A novant’anni si è spento l’arcivescovo che sfidò l’apartheid

Premio Nobel per la pace, si era schierato dalla parte dei neri in Sudafrica. «Ci ha lasciato in eredità un Sudafrica liberato», ha detto il presidente Cyril Ramaphosa. «La sua vita per milioni di sudafricani è stata una benedizione: leader, un essere umano straordinario, un pensatore», ha sottolineato la Fondazione Mandela

 

E’ scomparso all’età di novant’anni, il grande Desmond Tutu, Premio Nobel per la Pace. Tutto ricordiamo l’arcivescovo per essere stato in tempi non sospetti il simbolo della lotta all’apartheid in Sudafrica e quel riconoscimento internazionale che aveva meritato con tanto di applausi a scena aperta. I funerali, ha reso noto la sua Fondazione, si svolgeranno a Città del Capo l’1 gennaio.

L’apartheid. Brutta cosa quella politica fatta di estremismi e discriminazione da parte delle minoranze bianche nei confronti dei neri nella Repubblica Sudafricana. Una lotta violenta perpetrata con inaudita violenza, seminando paura e morte, con qualsiasi violenza contro libertà e diritti civili degli indigeni neri, finalmente annientata trent’anni fa.

Desmond, come tutti lo conoscevano, purtroppo non c’è più.  A darne notizia è stato il presidente Cyril Ramaphosa. «La scomparsa dell’arcivescovo emerito Desmond Tutu è un altro capitolo del lutto nell’addio della nostra nazione a una generazione di eccezionali sudafricani che ci hanno lasciato in eredità un Sudafrica liberato».

Premio Nobel per la Pace nel 1984, Desmond Tutu era stato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo. Aveva sempre lottato per difendere chiunque fosse oggetto di discriminazioni, vessazioni, atti di violenza, a favore di quanti non avevano diritti. Quante sono state le attività politiche in Sudafrica per abbattere le differenze tra bianchi e neri. Presidente della commissione “Truth and Reconciliation Commission”, Big Desmond aveva il compito di indagare sulla violazione dei diritti umani. Fra le sue pubblicazioni: “Crying in the wilderness” (1982) e “Hope and suffering” (1983), “No future without forgiveness” (1999) e “God has a dream: a vision of hope for our time” (2004). Fu lui l’autore di una delle frasi più famose con la quale sintetizzò la sofferenza del suo Paese agli occhi del mondo: “Rainbow Nation”, nazione arcobaleno.

Nel ricordare la figura di Desmond Tutu è intervenuta, fra le altre, la Fondazione Mandela, che ha definito la sua scomparsa una perdita «incommensurabile, grande più della vita stessa». «Per tante persone in Sudafrica la sua vita è stata una benedizione: leader, un essere umano straordinario, un pensatore».