Fabio Concato, un cantautore fuori dal coro
«Provo a far sorridere, commuovere, pensare. L’uomo deve sempre essere al centro dell’attenzione. Dobbiamo sforzarci nel guardare quanti hanno bisogno di aiuto. Non ci sono più i De Andrè e i Paoli di un tempo, ma ammiro Samuele Bersani e Niccolò Fabi, che come me pubblicano quando ne hanno voglia».
«Dobbiamo sforzarci nel guardare gli altri mettendoci nei panni di tutti, soprattutto delle fasce deboli». Fabio Concato, non canta o scrive e basta. E’ uno di quegli artisti che pensano, provano a scoccare scintille, a provocare ragionamenti. Più di trent’anni fa scrisse “051/222525”, in favore del Telefono azzurro. Invitò molti colleghi ad imitarlo e cedere i diritti all’associazione che tutela i minori dagli abusi dei grandi. Non ci fu una grande risposta. Lui è andato avanti per la sua strada. Coerente com’è, l’ha riproposta perfino nel suo album di cover “Non smetto di ascoltarti”. Insomma, per non dimenticare le creature fragili e indifese.
Concato, compare e scompare. Un po’ come il titolo di una sua raccolta, “Scomporre e ricomporre” pubblicata tanti anni fa. Non ha grande feeling con la discografia, lo stesso dicasi con i discografici. «Oggi i discografici, ammesso che ce ne siano ancora in circolazione, non hanno molto tempo da dedicare ai ragazzi, ai giovani che mostrano di avere stoffa: vogliono tutto e, possibilmente, subito: sarà per via dei talent, non so…».
La sua storia è diversa rispetto a quelle attuali. «Ho avuto la fortuna di incontrarne uno serio, mi disse di scrivere e scrivere, cantare e cantare, ma di non pensare che a canzone bella corrispondesse il successo sicuro: mi disse che avrei dovuto fare album per cinque, sei anni e poi qualcosa sarebbe accaduto: arrivò, puntuale, “Domenica bestiale” e, con questa, il successo».
“Domenica bestiale”, “E ti ricordo ancora”, “Speriamo che piova”, “Guido piano”, “Fiore di maggio”, “Sexy tango”, “Tienimi dentro te”, “Rosalina” e tante altre ancora. Tutte perle che permettono al popolare artista milanese, sessantotto anni a fine mese, di vivere di rendita, fra concerti e raccolte.
UN SUONO CHE CREA UN’ATMOSFERA
Fabio Concato, un suono che crea atmosfera. C’è tutto il mondo di un artista, amatissimo dal suo pubblico, rispettato da quanti hanno altre preferenze, ma che ugualmente seguono i “corpo a corpo” di un cantautore che, come, pochi ha lasciato segni indelebili nella canzone italiana.
Discreto, schivo, quando parla Concato sembra una della sue canzoni. Pieno di contenuti, essenziale, privo di orpelli. Il confine fra Concato e il suo pubblico sono lo studio di registrazione e i “live”, il resto, dice lo stesso artista, è vita. Non è un obbligo sorridere comunque, dire cose carine per compiacere a tutti i costi. E quando parla volentieri, cosa che non gli capita spesso, e non per una forma di snobismo, dice cose sempre interessanti.
Sui suoi concerti, per esempio. «Non c’è mai un concerto uguale all’altro, le atmosfere musicali sono in continua evoluzione, cambia anche a seconda del pubblico. Con i miei musicisti un momento eseguiamo un brano in chiave rock, poco dopo passiamo ad atmosfere acustiche delicate, sul tipo di “Domenica bestiale”».
Uno dei suoi manifesti, “Domenica bestiale”, che non sempre ha eseguito in pubblico. Un po’ come per Fossati “La mia banda suona il rock”. «Di altri non so, ma a me capita spesso di mettere in piedi un repertorio talmente ampio, che qualche canzone resta inevitabilmente fuori, poi il pubblico insiste, mi chiama per un bis e, allora, la canto: parola grossa, cantarla, in realtà è il pubblico che la esegue…».
NIENTE GIRI DI PAROLE…
Fabio Concato, schietto, sincero. Se c’è uno che non perde tempo con giri di parole, questo è proprio lui. Avrebbe potuto fare un album all’anno, cosa gli sarebbe costato? «Molto, intanto perché l’ispirazione non ti viene tanto al chilo: ti metti davanti a un piano, una chitarra e componi le tue otto ore al giorno; non funziona così. Ci sono quelli bravi, che però non conosco, che si mettono lì e prima o poi tirano fuori un’idea. Poi è il pubblico a stabilire se una cosa è bella o se è il caso di soprassedere».
Lei, poi, ama suonare e cantare. «E, allora, se provi a scrivere, non trovi il tempo per fare i concerti, che è una cosa che amo e a cui non rinuncerei tanto facilmente».
Dai suoi concerti si capisce una preparazione colta, scaturita dall’ascolto da tanta musica. «Quella musica che più di ogni altra mi porto dentro l’ho ascoltata quand’ero bambino: a pranzo papà ci faceva ascoltare musica jazz e brasiliana».
Non ci sono più gli artisti di un tempo, né gli spazi. «E’ diventato più difficile lavorare, nel settore della musica in particolare, ma non trovo giusto consigliare a un ragazzo di non provarci: puoi arrivare ai quarant’anni con il rimorso di non aver tentato, provato a fare quello che avevi tanto desiderato. Se c’è crisi nel mondo del lavoro in generale, è anche vero che oggi i ragazzi che vogliono fare musica hanno a disposizione uno strumento importante come il web, che può essere usato per farsi conoscere, apprezzare».
CANTAUTORE, DOVE SEI?
Per quanto riguarda i cantautori, non c’è stato ricambio di personaggi straordinari. «Vero, non ci sono i De André e i Paoli di un tempo; ci sono, però, artisti originali e capaci come Bersani, il cantautore naturalmente, Niccolò Fabi e Max Gazzè, mi piacciono perché mi somigliano: pubblicano quando hanno cose interessanti da dire e non perché gliel’ha chiesto un discografico amico».
“Tutto qua” è stato l’ultimo album di canzoni nuove, risale a dieci anni fa. Poi la raccolta “Non smetto di ascoltarti”, canzoni dello stesso cantautore, ma anche di altri. «Quando compongo provo a dare sempre il massimo e l’ultimo album in studio è un Concato al massimo. Canzoni che fanno sorridere, commuovere, pensare, come spero abbia provocato in tutti questi anni la mia produzione. L’uomo al centro dell’attenzione: lo spread, qualcosa di cui si parla molto, ma nessuno sa spiegarlo per bene; sarà anche importante, non dico di no, ma tutti noi non meritiamo forse una vita diversa? Dobbiamo sforzarci nel guardare gli altri mettendoci nei panni di tutti, soprattutto delle fasce deboli». Una definizione, tout-court del suo lavoro. «Ho sempre realizzato dischi d’amore, come i miei concerti, c’è sempre tanto amore in quello che faccio».