Great, nigeriano, cattolico convinto

«Un anno di prigionia in Libia, picchiato perché cristiano, ma salvato da due musulmani. Sono fuggito dal mio Paese perseguitato da un maleficio che ha ucciso mio padre. Prego Gesù, non posso credere ai sortilegi. Oggi, grazie a Costruiamo Insieme faccio un corso di formazione, ho un sogno…»

«Alle 16 devo andare in chiesa, ho la bici qua fuori, devo correre come un razzo!». Le manone, sottili, giunte, come se anticipasse la preghiera. «La chiesa è a cinque minuti da qui, se non trovo traffico…». Great, nigeriano, cristiano, sfiora i diciotto anni, in Italia dallo scorso gennaio. Parla inglese, frequenta un corso di formazione, vorrebbe diventare uno chef di grido.

La sua fuga ha una storia singolare, simile a un paio di quelle raccontate da suoi connazionali che, evidentemente, subiscono influenze esoteriche. I giovani che oggi dispongono di internet, si aggiornano, si informano, credono sempre meno alle storie che una volta circolavano fra i loro padri. Lo stesso papà di Great, a sua volta, è stato vittima di questa credenza popolare. «E’ stato colpito da un maleficio, l’ho perso in breve tempo: non per una malattia, ma a causa di un sortilegio». Evidentemente anche lui deve completare il percorso formativo, relazionarsi a qualcuno che gli spieghi cosa rappresentino quei rituali. Roba superata, l’unico danno che possano provocare è il condizionamento, fare danni al carattere, all’autostima. Tutto, però, dovuto a vecchi insegnamenti, alla mancanza di una base di studio. Great, comunque, è una voce fuori dal coro. E’ fuggito, braccato dalla gente del posto che, una volta morto suo padre, lui continuasse a fare da stregone. «Papà, in fin di vita – racconta Great – comprese che quanto aveva fatto era di sicuro discutibile: facendo filtri, sortilegi, si era salvato ma non voleva che anche io facessi la sua stessa strada; sono cristiano, non credo a malefici e cose simili, così papà mi suggerì che l’unico sistema per salvarmi la vita fosse scappare. E alla svelta…».

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«SALVATI FIGLIO MIO, FINCHE’ SEI IN TEMPO!»  

E Great, a malincuore, segue il consiglio paterno. «A casa ho lasciato mamma e una sorellina, ci teniamo in contatto, ma il distacco è stato terribile: ho dovuto maturare in fretta, seguire i consigli di qualche amico che aveva letto su internet o, a sua volta, sentito da amici di amici, cosa fosse giusto fare». «In Libia! Devi andare in Libia! Non c’è verso, lì c’è lavoro, vedrai che qualcosa trovi da fare». Gli amici, però, non avevano fatto i conti con la forte fede cristiana di Great. «Una volta arrivato lì, i militari mi hanno acciuffato e sbattuto in carcere, pane e acqua: la prima domanda che mi hanno rivolto riguardava il denaro, se ne avessi avuto per loro; solo pagando mi avrebbero restituito la libertà». Denaro non ne aveva, così per il ragazzo nigeriano sconta il carcere, duro. Un trattamento non proprio garbato. Come gli altri malcapitati, mangia poco e male, incassa spintoni, botte senza motivo.

Non trova lavoro e viene trattato così. «Gran parte dei libici sono di fede musulmana, non vedono di buon occhio i cristiani: ma non credo che il loro dio, Allah, nelle pagine del Corano indichi simili punizioni; diciamo che i miei carcerieri si professavano musulmani, ma a modo loro; resto prigioniero un anno e un mese, quando resto privo di forze: non ce la facevo più, fisico debilitato, dolori e ferite ovunque, sulle braccia, sulla testa, qui, con il calcio di un fucile…».

Mostra il capo, le ferite; le braccia, i gomiti. Debilitato crede di non farcela più. «Devo tutto a una guardia carceraria, da giorni mi osservava, vedeva che non reagivo più, me ne stavo in un angolo, aspettavo solo che mi spegnessi poco per volta: chiudevo gli occhi, invocavo Gesù Cristo; un giorno parlò con i suoi colleghi: “Questo soldi non ne ha, altrimenti li avrebbe già tirati fuori; ha pochi giorni di vita, se ci muore in carcere potremmo avere noie, aprirebbero inchieste: meglio liberarlo, consegnarlo a qualcuno che provi a prendersi cura di lui, ammesso che possa rimettersi in salute…”: fui consegnato a un altro uomo, musulmano anche lui, più disponibile rispetto agli altri, umano: evidentemente non sono tutti cattivi; fui curato, rimesso in piedi, le mie preghiere erano arrivate a destinazione, sul mio cammino avevo trovato due persone generose: la guardia carceraria e il mio soccorritore».

«LE MIE PREGHIERE VENGONO ASCOLTATE»   

Non è finita, le preghiere vengono udite “lassù”, come dice Great. «Il secondo uomo parla con amici, gente che organizza viaggi su imbarcazioni di fortuna. Non ho denaro, ma mi mettono comunque sul primo gommone in partenza da Tripoli con destinazione Italia». Il viaggio sta per finire. «Siamo una sessantina a bordo – ricorda il giovanotto pieno di fede – stretti uno all’altro, ma non mi importa, mi interessa solo allontanarmi da quell’anno di inferno: quindici ore in mare, fino a quando non ci avvista una nave mercantile spagnola, ci accolgono a bordo, il viaggio sembra sia finito, ma non è così. Devono proseguire, ma si mettono in contatto con una nave militare italiana che sta perlustrando quella zona di mare: finalmente saliamo a bordo, veniamo accompagnati sulle coste italiane».

Ora si guarda intorno, Great. «Grazie a “Costruiamo Insieme” sto facendo un corso a Noci, voglio diventare chef, sto imparando a cucinare italiano: sono determinato, dovessi anche fare altri sacrifici prima di arrivare ai fornelli, sono disposto a fare passaggi obbligati come fare il lavapiatti, il cameriere. Ma è la stanza dei “bottoni” il mio obiettivo principale!».