, torturato – dice mentre mi mostra i segni sul corpo – cercano ragazzi giovani e mi hanno perseguitato. Ma io mai avrei accettato di unirmi a loro. In Commissione ho raccontato tutto».
Il papà di Stanley, in Nigeria, fa il falegname e ha una sola sorella. «Ho frequentato la scuola fino alle secondarie poi ho incominciato a lavorare come sarto. Nel mio Paese ho conosciuto Prominence e ci siamo fidanzati. Quando sono dovuto scappare ci siamo fatti la promessa di ritrovarci qui in Italia. Io ho ottenuto il permesso di soggiorno e vivo a Milano in una casa che condivido con altri amici. Ho lavorato per mesi in un laboratorio di sartoria senza contratto e ora sono costretto a fare lavori saltuari».
Mentre Stanley parla, Prominence annuisce, tenendo la bimba attaccata al seno, quasi a voler dire che tutto ciò che sto ascoltando è vero.
Passata fra le braccia del papà, la bimba sazia del latte materno, chiedo a Prominence di parlarmi di lei: «Sono arrivata in Italia all’inizio del 2016. Dopo essere stata sistemata nel CAS ho subito cercato Stanley. Ho aspettato ogni fine del mese per comprare il biglietto per Milano con i soldi del pocket money. Non mi interessava se il viaggio era lungo e potevo stare solo due giorni con lui. Il nostro sogno era ritrovarci e poi è arrivata anche Alexandra. Ora spero soltanto che la burocrazia non ci rubi tanto tempo. Io sono costretta a stare qua in attesa dell’esito della Commissione. E mia figlia deve stare lontana dal padre e lui da lei».
Prominence, figlia di un autista, in Nigeria ha frequentato fino al terzo anno l’Università di Biologia. È una donna forte, risoluta, ha le idee chiare su quello che vuole costruire nel suo futuro: prima di tutto, una famiglia. E per lei famiglia vuol dire stare insieme, avere una casa, accompagnare la bimba all’asilo e avere un lavoro.
Abbiamo fatto tardi e io non voglio rubare altro tempo ai tre che già me ne hanno dedicato tanto sottraendolo a quel poco tempo che possono condividere.
Ma, un’altra domanda mi è venuta spontanea: «Come avete vissuto il momento della nascita della bambina?»
Il primo a rispondermi è stato Stanley: «Quando è nata la bambina ero ricoverato a Milano per un intervento di appendicectomia. Appena uscito dall’ospedale sono corso qui. L’ho vista dopo quattro giorni. Ma se questa cosa mi fosse successa in Nigeria non avrei neanche visto mia figlia. Perché in Nigeria o paghi prima di entrare in un ospedale, o muori!».
Prominence gli accarezza la mano e mi dice: «In ospedale, quando ho partorito, sono stati tutti bravissimi. Medici, infermieri, gli operatori del CAS che venivano a trovarmi. Qui è tutto diverso, è difficile da spiegare. E’ vero che è difficile, Stanley è lontano e fa sacrifici enormi per noi. Non vedo l’ora che tutto si sistemi. Ma Alexandra qua ha trovato una famiglia. Tanti zii e zie che le prestano un sacco di attenzioni, sono sempre presenti, non ci fanno mancare niente, soprattutto l’affetto!».
Mi viene spontaneo mostrarle sul telefonino le foto che ogni mattina colorano il gruppo FB di Costruiamo Insieme con le foto commentate con cuori, baci, faccine da tutti gli operatori.
Lei sorride, non sapeva che condividessimo anche questo e ha capito perché oggi ero la a raccogliere la loro storia.
La sua, quella del suo compagno e, soprattutto, quella di Alexandra che sui documenti troverà scritto «nata a Bari». E la cittadinanza? Ancora non lo sa: anche Alexandra è in attesa che qualcuno smetta di giocare con la vita delle persone, soprattutto con la sua.